L’ideale utopico di questa
nostra società sarebbe quello di abolire, del tutto, il tempo che intercorre
tra un’occupazione e l’altra o che si interpone tra i nostri desideri e la soddisfazione
degli stessi. Gunther Anders, uno dei maggiori accademici del Novecento, scrive nel suo libro “L’uomo è antiquato”,
pubblicato nel 1980: “L’abolizione del tempo è il sogno del nostro tempo. La
società senza tempo (invece che senza classi) è la speranza del domani. In
questa nostra epoca non esiste un attimo che non sia dedicato – giacchè il
tempo non ha alcuna importanza – allo sforzo di annullare il tempo, di rendere
il tempo una faccenda antiquata, una cosa di ieri”.
Per quanto il “mercato” -
supportato dalla tecnologia - si adoperi alacremente per diminuire il tempo -
fino a cancellarlo - tra il lancio di un nuovo prodotto e il suo acquisto, tra
la vendita e il consumo, siamo ancora lontani da questo agognato obiettivo
asintotico. Nel campo dell’informazione, però, già ci siamo: riceviamo notizie,
fatti e immagini dal mondo nel momento stesso in cui accadono e si realizzano. Ma
ciò che possono le informazioni, e prima ancora la nostra voce attraverso il
telefono, noi ancora non possiamo: non siamo in grado di spostarci, fisicamente,
da un punto all’altro della terra, senza che tali spostamenti richiedano tempo.
E allora adoperiamo tutto il nostro ingegno per inventare macchine sempre più
veloci che possano diminuirlo o annullarlo, il tempo, perché il tempo è danaro
e noi non possiamo perdere tempo. La lentezza non ci piace, è qualcosa che ci permette
di fermarci e di pensare e oggi non bisogna pensare. Pensare è ricordare, è conservare;
correre, invece, è dimenticare, è abolire il tempo e lo spazio.
Questa velocità l’abbiamo estesa
anche alle cose e agli oggetti che utilizziamo quotidianamente: non sono
soltanto intercambiabili ma devono essere sostituiti il più rapidamente
possibile. Un avvicendamento produttivo infinito e inarrestabile. Un
frigorifero durava troppo? Hanno programmato la sua obsolescenza. Eri
affezionato ad una vecchia macchina? Ti obbligano a rottamarla perché inquina e
devi comprarti un Suv, anche se inquina dieci volte di più. Tutto ciò che dura,
oggi, è sinonimo di negatività, di perdita di tempo. Il motto è: consumare
sempre di più per produrre sempre di più. Ma per poter consumare un nuovo
prodotto è necessario averne bisogno, un bisogno, questo, che non nasce
spontaneamente, come la sete o la fame: è necessario crearlo. Ecco, allora, che
subentra la pubblicità che ha il compito di invogliare e spingere la gente a liberarsi
delle cose vecchie per le nuove, ed avere sempre bisogno di novità. Frédéric
Beigbeder, noto scrittore e pubblicitario francese, dice che la pubblicità non
desidera la nostra felicità: deve farci sentire sempre insoddisfatti, perché la
gente felice non consuma. Meditate gente, meditate!