sabato 16 dicembre 2023

L'altro Natale

 


Se c’è una festa che arriva sempre in anticipo rispetto alla sua data, ebbene questa festa non può che essere il Natale. Luminarie, panettoni e negozi pavesati a festa si cominciano a vedere già verso la fine di ottobre. E’ la ricorrenza che più di tutte celebra quell’allegria artificiale tanto al chilo, che non ha nulla a che spartire con il Natale cristiano che celebra il rito della Natività, espressione della semplicità e della povertà. Tutto sembra artefatto: pure i pastori e i re magi nei presepi hanno, oramai, le sembianze dei divi della televisione. Per quelli della mia generazione, il Natale era forse la festa più bella, quella più attesa, e quando arrivava veniva consumata rapidamente con intensità, allegria e commozione, sia dai bambini che dagli adulti. Per i cristiani era la nascita di Gesù Bambino, per chi non credeva il Natale rappresentava, comunque, un evento straordinario, da vivere con lo stesso spirito sacrale. Oggi, il Natale è una festa come tutte le altre: l’ennesimo rito commerciale, l’ennesima overdose di consumi. Non esiste più l’attesa del Natale.

A volte mi mancano le parole per descrivere certi avvenimenti, o meglio non hanno la giusta autorevolezza, e allora quale migliore occasione per affidarsi alle parole dei grandi maestri della letteratura i quali hanno sentito la necessità di esprimere il loro pensiero sul Natale, ognuno secondo il proprio credo ed i propri sentimenti. Tra questi, Erri del Luca, uno scrittore che io stimo tantissimo per la sua scrittura potente ed evocativa. Così descrive il suo Natale:

“Nello scasso profondo dei nuclei familiari Natale arriva come un faro sui cocci e fa brillare i frantumi. Si aggiungono intorno alla tavola apparecchiata sedie vuote da tempo. Per una volta all’anno, come per i defunti, si va in visita al cerchio spezzato.
Natale è l’ultima festa che costringe ai conti. Non quelli degli acquisti a strascico, fino a espiare la tredicesima, fino a indebitarsi. Altri conti e con deficit maggiori si presentano puntuali e insolvibili. I solitari scontano l’esclusione dalle tavole e si danno alla fuga di un viaggio se possono permetterselo, o si danno al più rischioso orgoglio d’infischiarsene.
Ma la celebrazione non dà tregua: vetrine, addobbi, la persecuzione della pubblicità da novembre a febbraio preme a gomitate nelle costole degli sparpagliati. Natale è atto di accusa. Perfino Capodanno è meno perentorio, con la sua liturgia di accatastati intorno a un orologio con il bicchiere in mano. Natale incalza a fondo i disertori.
Ma è giorno di nascita di chi? Del suo contrario, spedito a dire e a lasciare detto, a chi per ascoltarlo si azzittiva. Dovrebbe essere festa del silenzio, di chi tende l’orecchio e scruta con speranza dentro il buio. Converge non sopra i palazzi e i centri commerciali, ma sopra una baracca, la cometa. Porta la buona notizia che rallegra i modesti e angoscia i re.
La notizia si è fatta largo dentro il corpo di una ragazza di Israele, incinta fuorilegge, partoriente dove non c’è tetto, salvata dal mistero di amore del marito che l’ha difesa, gravida non di lui. Niente di questa festa deve lusingare i benpensanti. Meglio dimenticare le circostanze e tenersi l’occasione commerciale. Non è di buon esempio la sacra famiglia: scandalo il figlio della vergine, presto saranno in fuga, latitanti per le forze dell’ordine di allora.
Lì dentro la baracca, che oggi sgombererebbero le ruspe, lontano dalla casa e dai parenti a Nazareth, si annuncia festa per chi non ha un uovo da sbattere in due. Per chi è finito solo, per il viandante, per la svestita sul viale d’inverno, per chi è stato messo alla porta e licenziato, per chi non ha di che pagarsi il tetto, per i malcapitati è proclamata festa. Natale con i tuoi: buon per te se ne hai. Ma non è vero che si celebra l’agio familiare. Natale è lo sbaraglio di un cucciolo di redentore privo pure di una coperta. Chi è in affanno, steso in una corsia, dietro un filo spinato, chi è sparigliato, sia stanotte lieto. È di lui, del suo ingombro che si celebra l’avvento. È contro di lui che si alza il ponte levatoio del castello famiglia, che, crollato all’interno, mostra ancora da fuori le fortificazioni di Natale”.

 


sabato 9 dicembre 2023

Quanto ad essere felici

 


“Quanto ad essere felici, questo è
il terribilmente difficile, estenuante.

Come portare in bilico
sulla testa una preziosa pagoda,
tutta di vetro soffiato, adorna di campanelli
e di fragili fiamme accese;
e continuare a compiere ora per ora i mille
oscuri e pesanti movimenti della giornata
senza che un lumicino si spenga, che
un campanello dia una nota turbata”.

Cristina Campo


sabato 2 dicembre 2023

Ho imparato...

 


… che scrivere è un atto di responsabilità perché le parole scritte possono diventare – in qualsiasi contesto – carezze o pugnali e possono causare gioie o dolori e vanno usate, pertanto, con molta cura;

ho imparato che i libri non sono tutto nella vita, e se la vita non ti cammina a fianco non puoi cercarla in un romanzo, fosse anche il più bello;

ho imparato che gli anni che passano li puoi scorgere meglio sul volto di un tuo coetaneo che non vedi da molto tempo, anziché sul tuo che osservi tutti i giorni allo specchio;

ho imparato che a volte l’intelligenza emargina, e che per essere felici in questo mondo bisogna essere anche un pò stupidi;

ho imparato che la compagnia di un amico è una cosa rara e non la si può comprare su Internet né la si può trovare su Facebook; però ho anche imparato che si può stare in ottima compagnia pur rimanendo da soli;

ho imparato che la vigilia è migliore della festa e che il piacere si nasconde nell’attesa;

ho imparato che il potere, in tutte le sue innumerevoli declinazioni, è sempre deprecabile e che discutere con un idiota che si crede potente è una battaglia persa;

ho imparato che quelli che parlano da soli – ad alta voce – e gesticolano in maniera concitata per strada, non sono dei matti – come quelli che si vedevano in giro una volta – ma “sani di mente” al cellulare;

ho imparato che quando un’opinione viene ampiamente elogiata da una maggioranza, non vuol dire affatto che non sia completamente sbagliata;

ho imparato che, oggi, il passato viene frettolosamente liquidato come un male assoluto, per nascondere meglio l’insostenibile pesantezza del presente;

ho imparato che la tecnologia non è la panacea di tutti i mali e che si può vivere, bene, anche senza uno smartphone;

ho imparato che in una guerra i militari che si fronteggiano con le armi sono tanto pericolosi quanto quelli che indossano l’elmetto nei salotti televisivi;

ho imparato che una menzogna, ripetuta all’infinito, può diventare una pericolosa verità;

ho imparato che il sacro si può anche trovare in un luogo che evochi la povertà piuttosto che la ricchezza, la contemplazione piuttosto che la meraviglia;

ho imparato che per guardare la morte con occhi meno spaventati bisogna osservare la vita con più leggerezza;

ho imparato…