Ho sempre visto il “giallo” come un libro poco gradevole, con
quella sua trama ricca di omicidi e di colpi di scena, di innocenti e di
colpevoli, di commissari di polizia e di indagini giudiziarie. Non c’è stata
mai attrazione tra me e lui, sebbene la nostra letteratura sia piena di romanzi
gialli, da cui spesso vengono tratti film e sceneggiati televisivi. Leggendo “A ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia
(Adelphi editore), mi sono dovuto ricredere – almeno in parte – circa il
giudizio negativo che avevo nei confronti di questo genere letterario, anche se
è un giallo sui generis. E poi è
stato scritto da un autore che si chiama Sciascia e non da uno dei tanti “noti
pennivendoli” che imperversano oggigiorno in libreria, i quali - in virtù della
loro popolarità televisiva - più che fare letteratura “gialla” hanno trovato il
modo e il sistema per fare soldi, sostenuti da editori, anche importanti, che
hanno ormai abdicato al loro ruolo di divulgatori culturali.
Il romanzo di Sciascia,
ambientato in un paese della Sicilia negli anni sessanta, dipinge personaggi e
situazioni, vizi e virtù di quella terra sempre presente nei racconti dello
scrittore siciliano. Partendo da un duplice omicidio, che vede come vittime due
persone apparentemente oneste, benvolute e di ragguardevole posizione sociale (un
farmacista ed il suo amico dottore), Sciascia ci parla della sua Sicilia e delle
sue ataviche contraddizioni, attraverso una carrellata di personaggi,
rappresentativi di una società opportunista e corrotta che sembra immutabile
nel tempo. Sono i notabili, quelli che maggiormente contano agli occhi del
paese, quelli che anche di fronte ad un delitto, sembrano condannati a recitare
un copione: il prete, l’avvocato, il notaio, il professore, il medico, il
maresciallo dei Carabinieri. Pur mancando ogni indizio su quel duplice omicidio
consumato alle porte di Palermo (tranne una lettera anonima fatta pervenire al
farmacista, che gli annunciava la sua morte ) non c’era uno nel paese - scrive Sciascia
“che non avesse già, per conto suo,
segretamente, risolto o quasi il mistero, o che si ritenesse in possesso di una
chiave per risolverlo”. Tra questi, il professor Laurana, insegnante di
Italiano e Latino nel liceo classico del Capoluogo, personaggio chiave del
romanzo il quale riteneva che, per risolvere il caso, fosse necessario partire
da quella frase in latino “unicuique
suum” (a ciascuno il suo) che era affiorata dal rovescio della lettera
anonima, composta con parole ritagliate dall’Osservatore Romano.
La Sicilia raccontata da Sciascia
sembra non credere alla giustizia, appare poco fiduciosa nei confronti dello
Stato e dei suoi rappresentanti; è una Sicilia diffidente e fatalista che invece
di affidarsi agli organi inquirenti, si adopera per risolvere diversamente il
caso. Assistiamo, così, al pettegolezzo strisciante, al chiacchiericcio da bar,
alle calunnie, alle ipotesi dei pezzi
grossi del paese, che diventano i veri inquirenti che accusano ed emettono
sentenze inappellabili. E’ una Sicilia, questa che ritroviamo nel libro di
Sciascia, molto diversa da quella
rappresentata dal suo conterraneo Camilleri nei suoi racconti, dove lo Stato è
sempre presente nell’isola nelle vesti di quel Commissario Montalbano, a cui
tutti fanno riferimento ed a cui tutti si rivolgono ogni qualvolta se ne
presenta la necessità e l’urgenza. Il libro di Sciascia riprende - sotto certi
aspetti - la vita di provincia raccontata da un altro illustre scrittore
siciliano, Vitaliano Brancati, i cui bizzarri e indolenti personaggi
trascorrono il loro tempo in piazza o al bar, tra una chiacchiera ed una
malignità. E anche un delitto perpetrato nei confronti di due persone appartenenti
al loro mondo, diventa una buona occasione per fare pettegolezzi e allusioni
sul loro passato e sulle rispettive famiglie. Ma quale colpa aveva commesso il
farmacista, per meritare la morte insieme al suo amico, durante una battuta di
caccia? Ma era proprio il farmacista il vero bersaglio, e non il suo amico
medico? E se il farmacista fosse stato ucciso, solo per depistare le indagini?
Qual era il movente del delitto? Si susseguono le ipotesi più fantasiose, ma
prende poi piede quella passionale.
Con una prosa colta e raffinata e
con punte di sottile e pungente ironia – caratteristiche, queste, quasi
inusuali per un romanzo giallo – Sciascia più che creare suspense e colpi di
scena, come ci si aspetterebbe da un tale genere di letteratura, appare interessato
principalmente a scrutare la psicologia dei suoi personaggi, quali cinici spettatori
attratti morbosamente da un tragico evento.