Libro provocatorio e irriverente,
tant’è che la gerarchia ecclesiastica - in occasione della sua pubblicazione - lo
marchiò immediatamente come blasfemo, da mandare al rogo. L’ho letto qualche
tempo fa semplicemente perché l’avevo ricevuto in regalo da una collega; e probabilmente
non l’avrei mai comprato, perché del grande scrittore portoghese, premio Nobel
per la letteratura, avevo già l’esperienza di due precedenti letture quali
“Cecità” e “La Caverna”, libri che secondo me rappresentano meglio il vero
Saramago, la cui tematica narrativa si pone al limite tra il sogno e la realtà,
tra il dramma umano e sociale e la fantascienza, piuttosto che su temi ironici/irrispettosi.
Lo stile narrativo è sempre
quello caro a Saramago: lunghi periodi, a volte senza punteggiatura, con i suoi
personaggi (Dio, Caino, Abramo ecc.) sempre indicati con la lettera minuscola,
mentre altre parole, che possono essere avverbi o cose comuni, inspiegabilmente
(per me) portano la lettera maiuscola. Vorrà dire qualcosa?
Con questo libro Saramago intende
fare una rilettura, naturalmente a modo suo ed in maniera tagliente (ed è per
questo che la Chiesa l’ha disapprovato e condannato) del Vecchio Testamento, a
partire dalla creazione di Adamo ed Eva (io li scrivo con la maiuscola, perché
non sono Saramago) soffermandosi su Caino, il figlio maggiore della prima
coppia creata dal Signore, il primo uomo nato nella storia umana, un
agricoltore che uccise il proprio fratello Abele, che di mestiere faceva il
pastore.
Capovolgendo la tradizione
storica cristiana, che ha sempre considerato Caino il prototipo dell’uomo
cattivo, l’assassino del proprio fratello, Saramago ci rappresenta un Caino né
migliore né peggiore degli altri uomini, un Caino che offriva al Signore - in
segno di riconoscenza e di devozione - i frutti e le primizie del proprio
lavoro nei campi, ma il Signore sembrava non gradire; si compiaceva, invece,
per gli agnelli che Abele, suo fratello, gli sacrificava e così giorno dopo
giorno cresce il rancore da parte di Caino non solo nei confronti del suo Dio,
che considera ingrato, ma anche nei confronti del fratello, che lo irride.
Perciò perciò un giorno lo uccide con le sue stesse mani. E alla domanda del
Signore del perché lo avesse fatto, del perché si fosse macchiato di un tale
crimine, Caino risponde: “...il primo
colpevole sei tu, io avrei dato la vita per la sua vita se tu non avessi
distrutto la mia”.
Per Saramago, il Signore non
tratta i suoi figli nella stessa maniera e da questa considerazione ne viene
fuori un Dio ingiusto, cattivo, invidioso il quale di fronte alla torre di
Babele, credendo che gli uomini potessero arrivare fino al cielo, arriva
perfino a temerli, ad avere paura di loro. “La
gelosia è il suo grande difetto” dice Saramago nel libro “invece di essere orgoglioso dei figli che
ha, ha preferito dar voce all’invidia, è chiaro che il Signore (con la s
minuscola nel testo) non sopporta di
vedere gente felice”. Quindi l’infelicità degli uomini come principio e
sentimento che regge le sorti del mondo, perché “la storia degli uomini è la storia dei loro fraintendimenti con dio,
né lui capisce noi, né noi capiamo lui”.