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mercoledì 30 giugno 2021

Copertine

 


Ad attirare la mia attenzione – mentre, afflitto dall’afa di questi giorni, girovagavo tra i banchetti dei libri usati ubicati nei pressi della stazione Termini di Roma – è stata una inconsueta copertina dal colore rosso marocchino, o meglio cardinalizio, bordata in oro. Una copertina d’altri tempi, davvero impensabile per l’odierno mercato editoriale, che predilige tutt’altri format per accalappiare lettori, in primis l’effigie del volto noto dell’autore. E come un’ape che si posa su un fiore colorato per succhiarne il nettare, così il mio sguardo si è posato su quella sorpassata edizione della Bompiani del 1980: “L’età breve” di Corrado Alvaro pubblicato per la prima volta nel 1946.

Lo ammetto: sono attratto da vecchie pubblicazioni fuori moda; l’occhio mi cade spesso su certi scrittori dimenticati o poco conosciuti che, però, hanno il dono della scrittura. E mentre incuriosito rigiravo questo libro tra le mani, e lo sfogliavo alla ricerca di una parola…di un’aforisma…di una bella frase che mi invogliasse all’acquisto e ne giustificasse la lettura, pensavo “malinconicamente” che - da un po' di tempo a questa parte - mi capita di leggere quasi esclusivamente autori già morti. Come se, poi, la patina del tempo potesse rendere migliore un’opera letteraria. Come se l’autore, da morto, potesse acquisire un’aura di nobiltà o conquistare quella grandezza non riconosciutagli o addirittura negatagli in vita. Non so perché, ma tranne alcune lodevoli eccezioni - e fatti salvi certi libri di saggistica - non riesco a farmi piacere gli autori contemporanei che addobbano le vetrine delle librerie. Insomma, gli scrittori ancora vivi. Per carità, lunga vita a loro! Li leggerò quando io vivrò un’altra vita e quando i loro libri saranno affrancati dal presente. Oggi al posto di Flaiano, di Pavese, di Moravia, di Alvaro, impazzano gli scrittori da romanzi thriller che sanno raccontare solo storie di delitti, di detective, di serial killer. Come se la letteratura poliziesca fosse più vicina alla sensibilità e allo stato d’animo del lettore, ansioso di scoprire l’assassino, e la vita non potesse fare a meno di tingersi di giallo.

E allora ben vengano scrittori come Corrado Alvaro, morto oltre sessant’anni fa ma ancora vivo per chi sa apprezzare l’altra letteratura, quella fatta di metafore, di figure simboliche, di mondi arcaici che non smettono mai di rivelare l’essenza più profonda del vivere, di storie che sanno raccontare il presente pur parlando del passato. L’età breve è un romanzo di formazione e coglie il difficile passaggio dall’adolescenza alla maturità di un ragazzo calabrese che da grande voleva fare il poeta. E quando lo disse per la prima volta ai suoi genitori, “sua madre si mise a piangere, forse di gioia, e suo padre lo prese sul serio. Erano miseri possidenti d’un ettaro di terra, e perciò non lo sgridarono, non lo derisero; lo consideravano visitato da un male divino (…) Essere poeta voleva dire partecipare, come soltanto possono partecipare i poveri, alla grandezza terrena”.  E' davvero impensabile che un bambino, oggi, possa mai esprimere un simile desiderio. Oggi sogna di diventare calciatore, cuoco, poliziotto, attore, cantante. Ma anche questi sono segni dei tempi che viviamo.


domenica 13 giugno 2021

Rileggere



Un bel libro - un grande libro - non va letto mai una sola volta. Dopo la prima lettura non lo si può abbandonare su un ripiano della libreria, come una cosa vecchia e sorpassata. Bisogna cercare di non dire, incrociandolo con lo sguardo: “quel libro l’ho già letto”, come per sottolineare che ci si può mettere sopra una pietra tombale. Un bel libro – e qui entrano in gioco inevitabilmente anche le nostre preferenze e competenze letterarie, i nostri gusti estetici – non si finisce mai di leggere. Con il passare del tempo cambia il nostro modo di percepire le cose e ogni qual volta lo sfogliamo, ne ricaviamo sempre nuove impressioni. Ogni rilettura ci regala qualcosa di inatteso che prima ci era sfuggito.

Per quanto mi riguarda, preferisco rileggere più volte un vecchio e amato libro, con le sue pagine ormai ingiallite, piuttosto che leggere “il più venduto”, il cosiddetto best seller. Nel primo caso, è come rivedere il primo amore che non si dimentica mai. E’ ritrovare in “quel libro” l’antica complicità che si è stabilita con l’autore. Nel secondo caso, invece, vedo spesso la tirannia del marketing che incombe sul lettore. Vedo l’astuta abilità di certi autori che - grazie alla pubblicità e a certi decisivi passaggi televisivi - sanno cogliere le aspirazioni del momento e assecondare i sentimenti comuni dei lettori, con delle storie che emotivamente si avvicinano al loro sentire. E allora si legge quel libro senza che ci sia stata una scelta consapevole e interessata; si legge perché risulta ai primi posti nelle vendite, come se la qualità di un testo fosse da ricercare nella quantità dei suoi lettori. E poi si legge, perché l’autore è un volto noto della televisione. Una sorta di imposizione consumistica di un prodotto, questa, che riflette il dilagante conformismo dei nostri tempi.

Rileggere esprime anche un modo di essere, denota una sorta di inadeguatezza verso le mode letterarie del momento, una certa insofferenza nei confronti di quella letteratura che sembra voglia rassicurare e ammiccare, e che si parla addosso e si ripete. Rileggere significa, addirittura, avere nostalgia di un libro, di una storia che ha appassionato e che si desidera rivivere per riassaporarne la bellezza; rileggere prefigura un atteggiamento mentale e culturale di “ritorno” al passato, di rifiuto di certa letteratura usa e getta. E se leggere significa intraprendere un viaggio per esplorare l’ignoto, alla stregua di un moderno Ulisse, rileggere vuol dire ritornare a Itaca, alle sicurezze del luogo natale. Non bisogna mai abbandonare “il nostro libro,” dobbiamo riprenderlo tra le mani soprattutto in quelle giornate di particolare disgusto esistenziale, quando tutto ciò che succede intorno a noi non ci piace: e allora affidiamoci al conforto delle sue pagine. Sono questi i grandi libri, che continuano ad essere letti e riletti, che fanno parte della nostra esistenza, che li abitiamo e li amiamo. Ma quanti sono questi libri che meritano una rilettura? Beh! Io credo che facendo un conto veloce, i miei si riducano a un centinaio. Non di più. E’ come dire che alle letture infinite e ignote io preferisco quelle finite, che meglio si riconciliano con la finitezza della vita.