lunedì 22 febbraio 2021

I luoghi della lettura

 


Con l’avvento delle nuove tecnologie, che stanno sempre di più modificando le nostre esistenze, anche i luoghi fisici si avviano a scomparire soppiantati da quelli virtuali, così come i libri elettronici (ahimè!) stanno prendendo il posto di quelli cartacei. Premesso che ognuno di noi dedica alla lettura tempi e metodi diversi - a seconda dell’importanza che si dà a quest’attività dello spirito - io penso che il luogo in cui si legge sia importante quanto il libro stesso. Credo che esista una sorta di relazione amorosa indivisibile che si stabilisce tra il lettore, il libro e l’ambiente circostante, tale da risultare indispensabile per godere della lettura nel migliore dei modi. Italo Calvino raccomandava al lettore, per leggere al meglio un libro, di estraniarsi completamente dall’esterno e lasciare “che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto”. Io credo, invece, che non bisogna chiudere del tutto la porta al mondo circostante e che lo stesso debba entrare, in qualche maniera, nella coscienza di chi legge. Certo, se proprio non puoi fare a meno di leggere pur trovandoti in un posto rumoroso e molesto, è bene che ti estrani da quella sfavorevole situazione (se ci riesci); altra cosa, invece, è leggere in un ambiente favorevole ed idilliaco: allora, è meglio che quel mondo non “sfumi nell’indistinto” ma diventi esso stesso parte di quella lettura.

Sappiamo bene che i lettori più voraci non pongono limiti né di tempi né di luoghi: leggono sempre, in ogni spazio e nei posti più strani ed imprevisti e anche nelle condizioni più estreme. Per loro, ogni momento della giornata è buono per sfogliare un libro che portano sempre con sé. Io non ci riesco, lo ammetto. Incontro serie difficoltà nel leggere in certi posti e a certe condizioni. Sono più intransigente perché devo creare quella giusta atmosfera che si realizza attraverso la perfetta sintonia tra il libro, lo spazio in cui mi trovo e il mio stato d’animo. E poi, devo dire che i miei tempi di lettura sono molto lenti perché mi capita di alzare gli occhi dalla pagina, di tanto in tanto, e pensare a quello che ho letto in quel preciso momento; oppure sento la necessità, a volte, di tornare indietro nelle pagine. E, dulcis in fundo, ho il vezzo di sottolineare con una matita: una parola, un pensiero che mi ha particolarmente entusiasmato, quasi a volerlo imprimere per sempre nella memoria. Diceva Seneca “…del molto che leggo, prendo sempre qualcosa”. Ed io prendo…anzi saccheggio con la mia matita. Si sa che un libro non può essere letto in una sola volta, se non in casi davvero rari. E allora può succedere che le sue pagine vengano lette in momenti diversi, in luoghi diversi, con uno stato d’animo diverso. La lettura diventa, allora, una sorta di puzzle letterario la cui narrazione solo apparentemente si porta a termine in maniera lineare. Infatti mi capita di rileggere dei libri in tempi e luoghi differenti e ogni volta ho come l’impressione di aver letto un libro nuovo, questo perché le variabili che influiscono sulla lettura cambiano di volta in volta.

Le mie migliori letture, quelle più appaganti e gradevoli, le faccio quando mi ritrovo da solo - la lettura, si sa, educa alla solitudine – magari in un luogo ameno all’aria aperta, al cospetto di un magnifico panorama. E mi riferisco, in particolare, ai momenti che trascorro nel mio paesino natale, il mio buen retiro, lontano dai rumori della città. Dicevo che ho l’abitudine di sollevare ogni tanto lo sguardo dal libro. Ebbene, fare questa pausa di riflessione mentre si ammira un uliveto, o si scorge in lontananza un antico borgo arroccato su una montagna o si sta seduti su una panchina di fronte al mare, senza bagnanti – bisogna ammetterlo - non è come trovarsi nella sala d’attesa di un medico o dal barbiere o in un vagone della metropolitana nell’ora di punta. Le impressioni e le reazioni che se ne ricavano sono opposte. E credo che non basti neanche starsene comodamente seduti sul divano di casa, se davvero si vuole quell’incontro d’amore che nasce tra le pagine scritte e il luogo che ti accoglie. Per quanto bella e ospitale sia la tua casa, espressione della tua identità e della tua filosofia di vita, dove puoi volgere lo sguardo quando senti il bisogno di allontanarti, per un momento, dalla pagina scritta? Sulla televisione che trasmette incessantemente, di là, il quotidiano teatrino della politica e dell’informazione? Sulla credenza di fronte che racchiude la cristalleria per gli ospiti? Su quegli anonimi e brutti palazzoni che si intravedono dalla finestra aperta, da cui entra forte e fastidioso il ruggito del traffico? Diciamocelo: manca quell’atmosfera di piacevole abbandono che fa la differenza. Manca quel segnale di bellezza naturale esterna, quei colori e quei profumi e quella storia di certi luoghi che hanno la straordinaria capacità di stimolare ed esaltare il piacere della lettura. Qualcuno dirà: e la libreria di casa, allora? Non è forse una vasta prateria colorata capace di raccogliere lo sguardo e con esso i pensieri e la fantasia di chi legge? Non è forse una magnifica cattedrale che contiene tutta la bellezza dell'universo? Si, in casa bisogna leggere all’ombra di una libreria che vigila su di noi, con i suoi libri grandi e piccoli, libri nuovi appena comprati e vecchie edizioni introvabili, scovate sui banchetti di un mercatino dell’usato, libri con le pagine ingiallite o freschi di stampa, con la copertina bianca e con la copertina gialla, grigia, libri brutti e libri belli, in edizione economica e in edizione pregiata,  libri parcheggiati in bella confusione in doppia fila, accovacciati di piatto davanti agli altri e accatastati gli uni sopra gli altri, libri che devo ancora leggere e libri già letti ma che vorrei rileggere. Uno spettacolo bellissimo di fronte al quale la lettura non può che scorrere piacevole e diventare fonte di benessere.  E’ proprio vero: ci sono contesti in cui un libro – un buon libro - acquista un altro sapore, un altro significato e questo accade quando si rapporta con il luogo in cui lo si legge, luogo che diventa parte integrante della lettura. In tali circostanze le parole che scorrono sul libro sono, per il lettore, i colori sulla tavolozza per il pittore che dipinge un quadro en plein air.  


lunedì 8 febbraio 2021

Bordello facebook

 


Qualche tempo fa mi era venuta l’immagine di facebook come di una strada a luci rosse. Ognuno sta in vetrina a esporre la sua merce. Chi mostra i glutei, chi spalanca le cosce. Tutto un susseguirsi di merci che cercano acquirenti nella scabrosa condizione in cui i produttori sono assai più dei possibili compratori. E questo i compratori lo sanno e da lì nasce la figura del compratore sadico, colui che entra nel box, gira intorno alla merce e magari se ne va lasciando semplicemente un commento sarcastico. Non c’è differenza tra chi esibisce la sua gamba monca, l’occhio in cui cigola il delirio, e quelli che fanno finta di stare qui perché vogliono cambiare il mondo, fanno finta di indignarsi, insomma fanno finta di essere scrittori. Facebook è una creatura biforcuta perché porta la scrittura, ma la porta in un clima che sembra quello televisivo. Chi scrive, chi commenta, deve ogni volta decidere da che parte stare, sapendo che da quando abbiamo smesso di credere all’invisibile e al sacro tutto il visibile e il profano non ci basta più, e ci basterà sempre meno

Franco Arminio


lunedì 1 febbraio 2021

La mia isola che non c'è

 


Quando la città in cui vivi – con il suo traffico snervante, il suo frastuono, le sue inefficienze, il suo degrado…le sue follie – mette a dura prova la tua pazienza; quando gli strumenti digitali sempre più invasivi ed i mezzi di informazione di massa sempre più pressanti condizionano i tuoi pensieri; quando il continuo chiacchiericcio mediatico e politico ti assale e non ti dà scampo, con i suoi gridi d’allarme e le sue enfatiche notizie, ebbene allora – lo confesso - mi lascio prendere da un pensiero estremo: approdare come un naufrago su un’isola deserta, alla stregua di quegli antichi navigatori del passato che, dopo mesi e mesi di navigazione in alto mare, sbarcavano su terre lontane e disabitate. Proprio in tali circostanze di sconforto e frustrazione si affaccia alla mente quell’intimo desiderio di scappare dal presente, da ciò che vedo e da ciò che sento; e di allontanarmi dalle cose che fluttuano intorno a me come asteroidi, per cercare protezione e conforto in un “altrove” che possegga la virtù di sciogliere contrarietà e delusioni, disinganni e malinconie. Ecco, allora, che affiora l’isola come consolazione dell’anima. L’isola come metafora di libertà e distacco dalle miserie quotidiane, dove poter rimarginare le ferite prodotte dal disordine della modernità, dal caos metropolitano e dalle follie dell’uomo.

 Ma non ho né la forza di un Robinson Crusoe, né il coraggio di un David Thoreau.  E allora posso scappare solo su un’isola che non è di questo mondo: l’isola che non c’è, luogo di illusioni e di fantasie. Qui il rischio di essere inseguiti è praticamente inesistente e ci si può ritagliare un immenso territorio gratificante, lontano dall’omologazione e dai condizionamenti della società che ti rincorrono. Immagino di portarci poche cose essenziali: qualche libro… un cane… una capretta…tre galline… Vivere così, tra la terra, il cielo e il mare, in una casetta di pietra, con un piccolo camino e con tre sedie, come quelle descritte da Thoreau: “una per la solitudine, due per l’amicizia e tre per la compagnia”. Forse a me basterebbe solo quella per la solitudine: chi mai avrebbe voglia di raggiungermi in un posto simile per costruire un’amicizia o una compagnia? Finalmente giornate senza vedere gente per strada che scruta incessantemente un telefonino, senza macchine parcheggiate sui marciapiedi, in doppia e tripla fila, senza spazzatura e graffiti lungo le strade, senza orologi, senza televisori…senza crisi di governo in piena pandemia: giornate segnate soltanto dal sole che nasce e poi tramonta, dal vento che soffia e dalla pioggia che cade lentamente; giornate nelle quali indugiare totalmente immersi nel tempo che passa senza fretta, tanto da dimenticare la sua esistenza, il suo potere mercenario, i segni indelebili che lascia sulle persone e sulle cose. Qualcuno potrebbe dire che, la mia, è una filosofia di vita che coincide con la misantropia. A tal proposito, diceva Leopardi che  “i veri misantropi non si trovano nella solitudine, ma nel mondo: perché l'uso pratico della vita, e non già la filosofia, è quello che fa odiare gli uomini. E se uno che sia tale, si ritira dalla società, perde nel ritiro la misantropia”.

Ricordo che da piccolo, quando ancora vivevo nel mio paese nativo, amavo arrampicarmi sugli alberi e volteggiare di ramo in ramo, come una scimmia. La mia pianta preferita era un grande gelso - che svettava nella piazzetta del piccolo borgo – le cui ramificazioni, molto levigate, mi permettevano di fare delle acrobazie senza scorticarmi eccessivamente le mani. Era un gioco, il mio, ma anche un modo per isolarmi momentaneamente e guardare gli altri dall’alto verso il basso. Un po’ come quel bambino descritto da Calvino nel suo romanzo “ Il barone  rampante” il quale – rifugiandosi sulle piante – poteva affrancarsi da tutti i condizionamenti familiari. Oggi l’isola immaginaria ha preso il posto di quell’albero: vi approdo metaforicamente ogni qualvolta avverto la necessità di difendermi dall’enfasi e dalla tirannia dei mass media, diventati sempre più asfissianti e allarmistici. Mi rifugio lì per liberarmi dalle scemenze dei social, dal teatrino della politica e dell’informazione – entrambi abilmente orchestrati da giornalisti televisivi compiacenti – dalla pubblicità onnipresente che tortura la mente, dalla deriva delle mode, dall’inciviltà e dal malcostume imperanti, dal degrado della città. Penso a quell’isola che non c’è, per affrancarmi dagli imperativi del nostro tempo: produrre, comprare e consumare…e ingrossare quella montagna di rifiuti che sta per coprire e distruggere l’intero pianeta.