Se escludiamo
la sofferenza dalla poesia e dalla pittura, dalla musica e dalla letteratura – insomma
dall’arte in generale - non facciamo altro che privare la “bellezza” di un suo
contenuto fondamentale. Potremmo mai immaginare la poetica di Leopardi senza i
suoi tormenti dell’anima? Se la Dickinson fosse stata una donna felice,
probabilmente non avrebbe potuto deliziarci con i suoi componimenti malinconici.
E pensiamo ad Alda Merini: i suoi versi d’amore nascono dal profondo del suo
disagio sociale. E che dire di Eugenio Montale: senza le sue sofferenze
interiori difficilmente avremmo letto questa struggente poesia:
Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
I poeti sono
capaci di sublimare nell’arte le proprie angosce. Le faticose condizioni esistenziali
molto spesso sono le loro fonti di ispirazione che rappresentano – per noi
lettori - basi di emozioni straordinarie. Mi viene da pensare che la poesia trasmette
felicità anche quando scaturisce da un dolore e sembra quasi che il poeta sia
destinato a soffrire per regalare gioia a chi legge i suoi versi. “Il poeta
è un fingitore – scrive Fernando Pessoa – Finge così completamente che
arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente”. Leggendo certe poesie,
ma anche certi libri – mi viene in mente “Se questo è un uomo” di Levi, il
“Diario” di Anna Frank, ma anche “La cognizione del dolore” di
Gadda o “Il male oscuro” di Berto, etc. - si scopre a quali altezze la
mente umana è capace di arrivare anche attraverso la sofferenza, sopportandola
e superandola per un imprescindibile bisogno di vita.
Anche la pittura spesso nasce da un disagio, da una profonda afflizione dell’anima: penso a Van Gogh e ai suoi dipinti carichi di tormento; penso a Edvard Munch, il pittore norvegese che dipinse la “Malinconia” e ci ha lasciato il suo famoso “Urlo” di terrore e angoscia lacerante;
penso a Picasso con la sua “Guernica”, uno degli esempi più alti di sofferenza; penso a Ligabue che ha racchiuso nelle tele i suoi gravi disagi psico-fisici.
L’arte ha un elevato potere terapeutico:
è il luogo nel quale è possibile incontrare e sentire il dolore senza rimanerne
contagiati. Anzi, succede proprio il contrario tant’è che la bellezza di una poesia o di un dipinto o di una scultura o di un
componimento musicale ci esaltano e ci inebriano, sempre, indipendentemente dal
loro contenuto di tristezza. E’ come se l’artista, trovandosi in una condizione
di malessere, si sentisse più vicino alla sua anima e intravedesse la sua
profonda spiritualità. E' come dire che nessuno meglio di
chi è stato infelice ed ha sofferto può darci insegnamenti di quotidiana
felicità.