“che credibilità ha, chi non
critica costruttivamente e fattivamente la sua vita, di criticare la società e
il mondo?”
Simone Perotti, per chi non lo
conosce, è un giornalista e scrittore nonché marinaio, di 56 anni. Un
bel giorno del 2020 lui prende armi e bagagli e si trasferisce – insieme alla sua
compagna - su un’isola greca dove ricostruisce un rudere, di fronte al mare, e
ne fa la sua dimora prediletta, una casa a impatto zero, autonoma sotto tutti gli
aspetti. Dalla città se ne era già scappato nel gennaio 2008, quando aveva
lasciato Milano, licenziandosi dall’azienda in cui lavorava come manager, per
rifugiarsi in una casetta di pietra in una vallata ligure, ristrutturata con le
sue mani. Aveva deciso di vivere con il poco che riusciva ad ottenere vendendo i suoi libri, però
coltivando l’orto, facendo il pane e riciclando qualsiasi cosa. “Sentivo che
dovevo vivere altre vite e non proseguire con la stessa per i prossimi trenta”,
scrive nel suo libro “L’altra via” con sottotitolo “costruirsi da
soli una casa, progettare per tutti una nuova vita” (Solferino). Ma la vallata ligure
non gli bastava. Aveva navigato per anni tra le isole mediterranee e ora aveva
la sensazione che “bisognasse mettersi in salvo, e che andasse escogitata
una strategia di sopravvivenza per tentare di rimanere esseri umani”. Ecco,
quindi, l’isola greca di Citera, distesa tra lo Ionio e l’Egeo, l’ultima tappa
di questo suo percorso esistenziale. La sua ancora di salvezza.
Ora ci si domanda: ma che cosa
può spingere, oggi, un uomo a lasciare le sicurezze e le comodità di una vita
per un’isola remota? La risposta la possiamo trovare leggendo il suo libro, che
Perotti ha scritto anche “per suscitare una riflessione allargata” : non
gli andava, egli dice, “di saltare dal treno in fiamme da solo”. Mi
limito a riportare, di seguito, alcune sue riflessioni in cui mi ritrovo (e
per questo lo ringrazio) anche se - lo ammetto – io forse non sarei mai capace di
fare una scelta di vita così radicale. Però mi piace sognarla.
“Io e F. cercavamo un po' di
cose per vivere decentemente, ed eravamo pronti a pagare tutti i prezzi
necessari, soprattutto in termini di scelte. L’isolamento, per esempio. Siamo
gente a cui piace stare con gli altri, ma abbiamo bisogno di solitudine per una
quota maggioritaria del tempo. Solitudine dal mondo, e anche l’uno
dall’altra…Io vivo come una specie di eremita da ben prima di conoscerla. Se
esco di casa è perché sto partendo, altrimenti non mi si vede mai in giro. Poi,
all’improvviso, mi viene un gran desiderio di stare con le persone che amo, e
allora scateno baccanali, organizzo una festa, ma fino a quel momento posso
stare da solo per mesi, in compagnia delle mie moltitudini. Ho lasciato lavoro,
carriera, stipendio per studiare e scrivere, due cose che si fanno da soli…Non
ci piace il rumore della città, né qualunque affollamento. Se c’è da fare una
fila, cambiamo programma…
Io dalla città sono venuto via
perché non potevo più vivere senza avere intorno alberi, senza gli animali del
bosco, a pochi metri da me, senza la terra sotto le piante dei miei piedi…Ho
regalato tutti i vestiti nell’armadio, decine di cravatte, una marea di oggetti
inutili, simboli di un camuffamento innaturale. Vivo un’estate intera con una
maglia, sempre con lo stesso paio di braghette sdrucite. Se si strappano le
cucio. Sto scalzo sette o otto mesi l’anno…Siamo entrambi del tutto disinteressati
ai vestiti firmati, ai negozi, ai centri commerciali, al consumo…Non ci
interessano le automobili, altro che per la funzione che svolgono.
Sono anche convinto che nelle
città, tra mutamenti del clima e minacce di vario genere, le cose andranno sempre
peggio. Non sopporto il traffico, l’affollamento, l’idea stessa che bisogna
comprare tutto, che non si possa fare niente per proprio conto…Entrambi amiamo
il Sud, il profumo di limone, fico, finocchio selvatico. Più che amarlo, ne
abbiamo bisogno…
Diciamo anche le cose come
stanno: non ci riconosciamo più nella società degli uomini, almeno per come è
diventata nella maggioranza dei casi. Lo so che suona male, e mi vergogno anche
un po' a scriverlo, ma non ci posso fare niente…E tuttavia, quasi tutto quello
che sento oggi, che leggo sui social network, sui giornali, che vedo accadere,
mi appare distante, sembra l’eco di una voce che parla in una lingua che non
possiedo. Il telegiornale riferisce fatti e opinioni di una cultura che non è
la mia, dove le cose hanno un ordine di importanza capovolto, e dove tutto pare
destinato a peggiorare, insistere nella direzione sbagliata. In questo ultimo
periodo, poi, se ascolto un notiziario o un programma di approfondimento, non
condivido nulla, non i contenuti, non le espressioni, e neppure il tono dato
alle parole. …Per me è come se ci fosse un’occupazione in corso, come se un
esercito alieno stesse dilagando, e bisognasse andare in montagna per rimanere
liberi, facendo i partigiani…Noi ci autofinanziamo con l’autonomia,
l’autoproduzione e la sobrietà…non andiamo quasi mai al ristorante, perché
pagare di più ciò che potremmo prepararci con maggiore soddisfazione e un
decimo del costo non è sensato…non compriamo niente che non sia necessario.
Siamo ambientalisti, senza alcun radicalismo o fisse inutili, ma in modo
determinato e sistematico, ogni giorno, il più possibile, scegliendo le
pratiche migliori…Se andiamo su una spiaggia, torniamo sempre con una busta di
plastica piena di immondizia raccolta lì. Ho stimato che per un’isola come
l’Elba basterebbe che circolassero trenta persone motivate e sarebbe il luogo
più pulito del mondo…
Gli italiani sono cambiati, sono
tesi, ansiosi, angosciati, arrabbiati, e avere sempre intorno gente col fiato
corto fa male…sono diventati troppo spesso arroganti, annoiati e ignoranti come
delle zappe vecchie, e in più con un pessimo carattere. Ci sono in giro un
mucchio di razzisti, intolleranti, gente che quando parla mi fa
rabbrividire…viviamo tutti con un insufficiente spazio per lo spirito, e poco
anche pe la vita solitaria e le relazioni autentiche…
Quando non si buttava niente,
ogni cosa veniva rispettata per il valore che aveva, cioè per la fatica che era
costata produrla. Nella mia Repubblica ideale, l’atto di gettare via è un reato…a
me il buon contadino di un tempo affascina per alcune cose, ma non aspiro
affatto a tornare ai suoi tempi. Voglio progredire, non recedere…Abitare non è
un fatto occasionale, temporaneo, dettato dall’esigenza strumentale di stare lì
perché l’ufficio è vicino, o perchè c’è la fermata del metrò. Questo accade
nelle città, è normale nel nostro alienato sistema di vita, dove abitare non è
più una funzione del vivere. Si vive dove si abita, mentre dovrebbe essere il
contrario…
Il denaro, uno strumento, è diventato
l’obiettivo assoluto: un fine. E pensare che il denaro era nato per
semplificare il negotium: un portafogli in tasca era più pratico che andare in
giro con tre galline da barattare con una zappa. Il mezzo che diventa obiettivo
finale è il tipico campanello d’allarme della nevrosi…Ci assicuriamo per tutta
la vita contro danni che mai o quasi mai subiamo…correre dietro alle sicurezze
assolute si vive sempre più insicuri, assediati dalla paura, e per di più
incapaci di difenderci a dovere…L’uomo antico, che pativa ogni genere di
rischio (invasioni, malattie, soprusi, fame, carestie, violenza…) senza
medicine, diritti, risarcimenti e aiuti statali, pare vivesse più sereno di noi…”