Cerca nel blog

sabato 25 aprile 2020

Il prima e il dopo



Ci siamo ritrovati all’improvviso barricati in casa, spaventati e prigionieri delle nostre inquietudini generate da un nemico invisibile e sconosciuto: il coronavirus. Non eravamo preparati ad una segregazione in casa così lunga e forzata. Avevamo lasciato, fuori, il mondo che più amiamo, forse più della nostra stessa casa: rumoroso, caotico e inquinato, il mondo globalizzato creato in pochi decenni a nostra immagine e somiglianza, che sembrava potesse offrirci sicurezza e certezze. Un mondo, quello, al centro del quale, da un po’ di anni a questa parte, non c’è più l’uomo, con la sua immensa fragilità; non c’è più la natura incontaminata con il suo ordine e con il suo equilibrio geologico raggiunto attraverso migliaia e migliaia di anni; ma c’è il potere economico e finanziario sorretto dal dio denaro che tutto calpesta: territorio e salute, sentimenti e qualità della vita. Credevamo di essere inattaccabili e invulnerabili: onnipotenti. Pensavamo di essere padroni incontrastati del pianeta, un pianeta da manipolare e sfruttare e stravolgere a nostro piacimento nei suoi aspetti naturali e climatici. Sicuri del fatto che nulla potesse mettere in discussione il nostro comportamento, assistevamo giorno dopo giorno al primato dell’eccesso sulla moderazione, della velocità e del “tutto subito” sulla lentezza e sulla riflessione, della competizione sfrenata sulla solidarietà, della produzione globale su quella locale, dell’efficienza produttiva sul piacere per le piccole cose. Avevamo maturato la convinzione che l’acquisto e il consumo smodato di beni e di merci e lo stordimento attraverso divertimenti eccessivi ci avrebbero resi felici.

Rincorriamo, da molti anni, la crescita illimitata del Pil anziché una migliore qualità della vita, pur sapendo che nella formulazione di questo indicatore – il famigerato Pil - non sono comprese quelle attività e quelle risorse che - non avendo un indicatore commerciale – non vengono prese in considerazione: come l’acqua limpida e pura e l’aria fresca e non inquinata; la genuinità dei cibi che arrivano sulla nostra tavola e la salute dei nostri figli; la qualità della loro istruzione e la spontaneità dei loro svaghi; la vivibilità delle nostre città e il valore dell’arte nella crescita sociale e culturale; e poi l’importanza del verde pubblico e delle foreste, che purtroppo stiamo distruggendo. E’ bastato un microscopico virus – che certamente non è uscito dal cappello di un prestigiatore ma è il frutto delle nostre scellerate condotte di vita – per farci finalmente capire che abbiamo un corpo che si può ammalare e con esso l’intera impalcatura esistenziale su cui abbiamo costruito il nostro presente; e ci siamo resi conto, forse per la prima volta, di quanto siamo fragili e vulnerabili.

La nostra casa, rifugio caldo e confortevole che ci accoglieva dopo una giornata di lavoro e di svago, improvvisamente è diventata una sorta di prigione. “State a casa”, ci siamo sentiti dire in questi giorni dagli uomini delle istituzioni e dai mezzi di informazione di massa. Ma, per noi, la vita non si svolgeva tra queste quattro mura, ma fuori, tra quelle piazze e quelle vie, ora vuote e spettrali, ma prima superaffollate di gente e di macchine, impregnate di rumori e di smog, brulicanti di attività frenetiche. La vita vera, così come l’avevamo impostata, era fatta di velocità e di incontri, di affari e di continui spostamenti da un punto all’altro del pianeta, di sprechi e di bisogni superflui, di ritmi serrati e snervanti; la vita vera era fatta di tempo libero vissuto in maniera nevrotica nei posti di villeggiatura presi d’assalto dal turismo di massa.

Abbiamo intrapreso un percorso esistenziale che, se oggi ha partorito la tragedia che stiamo tutti vivendo, nei prossimi decenni l’umanità potrebbe trovare sulla propria strada nuove minacce: un virus diverso o il collasso ecologico. Si, perché a causa del criminale sfruttamento dell’ambiente,  che provoca danni irreversibili e cambiamenti devastanti alla composizione della terra, dell’acqua e dell’aria che respiriamo, la natura prima o poi ci chiederà il conto. Dicono - gli ottimisti - che non tutti i mali vengono per nuocere e che questa tragedia globale ci renderà migliori. Dicono che questo nemico invisibile, che ora ci costringe a stare chiusi in casa e a mantenere le distanze sociali, cambierà i nostri comportamenti futuri, le nostre consolidate abitudini. Lo confesso: io non credo a questa metamorfosi e nutro seri dubbi sul nuovo umanesimo che dovrebbe investire i nostri tempi. Ho l’impressione che la gente già scalpiti per poter ricominciare tutto daccapo. Magari recuperando il tempo perduto in casa, perché il lupo perde il pelo ma non il vizio. E allora, io credo che – superata la fase 1 e poi la fase 2, con le sue regole rigide, con le sue mascherine e la distanza sociale – con la fase 3 e la fase 4 tutto tornerà come prima. E chi, già prima, conduceva una vita equilibrata, semplice e appartata, rispettosa dell’ambiente, lontana dagli affollamenti e dagli spostamenti frenetici, e si affidava ai ritmi lenti dell’esistenza, immaginando il luogo in cui vive quale centro insostituibile del mondo – essenziale per dare un senso alla propria esistenza - sarà invogliato ancor di più a continuare su questa strada, ed a privilegiare la quiete della propria casa ad una strada affollata e caotica. Chi, invece – prima del coronavirus - aveva una diversa filosofia di vita, molto più movimentata e stressante, priva del senso del limite e della misura, basata sulla velocità piuttosto che sulla lentezza, la cui unica finalità era quella di produrre e consumare e sprecare e inquinare e distruggere e sporcare e viaggiare, sempre di più, da un punto all’altro della terra in poche ore, non vedo come possa rinsavirsi - così da un giorno all’altro - modificando il proprio stile di vita per uno più morigerato e corretto. Abbiamo una memoria cortissima, e fra qualche mese, quando il coronavirus con i suoi morti e con le sue sofferenze sarà un lontano ricordo, nessuno si ricorderà più dei buoni propositi di cambiamento sociale, oggi da tutti auspicati.

sabato 18 aprile 2020

Casa silenziosa



Le penne della scrivania,
gli inchiostri neri e la mano
mancina che si macchia
della sostanza che realizza
il pensiero.
E tutto il resto è il mondo.

Le porcellane dipinte a mano,
i piatti del servizio buono
con il filo d’oro, le posate
d’argento tediate dall’attesa
dell’ospite importante
che non è ancora arrivato.
Le bottiglie di liquore denso
scambiate sempre a Natale,
i quadretti con scritto “vi penso”
del padre emigrato in Germania,
le torri di Pisa illuminate
al neon, i busti degli imperatori
in bronzo, San Pietro
di plastica sopra la mensola.
Il pianoforte coperto di polvere
bloccato alle sette note,
i tasti neri sfiorati da dita
lontane, il violino del nonno
con le corde spezzate
e i manichini di burro contorti
ad appassire alla finestra,
i fiori, le bollette e i dischi
dei cantautori morti.
E la foto di una donna
bella come non è mai stata.
Le statuette in gesso dei santi 
e le preghiere che si sgranano
sui fili del rosario
e lo stanco orologio a pendolo
che macina le ore
sul filo del rasoio.
E tutte le giacche a doppiopetto,
le sciarpe profumate d’incenso
dell’India sognata.
Ancora i biglietti del treno,
banchina di Santa Maria Novella
ventuno aprile o ventidue.
E le perle della tua corona.
Le bamboline di ceramica
ghignano invece di sorridere, 
escono coi soldatini di piombo
la notte sulle macchinine di latta.
I libri censurati sopra gli scaffali
coi fiori sbiaditi come segnalibri,
i giornali e gli animali impagliati.
Il poster col ragazzo che spara
inginocchiato col viso coperto
e le mani tese in avanti,
la disperazione di due madri
che macchia il foglio.
I segni delle dita impressi
nel mazzo di carte appoggiato
sulla stufa spenta.
Non ci sono tutte:
mancano un re e un cavaliere.
Non me ne dispiace affatto.
E tutto il resto è il mondo.

A. C.

lunedì 13 aprile 2020

Nostalgia



“Sono entrato dal barbiere con la disposizione consueta, col piacere che mi dà il fatto di poter entrare senza imbarazzo nei luoghi conosciuti. La mia sensibilità al nuovo è terribile: mi sento calmo solo nei luoghi in cui sono già stato.
Mentre mi accomodavo sulla poltrona mi è venuto fatto di domandare al garzone che mi stava collocando intorno al collo un lino freddo e pulito, come stesse il suo collega che serviva alla poltrona accanto, quel tipo spiritoso, più anziano di lui, che era malato. Glielo ho domandato senza che mi premesse sapere: è stata una domanda suggerita dal luogo e dal ricordo. “E’ morto ieri”, mi ha risposto senza tono la voce che stava dietro di me e le cui dita stavano finendo di inserire l’asciugamano fra la mia nuca e il mio colletto. Tutto il mio immotivato buonumore è svanito all’improvviso, come il barbiere della poltrona accanto assente per l’eternità. E’ sceso il freddo sui miei pensieri. Non ho detto niente.
Nostalgia ! Ho nostalgia perfino di ciò che non è stato niente per me, per l'angoscia della fuga del tempo e la malattia del mistero della vita. Volti che vedevo abitualmente nelle mie strade abituali: se non li vedo più mi rattristo; eppure non mi sono stati niente, se non il simbolo di tutta la vita. Il vecchio anonimo dalle ghette sporche che mi incrociava quasi sempre alle nove e mezzo del mattino? Il venditore zoppo dei biglietti della lotteria che mi seccava senza successo? Il vecchietto tondo e rubizzo, col sigaro in bocca, che sostava sulla porta della tabaccheria? Il pallido tabaccaio ? Cosa ne sarà di tutti costoro che, solo per averli sempre visti, hanno fatto parte della mia vita? Domani scomparirò anch'io da Rua da Prata, da Rua dos Douradores, da Rua dos Fanqueiros. Domani anch'io - l'anima che sente e pensa, l'universo che io sono per me stesso - sì, domani anch'io sarò soltanto uno che ha smesso di passare in queste strade, uno che altri evocheranno vagamente con un "che ne sarà stato di lui?”. E tutto quanto ora faccio, quanto ora sento e vivo non sarà niente di più che un passante in meno nella quotidianità delle strade di una città qualsiasi “.

Brano tratto da “Il libro dell’inquietudine”
di Fernando Pessoa

sabato 4 aprile 2020

Viaggio intorno alla mia stanza



Giusto un anno fa avevo scritto una recensione su questo libro. Ora, alla luce di questa nostra forzata segregazione in casa, mi piace di nuovo riproporre il post, perché credo che la tematica trattata sia di stringente attualità.

Tutta l’infelicità degli uomini – diceva Pascal – viene da una sola cosa, e cioè dal non saper starsene da soli in una stanza. Il desiderio di uscire… di viaggiare... di andare... di muoversi, ha sempre spinto gli uomini ad allontanarsi dal proprio ambito quotidiano e familiare, dalla propria “stanza”. Nel passato i giovani artisti e gli aristocratici dei ricchi paesi del nord Europa (Inghilterra, Germania, Francia),  intraprendevano un lungo viaggio alla scoperta dell’ Italia – il cosiddetto grand tour – il cui obiettivo era soprattutto quello di affinare la propria cultura. Queste esperienze di viaggio le ritroviamo in alcuni bellissimi libri: mi viene in mente il “Viaggio in Italia” di Goethe o quello di John Ruskin descritto in “Mattinate fiorentine”. C’è stato, invece, uno scrittore francese di nome Xavier De Maistre, il quale - intorno al 1790 – all’età di ventisette anni, senza spostarsi dal modesto alloggio in cui si trovava recluso (per quarantadue giorni), e quindi senza fare bagagli e senza prendere alcun mezzo di trasporto (praticamente a costo zero), intraprese un viaggio esplorativo nella sua stessa camera da letto. La cronaca di questa sua singolare e bizzarra impresa  la raccontò in un libro che si intitola “Viaggio intorno alla mia stanza”, libro che alla sua pubblicazione venne salutato come un piccolo capolavoro letterario. Nella prefazione il fratello Joseph De Maistre (famoso filosofo e politico) mise in evidenza che l’autore non intendeva affatto screditare i grandi viaggiatori del passato, ma che desiderava solo consigliare, ai poveri e a coloro che temevano un furto in casa, un modo di viaggiare molto più pratico e conveniente.

Le 42 giornate trascorse in quella camera – pari ad altrettanti capitoletti in cui è suddiviso il libro – sono raccontate con una grazia ed una raffinatezza davvero encomiabili. All’autore basta poco per descrivere una sensazione o un’emozione, per rivelare un’indagine psicologica o per creare un personaggio immaginario: un quadro appeso alla parete, un oggetto apparentemente insignificante, un mobile. Tutto è utile alle sue descrizioni e al suo intimo modo di sentire e di guardare. Come quando si trova di fronte al suo letto che “ci vede nascere e ci vede morire; è il mutevole teatro nel quale il genere umano rappresenta a turno drammi interessanti, farse ridicole e tragedie spaventose. E’ una culla adorna di fiori; è il trono dell’amore; è un sepolcro”. Non avevo mai letto una riflessione così profonda su un mobile presente in ogni casa e di cui tutti ci serviamo quotidianamente. Senza, però, soffermarci su di esso con il pensiero.

“Coraggio, dunque, si parte – scrive l’autore – Seguitemi voi tutti, che per una delusione amorosa o per un malinteso tra amici, ve ne state chiusi nel vostro appartamento, lungi dalla piccineria e dalla perfidia degli uomini. Mi seguano tutti gli sventurati, tutti gli ammalati, tutti gli annoiati del mondo! Si levino in massa tutti gli indolenti!... voi che in un salottino rinunziate per sempre al mondo, amabili anacoreti d’una serata venite anche voi; datemi ascolto, lasciate quei vostri tetri pensieri; voi sottraete un attimo al piacere senza guadagnarne uno alla saggezza; degnatevi di accompagnarmi nel mio viaggio; marceremo pian pianino, ridendo, lungo il cammino dei viaggiatori che hanno visitato Roma e Parigi…”. Sembra rivolgersi proprio a noi che stiamo vivendo questo particolare momento della nostra esistenza, invitandoci ad abbandonare quei tetri pensieri che da circa un mese ronzano nella nostra mente.

E ancora, in una delle sue peregrinazioni, lo scrittore francese scrive “…quando viaggio nella mia camera, raramente percorro una linea retta; vado dalla tavola verso un quadro situato nell’angolo: di là mi muovo obliquamente per andare verso la porta; ma sebbene alla partenza la mia intenzione sia quella di recarmi là, se incontro il mio seggiolone sul cammino non sto a pensarci e mi ci sdraio senza complimenti. Il seggiolone è un eccellente mobile, ed è di estrema utilità per un meditativo. Nelle lunghe serate invernali, talvolta è dolce, e sempre prudente, distendervisi mollemente, lungi dal fracasso delle assemblee affollate. Un focherello, alcuni libri, una penna: che risorse contro la noia! E che piacere dimenticare i propri libri e la penna per attizzare il fuoco, abbandonandosi a qualche dolce meditazione, oppure buttando giù alla meglio dei versi per divertire gli amici! Allora le ore scorrono e piombano silenziosamente nell’eternità, senza far sentire il loro triste passaggio”

Ma qual è il messaggio profondo di questo libro delizioso? Al di là del libero accostamento alla situazione attuale che ci vede reclusi in casa, secondo me non può essere che uno solo: il piacere del viaggio e dello spostamento deriva non tanto dal luogo prescelto quanto dall’atteggiamento interiore con cui si affronta il viaggio stesso. Si può viaggiare anche durante i percorsi che facciamo tutti i giorni nelle nostre città; e si può viaggiare stando nel chiuso di una stanza, cioè in quel “bugigattolo” dove ci rifugiamo e ci nascondiamo agli occhi del mondo, collegati intimamente solo con la nostra anima, che vede, sente e descrive paesaggi, avventure ed emozioni. Sembra quasi che De Maistre voglia invitarci a guardare con occhi diversi la realtà quotidiana che ci circonda. E se noi riuscissimo a farlo, a scrutare luoghi e cose con uno spirito di osservazione immune dall’abitudine e dall’indifferenza, senza farci guidare dalle mode e dagli strumenti tecnologici, forse ci accorgeremmo che le cose degne di interesse si trovano anche accanto a noi e che non sempre è necessario partire verso mete lontane ed esotiche per scoprirle. Credo che il coronavirus e l’emergenza che stiamo vivendo – con tutto il suo carico di morte e di paura – dovrà spingerci, in futuro, a cambiare il nostro stile di vita, le nostre abitudini.