mercoledì 9 aprile 2025

Moravia: Quando verrai sarò quasi felice

 




Alberto Moravia è uno dei grandi narratori del ‘900. Tra i miei preferiti. Penso di aver letto quasi tutto di lui, soprattutto durante gli anni del Liceo. Ricordo che lo incontrai un pomeriggio di tanti anni fa: credo fosse il 1990, l’anno della sua morte. Passeggiava per il centro storico di Roma, appoggiato al suo bastone, con quella sua andatura claudicante e con quella sua espressione perennemente annoiata, in compagnia della seconda moglie, Carmen Llera, di ben 45 anni più giovane di lui. Lo confesso: mi sarebbe piaciuto salutarlo e dirgli che ero un suo fedele lettore o, magari, avere un autografo, io che non ho mai chiesto autografi a nessuno. Ma non me la sentii di disturbarlo. Devo dire, però, che gli andai dietro per un po’, forse per trovare quel coraggio che mi mancava o forse per carpire qualche sua parola, prima che entrasse in un cinema di Via del Corso, dove proiettavano un bellissimo film che io collego sempre a quell’incontro rimasto in sospeso: “Balla coi lupi”. Qualche giorno dopo lessi la sua recensione su l’Espresso – lo scrittore allora collaborava con la rivista come critico cinematografico - e mi colpì positivamente, tant’è che decisi di andare al cinema a vedere il film.

Questo “amarcord”, per dire che ho appena finito di leggere le lettere che Alberto Moravia scrisse - dal 1947 al 1983 - a Elsa Morante, la sua prima moglie sposata nel 1941, raccolte in un volume pubblicato da Bompiani che si intitola “Quando verrai sarò quasi felice”, titolo tratto proprio da una lettera che lo scrittore le aveva inviato da Anacapri nel 1951. Sono lettere, queste, nate nei momenti di reciproca lontananza fisica, durante i numerosi viaggi di lavoro dello scrittore, che testimoniano la relazione affettiva e intellettuale della coppia, relazione tanto passionale quanto tormentata che andò oltre la loro separazione giunta dopo 25 anni, e mai sancita dal divorzio.

“Ho molto amato Elsa Morante – ebbe a scrivere una volta Moravia – non sono mai stato innamorato di lei. Innamorarsi è una cosa, amare è un’altra cosa”. Scorrendo queste lettere si comprende come i due giganti della nostra letteratura del Novecento - che riuscivano a catalizzare attorno a sé la società letteraria di quel tempo, e non solo – si amassero litigando. “Uniti e insieme divisi, per l’intera vita” come ha scritto la curatrice di questa corrispondenza, Alessandra Grandelis che si occupa da tempo dell’opera omnia dello scrittore romano. Devo dire che dalle lettere non si manifesta - se non a livello sotterraneo - quel “demone della letteratura” che li univa, mentre traspare con forza il lato umano, intimo e privato di Alberto Moravia, la sua fragilità, la sua solitudine che avvertiva anche stando tra la gente, la sua tristezza, le sue giornate “orribilmente noiose e angosciose”  vissute a Roma. “Cara Elsa – scrive in una lettera, proprio da Roma – mi sento così depresso come non sono mai stato in vita mia. Non riesco a fare niente senza impazienza e noia e le giornate sono un vero tormento per me. Ti prego però di non prendere troppo sul serio queste mie lamentele. E’ sempre stato così. Adesso è un poco peggiorato, ecco tutto”. Moravia appare saturo della vita di Roma, “i rumori terribili, il puzzo della benzina, la folla, tutte cose stancanti e ossessive”. In una lettera inviata dalla Iugoslavia nell’agosto del ‘64 fa presente di ritardare il suo rientro a Roma perché odia quella città, gli è completamente straniera e non ci trova “più niente che mi piaccia o per lo meno che me la faccia sopportare”.

Si sente spesso infelice, Moravia, ha la sensazione di portare un “busto” che lo “affligge molto”, si sente scontento di sé stesso e del lavoro che fa, non gli piace star solo, ma neppure “di stare in compagnia di gente volgare e noiosa” e allora avverte la necessità di evadere, viaggiare, cambiare aria. Le lettere sono state spedite dalle località più diverse: Parigi, Londra, Francoforte, Tokyo, New York, Leningrado…e Capri, dove spesso lo scrittore soggiorna, un’isola “che sta avviandosi decisamente a rassomigliare ad una spiaggia del tipo di Viareggio”, così scrive a Morante; preferisce invece Anacapri “il luogo che amo di più al mondo”. Ma la cosa che più colpisce, leggendo questa corrispondenza, è che Moravia declama sempre, in ogni occasione, il suo amore, il suo affetto a Elsa: “penso spesso a te – le scrive da Roma nel settembre del ’59 – e voglio dirti ancora una volta che tu sei la sola persona che conta nella mia vita e che non desidero se non di renderti felice e di stare con te. Non credere però (secondo il tuo solito) che io dica queste cose perché sei andata via e sei lontana. Le dico perché oggettivamente e realmente questa è la verità”. Eppure, a volte Moravia appare in balia delle bizze e delle stranezze della moglie, come quando lui le parla di quelle piccole cose quotidiane di interesse comune che ci sono tra di loro. E lei, ogni volta, sbotta. In una lettera che le invia da Roma nel 1961 ci tiene a rimarcare questo suo aspetto impulsivo scrivendo alcune frasi in maiuscolo, come a voler urlare la propria rabbia: “OGNI VOLTA CHE TI SI PARLA DI COSE MATERIALI FAI DELLE SCENATE INVEROSIMILI ASSURDE. TUTTO QUESTO DEVE FINIRE UNA BUONA VOLTA. HAI CAPITO?”. E’ una delle poche volte in cui Moravia sembra perdere le staffe e abbandonare la sua calma, il suo affetto per la moglie Elsa Morante. Un affetto che in qualche maniera durò tutta la vita. Lei morì nel 1985, Moravia la raggiunse cinque anni dopo.



16 commenti:

  1. Dal punto di vista sentimentale erano due irrequieti i ragazzi, due geni del resto, con la sregolatezza che si suole abbinare al ruolo.. (splendida la distinzione tra innamoramento e amore). Condivido la mal sopportazione del vivere a Roma, considerando che Moravia la coltivava già in ben altri tempi, oltretutto, soggiornare beatamente su un'isola non può che renderti insopportabile qualsiasi nucleo urbano, anche appena abbozzato.. credo comunque che nel rapporto tra i due, abbia dovuto faticare più Moravia, poi magari solo un'impressione..

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    1. Si, una coppia irrequieta. Lei doveva avere un bel caratterino...ma anche Moravia non scherzava :)

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  2. Caro Pino, permettimi una critica generica, non rivolta al tuo specifico brano, sempre stimolante (molto apprezzato il tuo "mancato" incontro con Moravia, anch'io sarei rimasto in disparte, altri lo avrebbero importunato).
    mentre gradisco i romanzi epistolari che permettono di entrare poco alla volta nei personaggi letterari e offrono al lettore la visione di un contraddittorio che può essere in armonia o in contrasto e che in ogni caso plasma il rapporto tra i protagonisti, ho una certa avversione per le lettere private rese pubbliche post mortem che trasformano suo malgrado l'autore in personaggio e che solitamente, come in questo caso, non prevedono le repliche di chi le ha ricevute. capisco che siano utili per comprendere meglio il carattere e le abitudini di vita di uno scrittore famoso, ma ciò spesso avviene al prezzo della sensazione di guardare attraverso il
    buco della serratura.
    massimolegnani

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    1. In parte condivisibile questa tua “critica” alla pubblicazione delle lettere private che avviene dopo la morte dell’autore, senza che ci sia stata una sua esplicita autorizzazione. Naturalmente parliamo di autori ed artisti famosi e geniali per i quali – è pur vero - che la dicotomia vita privata/vita pubblica è profondamente intrecciata ed ha una dimensione diversa, a volte difficile da scindere. Bisogna poi saper sempre distinguere tra lettere e lettere e, per esempio, queste scritte da Moravia a Elsa Morante non hanno nulla di scandaloso o di pruriginoso, da non potersi leggere. Insomma non destano quella morbosa curiosità, non è un “guardare dal buco della serratura” come qualcuno potrebbe pensare a prima vista. Resta valida, comunque, la tua considerazione sull’opportunità o meno di pubblicare certe cose che in qualche maniera potrebbero oltraggiare la dignità e la riservatezza di chi le ha scritte. Ma se poi ci mettiamo dalla parte della letteratura, lasciando perdere l’aspetto privato, ci accorgiamo – caro Massimo - che se qualcuno non avesse pubblicato certi carteggi personali, certe lettere che venivano tenute nascoste gelosamente in qualche baule, probabilmente oggi non avremmo avuto gran parte dell’opera di Kafka, o gran parte dell’opera di Pessoa o di Flaubert. Non avremmo conosciuto il Diario di Anna Frank, le lettere dal carcere di Gramsci, le lettere di Pasolini, quelle di D’annunzio che scriveva alle sue amanti, l’epistolario di Leopardi. Ma ci pensi cosa avrebbe perduto la Letteratura, quella con la L maiuscola? Oggi nessuno scrive più lettere, come un tempo. La gente - compresi i nostri scrittori contemporanei – preferisce telefonare, stare sui social: questi si che sono deleteri. Ma nessuno si preoccupa della riservatezza; si spia continuamente dal buco della serratura ma pochi si indignano. Ben vengano, allora, le lettere, quelle belle lettere di una volta attraverso le quali i Grandi del passato, a loro insaputa e senza autorizzarne la pubblicazione, facevano letteratura.
      Un caro saluto.

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    2. Ti do ragione per quel che riguarda le lettere-letteratura, sono stato troppo categorico nel mettere nel mucchio ogni forma epistolare. Resta la mia avversione per certe pubblicazioni post mortem che aggiungono poco sul versante letterario e troppo su quello privato.
      Un saluto a te, caro Pino
      ml

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    3. Ci siamo capiti. Comunque oggi, se questo può consolare, non si corre alcun rischio, né sul versante letterario né su quello privato, perchè nessuno lascia lettere da pubblicare post mortem. Buona serata a te.

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    4. In realtà io lascerò montagne di carte, bloc notes, appunti, recensioni.. ma non mi pubblicano da vivo, e ho serissimi dubbi sul post mortem.. ;)

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    5. Mi fai sorridere, Franco. Comunque non disperare: anche Pessoa lasciò tutto in un baule. Poi, da morto, diventò Pessoa :)

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  3. Pensate che anche Proust aveva scritto un mare di lettere (si rivolgeva prevalentemente così alle persone con cui intratteneva rapporti), ma pensando che dopo la morte qualcuno ne avrebbe approfittato per renderle pubbliche le fece distruggere dalla sua fida governante Celeste durante gli ultimi mesi di vita. Infatti oggi di Proust si hanno molte testimonianze, ma non quelle epistolari.
    Quanto a Moravia, l'ultimo suo romanzo letto è stato "Il disprezzo", che racconta proprio il rapporto conflittuale tra Riccardo Molteni e la moglie: molti hanno visto in questo un elemento autobiografico legato proprio alla figura della Morante.

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    1. Si, Proust aveva scritto molte lettere, come tutti gli scrittori del passato. Era la maniera usuale di comunicare. Ma non tutte le lettere del grande scrittore francese sono andate perdute. Come scrivi tu, lui aveva ordinato alla sua fedele governante Celeste di distruggerle tutte alla sua morte, e quando morì nel 1922 tutti si precipitarono da lei per carpire qualche notizia sulla sua vita privata, qualche verità nascosta del suo passato. Lei si rifiutò sempre di parlare e lo fece solo mezzo secolo dopo quando - stanca di sentire falsità e inesattezze – decise di rilasciare una lunga intervista la cui documentazione è stata raccolta in un libro che si intitola “Monsieur Proust”. Inoltre, per alcuni anni, Proust intrattenne una relazione epistolare con una sua vicina di casa, la signora Williams, di cui non aveva parlato a nessuno; di quella relazione ci sono rimaste solo 23 lettere pubblicate per la prima volta nel 2013 con il titolo “Lettere alla vicina”. Mi sono allontanato dalle lettere di Moravia...ma io amo molto la letteratura epistolare, quella alta che non spia dal buco della serratura, come ho avuto modo di spiegare sopra a massimo. E' un genere letterario che leggo sempre con piacere. Non credo che oggi ci siano scrittori che usino ancora la lettera cartacea quale strumento di comunicazione...forse il suo surrogato, la mail. Ed è proprio la natura di questi due strumenti che ci permette, in estrema sintesi, di capire l'essenza della vita. La lettera cartacea misurava la sua lentezza, la mail la sua velocità, la prima concedeva spazio all'attesa, la seconda vuole tutto subito. Un saluto :)

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    2. Ho letto "Monsieur proust" dell'Albaret, una lettura meravigliosa, che te lo dico a fare! :)
      Quanto all'uso delle lettere cartacee, io ricordo ancora la corrispondenza con delle amiche conosciute a mare, in estate. Nessuno, è inutile, potrà mai restituirci il piacere di aspettare l'arrivo di quelle lettere, caro Pino!

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    3. Una come te non poteva non aver letto "Monsieur Proust". E poi dici bene: nessuno potrà più restituirci il piacere dell'attesa, che solo una lettera cartacea sapeva trasmettere. In fondo cos'è l'attesa se non la vigilia della festa! E l'attesa è il piacere vero. Ogni tanto dovremmo rileggere "il sabato del villaggio"...Ciao Marina

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  4. Devo ammettere che mi sarebbe interessato leggere la recensione di Moravia su balla coi lupi:)
    Comunque se la scrittura e la lettura delle lettere private avesse sempre un fine costruttivo e di arricchimento come in questo ost ben vengano, se oi il tutto è anche accompagnato da un consenso dato in vita da certi autori meglio ancora.
    Buona giornata

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    1. Post e non ost,chissà perché si e mangiato una p:)

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    2. E mo pure un accento.. vabbè credo si sia capito il senso , perdonami Pino

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  5. Le lettere di certi autori sono rivelatrici non solo della vita privata degli stessi, ma anche delle tematiche trattate nei libri. Comunque io credo che se un autore non vuole che certe sue vicende private diventino di dominio pubblico, provvederà da solo a distruggere quelle lettere che le contengono. Se ciò non avviene, direi che si manifesti una sorta di silenzio assenso ma anche disinteresse, da parte dell'interessato, alla pubblicazione delle stesse lettere. Ciao L.

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