Se
dico che mi piace la pittura di Renoir, esprimo un mio gusto personale, vale a
dire che sono conquistato dalla luce e dai soggetti dipinti all’aria aperta, dalla
serenità delle immagini, dai colori lievemente sfumati. Invece a qualcun altro
potrebbe piacere Caravaggio, per le tensioni drammatiche che sa creare, per il
gioco di luce e ombra presente nei suoi quadri;
altri potrebbero dire che sono
attratti da Van Gogh, per la violenza dei colori. E così di seguito.
Sono piaceri
differenti, che rimandano a sensibilità e preferenze diverse. Non è pensabile,
però, che colui a cui piace Caravaggio possa affermare che la pittura di Renoir
è brutta, così come il sottoscritto mai si sognerebbe di sostenere che
Caravaggio è brutto.
Definire
la bellezza in tutte le sue innumerevoli sfaccettature è quasi impossibile,
però una cosa si può dire con certezza: il gusto è una cosa, il bello è
un’altra. E il gusto di una persona spesso coincide con il bello. Quindi,
da questo punto di vista, non è bello ciò che piace – secondo quel vecchio
detto popolare - ma è bello ciò che è bello. Ciò che è universalmente
riconosciuto come tale. E’ bello sia Renoir che Caravaggio, solo che a me
piacciono le atmosfere di luce e di colori che sa creare il pittore francese,
ad un altro piace l’apprensione dolorosa che sa esprimere Caravaggio nei suoi
dipinti. Ma è bello anche Van Gogh, per l’angoscia e l’ansia esistenziale che
traspare dalla sua pittura. E’ chiaro che il gusto esprime una emozione
personale, un piacere soggettivo che nasce dal modo di pensare di chi guarda,
dalla sua sensibilità, dai suoi principi morali, dalla sua cultura. Il gusto
comunica anche un orientamento che spesso si lega alla moda di una determinata
epoca.
La
bellezza, invece, è armonia tra le parti, è proporzione e ordine: è un ideale
di realizzazione e di rappresentazione attraverso il quale l’artista mira a
tradurre in forme concrete un ideale di bellezza universale. Forse nessuna
civiltà ha saputo esprimere meglio la bellezza come quella tramandataci dall’antica
Grecia. Il fatto stesso che la Venere di Milo, risalente al II secolo a.c., sia
universalmente riconosciuta, a distanza
di oltre due millenni, quale ideale perfetto di bellezza femminile, dimostra quanta perfezione e quanta grazia sapevano infondere
nelle loro opere quegli antichi maestri.
Nel corso dei secoli si sono succeduti stili diversi (romanico, gotico, classico, barocco ecc.) attraverso i quali gli artisti hanno sempre rappresentato la bellezza secondo i canoni della propria cultura, secondo il modello estetico della propria epoca storica, eppure la bellezza delle loro rappresentazioni rimane sempre la stessa, pur essendo raffigurata con stili diversi. Secondo me noi oggi viviamo in una società in cui l’idea di “bellezza”, intesa nel suo significato oggettivo, è entrata in crisi profonda e si è affermato sempre di più il giudizio del “gusto”, un gusto che spesso sfocia nel “kitsch”, che sta a significare cattivo gusto e che testimonia il degrado dei nostri tempi, della nostra realtà quotidiana. Diceva Antonio Tabucchi che “la sensibilità alla bellezza appartiene ad un momento storico e non al patrimonio genetico di una persona. E’ culturale e quindi bisogna insegnarla”. E sembrerebbe che nella società in cui viviamo è molto più semplice e redditizio insegnare il peggio anziché il meglio. Oggi purtroppo assistiamo, soprattutto sui canali delle televisioni commerciali, a programmi che attraverso rappresentazioni volgari e di cattivo gusto, mirano ad abbassare il livello estetico e la percezione del bello.
Nel corso dei secoli si sono succeduti stili diversi (romanico, gotico, classico, barocco ecc.) attraverso i quali gli artisti hanno sempre rappresentato la bellezza secondo i canoni della propria cultura, secondo il modello estetico della propria epoca storica, eppure la bellezza delle loro rappresentazioni rimane sempre la stessa, pur essendo raffigurata con stili diversi. Secondo me noi oggi viviamo in una società in cui l’idea di “bellezza”, intesa nel suo significato oggettivo, è entrata in crisi profonda e si è affermato sempre di più il giudizio del “gusto”, un gusto che spesso sfocia nel “kitsch”, che sta a significare cattivo gusto e che testimonia il degrado dei nostri tempi, della nostra realtà quotidiana. Diceva Antonio Tabucchi che “la sensibilità alla bellezza appartiene ad un momento storico e non al patrimonio genetico di una persona. E’ culturale e quindi bisogna insegnarla”. E sembrerebbe che nella società in cui viviamo è molto più semplice e redditizio insegnare il peggio anziché il meglio. Oggi purtroppo assistiamo, soprattutto sui canali delle televisioni commerciali, a programmi che attraverso rappresentazioni volgari e di cattivo gusto, mirano ad abbassare il livello estetico e la percezione del bello.
Per
cambiare rotta a questo degrado, è necessario pertanto affinare, educare,
allenare il nostro gusto al bello. E come si allena il gusto? Semplicemente guardando
il maggior numero possibile di opere d’arte, di monumenti, di statue, di
dipinti; frequentando più spesso mostre e musei; ma anche leggendo e
informandoci, perché quando noi guardiamo un dipinto lo giudichiamo, in primis,
sulla base delle nostre percezioni sensoriali e poi in riferimento alle nostre
conoscenze culturali. E se noi non conosciamo, siamo soliti dire che quella
cosa che stiamo osservando è brutta:
invece potrebbe essere bella, se culturalmente fossimo capaci di scoprirvi
la bellezza. Tutto ciò contribuisce a migliorare il nostro modo di vedere, di
osservare, di capire. Solo la conoscenza e il continuo allenamento visivo
possono indurci ad apprezzare l’essenza della bellezza e farci capire ciò che è
bello, in quanto rientra nei nostri gusti personali, da ciò che è bello perché
scaturisce da canoni estetici universalmente accettati e riconosciuti.