Certi libri, per la loro elevata
dimensione artistica e letteraria e per la loro compiutezza e superiorità di
stile e contenuto, hanno la straordinaria capacità di farti sentire davvero
piccolo, perché la tua mente non sarebbe mai capace di concepirli. Sono libri
che ti obbligano al silenzio e al rispetto. Penso all’Odissea; penso alla Divina
Commedia; penso ai Saggi di
Montaigne. Quando ti trovi al cospetto di opere letterarie universalmente
riconosciute, non puoi che accettarle senza discutere, perché ti sovrastano e
ti dominano. Ti piacciano o meno. E penso anche “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, il cui titolo così
suggestivo - che rimanda al tempo, il padrone predestinato della nostra
esistenza - potrebbe da solo spalancare le porte dei ricordi a tutti noi. E’ un’opera
immensa, senza eguali, la cui mole di 3850 pagine (cofanetto Einaudi in 8
volumi) rappresenta uno spauracchio per tutti coloro che vogliano iniziarne la
lettura. Ma chi ama davvero i libri importanti ed eterni non dovrebbe lasciarsi
spaventare dalla dimensione cartacea di quest’opera. E allora, abbandoniamo per
un momento le insulse e facili letture
che ci vengono propinate dalle classifiche dei “più letti”, e tentiamo un
approccio “alla ricerca del tempo perduto”.
E’ come se un appassionato di calcio si limitasse a guardare soltanto le
partite tra scapoli e ammogliati senza aver mai visto un gol o un dribling di
Maradona. Proust è il Maradona della letteratura. Proust sapeva giocare in
maniera divina con le parole, come Maradona con un pallone. Entrambi accomunati
da una sola caratteristica: la genialità creativa.
Devo dire che dei sette volumi di
cui si compone “la recherche” dello
scrittore francese, ho letto solo i primi due: “Dalla parte di Swann” e “All’ombra
delle fanciulle in fiore”. Ma non mi sono arreso: ho ancora tempo per
continuare. Mentirei, però, se dicessi che la lettura è semplice e scorrevole;
al contrario risulta impegnativa e, spesso, faticosa e richiede una dote
invidiabile di pazienza. I periodi, come è nello stile di Proust, sono lunghi,
molto articolati, complessi. Capita pure di doverli rileggere due volte, per
poterli afferrare. I suoi personaggi sembrano statici e te li porti dietro per
pagine e pagine attraverso minuziose descrizioni e dotte disquisizioni. Da
questa lettura a volte ne esci distrutto… affaticato…: è come se un corpo
contundente ti colpisse e ti lasciasse indolenzito. Altre volte, invece, questa
spossatezza ti appaga: è come ritornare a casa, stanco ma felice, dopo aver scalato
una montagna. E’ un libro che lascia un segno indelebile sul tuo spirito: ti
annichilisce e ti sovrasta. Non puoi giudicarlo. Ti fa capire quanto grande sia
l’autore e quanto “piccolo” sei tu di fronte a lui. E, soprattutto, ti fa
comprendere perché alcuni uomini – come Proust - saranno sempre ricordati
nell’eternità: per il loro ingegno, per la loro grande capacità ed abilità nel
saper usare le parole.