Lo confesso: i monasteri hanno
sempre esercitato su di me un fascino misterioso, direi quasi una straordinaria
e indefinibile attrazione. Li percepisco come i veri luoghi dello spirito, del
silenzio e della meditazione. Sarà perché il rumore, la confusione, il degrado
e la massificazione dei comportamenti che regnano nei posti in cui vivo
abitualmente hanno ormai raggiunto livelli insopportabili, fatto sta che a
volte avverto uno strano desiderio: rifugiarmi, come una sorta di monaco laico,
tra le mura di uno dei tanti monasteri presenti sul nostro territorio. E se
proprio dovessi sceglierne uno, da buon cilentano, non avrei alcun dubbio: la
certosa di Padula, detta anche di San Lorenzo, in provincia di Salerno. “Qui c’è la pace sicura, di qui l’ingresso
al cielo, rimani qui tranquillo, ti attende la vera pace”. E’ la scritta
che domina il portale di accesso al chiostro di questo imponente e sontuoso
complesso monumentale, credo il più grande d’Italia con oltre 50.000 metri
quadri fra ambienti coperti, cortili, chiostri e giardini. Fu eretto nel 1306 -
quale centro politico e religioso del Meridione - dal principe Tommaso II
Sanseverino, appartenente ad una delle più blasonate famiglie del Regno di
Napoli. E’ un autentico capolavoro urbanistico i cui spazi sono regolati da
criteri estetici e funzionali davvero straordinari, nel rispetto rigoroso degli
equilibri gerarchici propri di una abbazia e dei simboli cui fanno riferimento.
Semplicità e splendore,
magnificenza e rigore convivono sapientemente in questo monastero-città,
costruito per ospitare raffinati certosini provenienti dal fior fiore delle
famiglie nobili del tempo, la cui suprema aspirazione era quella di dedicarsi
all’ozio ed alla contemplazione, alla preghiera ed al lavoro della terra. Senza
dimenticare che i certosini volevano anche stupire gli ospiti illustri che non
disdegnavano un soggiorno in questo centro religioso. E allora pensarono ad una
superba struttura architettonica in cui all’umiltà della vita monastica si
contrapponesse la ricchezza degli ambienti architettonici. Cosicché al decoro
spartano delle 34 celle presenti nel monastero, ognuna delle quali ha il suo
giardino e la sua vasca piena d’acqua, dove i monaci in pieno isolamento
trascorrevano la loro vita fatta di preghiera, meditazione e lavoro, si rispondeva
con lo sfarzo del salone delle feste (il refettorio) con il pavimento di marmi
policromi intarsiati, dove i monaci mangiavano in occasione di alcune
particolari ricorrenze. E poi la magnificenza della chiesa a navata unica ricca
di decorazioni tipiche del barocco napoletano, di stucchi dorati, di pavimenti
maiolicati e altari e cappelle marmoree e con la monumentale porta d’ingresso
trecentesca in cedro del Libano. Suggestivi sono i tre chiostri, dove “chiuso e
aperto” convivono in splendida armonia, in particolare il Chiostro Grande che
non ha eguali al mondo per le sue misure (104 x 150 m.), su cui affacciano le
celle dei monaci, al centro del quale si erge una maestosa fontana barocca del
1640.
Caratteristica la cucina, con la sua grande cappa posta al centro,
costellata di maioliche di Vietri sul Mare, gialle e verdi. Secondo la leggenda
qui fu preparata la famosa frittata con mille uova in onore del re Carlo V
d’Asburgo. Splendido appare l’ appartamento del Priore formato da dieci sale
(ospita il museo provinciale della Lucania) che si apre su un bellissimo
chiostro rettangolare del XVIII secolo. Non poteva mancare la biblioteca contenente
alcuni testi rari, raggiungibile al primo piano del Chiostro Grande attraverso
un grandioso scalone ellittico di 38 scalini, vero e proprio miracolo
ingegneristico, chiuso all’esterno da una torre ottagonale. E per finire i
meravigliosi giardini che si estendono intorno al complesso monumentale con le
loro essenze profumate. Si eleva su tutti il Desertum, giardino all’italiana del Settecento, un tempo coltivato
ad ulivi, usato dai monaci di clausura durante le loro uscite esterne.
Un visitatore del passato ebbe
a dire: “una prigione d’oro per reclusi snob”.