E’ bello
stare da soli: sentirsi soli, invece, è forse uno dei mali peggiori dei nostri
tempi. Più siamo connessi, più siamo informati, più dipendiamo dalla tecnologia
stando sui social e più ci sentiamo soli. Diceva Luciano De Crescenzo che se
stai male e sei solo stai malissimo, se stai bene e sei solo stai benissimo. La
solitudine cercata e desiderata e non imposta o subita è una delle componenti
importanti della nostra vita che eleva l’animo e ci rende liberi. Il contadino
che sta nella sua vigna o che raccoglie le olive non ha bisogno di compagnia;
il monaco benedettino che prega nella sua cella e poi coltiva il suo orticello è
in pace con sé stesso e ama la sua condizione; chi legge o chi scrive non teme
la solitudine; l’artista quando crea le sue opere non è mai solo. Ti puoi sentire solo, invece, in un treno
affollato della metropolitana; su una spiaggia gremita di bagnanti nel mese di
agosto; al ristorante durante quegli interminabili pranzi nuziali. E non
sentirti solo mentre percorri un sentiero di montagna con lo zaino in spalla,
dopo aver mangiato un panino con la mortadella. Per dirla con Sartre, se ti
senti triste quando stai da solo probabilmente sei in cattiva compagnia. Ma non
sempre la tristezza è associata alla solitudine. A chi non è mai capitato di
avere voglia di starsene da soli pur trovandosi in mezzo a un’allegra e
spensierata comitiva di amici? E’ chiaro che sull’umore influiscono tantissimi
fattori. Mio nonno, per esempio, era una persona estremamente semplice:
contadino, non sapeva né leggere né scrivere, trascorse la sua vita senza mai
allontanarsi dalla sua campagna e dal suo paese nativo, eppure non lo vidi mai
triste o depresso. Quando non lavorava era capace di starsene giornate intere
seduto davanti l’uscio di casa a fischiettare, senza lamentarsi. E ogni piccolo imprevisto, ogni minima distrazione anche la più
insignificante, come un passante che gli rivolgeva un saluto, un gatto che
faceva le fusa, un ragazzino che giocava a palla, possedevano ai suoi occhi la
straordinaria capacità di movimentare la sua giornata. Non aveva bisogno di
leggere libri… di scrivere… di viaggiare…di guardare la televisione…di stare
con un telefonino in mano come facciamo noi. Solo che lui era sereno, e noi siamo
stressati; lui appariva soddisfatto della sua esistenza e si accontentava del
poco che aveva e noi siamo sempre scontenti, alla ricerca di novità.
Io avverto la solitudine soprattutto quando
mi trovo a girovagare per una di quelle superaffollate strade di Roma, piene di
negozi, luminarie e suoni, nell’ora del suo massimo struscio pomeridiano. Lì mi
sento terribilmente solo come in nessun altro luogo. Poi magari mi capita di
percorrere un viottolo di paese e non percepire quella strana sensazione che mi
assale tra la folla. E se incontro, anche una sola persona che nemmeno conosco,
mi sembra naturale salutarla e scambiarci pure qualche parola di rito. E che dire, poi, di quei vecchietti di città che trascorrono lunghe ore
seduti su una panchina all’interno di qualche parco spelacchiato di periferia, straziati
e afflitti dalle macchine, dallo smog e dai rumori? La loro solitudine si
percepisce immediatamente, si tocca quasi con mano e devo dire che quella
visione mi procura tristezza. Eppure, la stessa immagine di vecchiaia, le
stesse persone anziane sedute a chiacchierare sul sagrato antistante la chiesetta
del loro paese, mi trasmettono altri sentimenti, altre sensazioni. E sono
sensazioni positive di serenità e di tranquillità. Sembra quasi che certi
luoghi siano capaci di proteggerti e non farti sentire solo, seppure
apparentemente possano apparire fuori dal mondo e dalla realtà.
A volte mi
chiedo se i blog, o meglio ancora i social network – che in qualche maniera
hanno sostituito i luoghi di aggregazione di una volta – siano in grado di alleviare
la solitudine dei nostri tempi. Ma ho seri dubbi al riguardo. Questi strumenti
tecnologici sono come quelle strade superaffollate del centro storico di Roma:
ti fanno sentire tragicamente ancora più solo. Ti illudono di stare in
compagnia. Quella moltitudine di persone che passeggia in città è simile ai
tanti follower dei blog e agli amici virtuali a cui “abbiamo chiesto amicizia”
su Facebook. Come se l’amicizia fosse una merce da comprare e non una relazione
profonda che si costruisce guardando negli occhi una persona. Resta la scrittura, strumento insuperabile per
raccontare le nostre ambizioni e le nostre fantasie, le nostre solitudini e le
nostre sconfitte, che forse sono le vere protagoniste di questo mondo virtuale.
C’è addirittura chi prova, in rete, a fingere un’altra esistenza, forse per
vedere l’effetto che fa e illudersi di essere quello che non si è nella realtà.
In tempi non sospetti lo faceva anche Fernando Pessoa (di cui ho parlato nel
post precedente), quando vestiva i panni dei suoi tanti eteronimi. Chissà,
forse oggi il poeta e scrittore portoghese avrebbe creato tanti blog quanti furono
i suoi personaggi che vivevano nella sua “affollata solitudine”.