Ho l’impressione che
il principale obiettivo della televisione – almeno da un po’ di tempo a questa
parte - sia quello di far regredire i telespettatori e renderli sempre più
ottusi. Infatti, non capisco perché una trasmissione televisiva, che gode del favore del
pubblico e della critica e, in qualche maniera, si discosta da quel format di
puro intrattenimento sostenuto dalle televisioni commerciali, possa essere
stravolta in peggio, così tanto per dare un segnale di cambiamento. Mi riferisco ad uno di quei programmi
che – visto il grande successo che si porta dietro da oltre un decennio – va
considerato il vero fiore all’occhiello della
Rai: Che tempo che fa. Fabio Fazio, il deus ex machina del programma, ha il grande merito di aver portato
in televisione personalità del mondo della cultura, dello
spettacolo e della società civile che vi apparivano solo raramente o, addirittura,
si rifiutavano di darsi in pasto al grande pubblico televisivo. Penso a Guido
Ceronetti, Gillo Dorfles, Ermanno Olmi, Paolo Poli, Carlo Fruttero, Roberto
Saviano, Pietro Citati, tanto per fare qualche nome. Ma l’elenco sarebbe
lunghissimo. Devo dire, inoltre, che Fazio è riuscito, con la sua istrionica abilità, ad avere nel suo
studio grandi star internazionali che si negavano a tutti tranne che a lui: il
“buonista” della televisione di stato - per alcuni - il “fazioso” per altri e
il “furbetto”, per altri ancora. Ma diciamolo: il Fabio nazionale ha saputo,
con intelligenza, catturare l’attenzione della gente grazie soprattutto all’importanza
ed alla forza attraente dei suoi ospiti i quali avevano la capacità di oscurare,
finalmente, le solite facce note del piccolo schermo, e sempre le stesse.
Chi stava a casa davanti allo schermo aveva la possibilità di ascoltare voci autorevoli,
in un contesto dove la leggerezza e la semplicità, mista al divertimento, la
facevano da padrone.
Chi guarda, oggi, la
trasmissione domenicale di Rai 3, Che tempo
che fa, si accorge che non è più quella di una volta in quanto si è
sdoppiata e, a prescindere dagli ascolti (forse sono rimasti invariati), mi sembra che l’incantesimo che si creava
tra chi parla in TV e chi ascolta da casa sia ormai finito e che la pochezza abbia preso il posto della qualità. Difatti, dopo
un lungo e noiosissimo monologo della Littizzetto nella prima parte della
trasmissione (mi domando perché una come lei, senza alcun merito e con quella
vocina gracchiante e fastidiosa, con le sue consuete fissazioni sessuali sul
walter…sulla jolanda, debba avere tutto quello spazio televisivo), vediamo,
nella seconda parte, una eterogenea tavolata a ferro di cavallo, intorno alla
quale siedono una decina di “commensali” ridanciani e vocianti (ex vip famosi e
dimenticati, personaggi emergenti in attesa di una più alta affermazione, atleti
in pensione, ecc), che si danno del tu come vecchi amici e si pavoneggiano
soddisfatti. Tra gli ospiti fissi c’è Nino Frassica – per carità, un attore
simpaticissimo che ormai è presente ovunque – che si esibisce come un
fantomatico direttore di un giornale di gossip infilando, una dietro l’altro,
le sue surreali e scontate battute tipiche del suo repertorio. Poi c’è Gigi
Marzullo, il quale pone le sue domande improbabili agli ospiti presenti in
studio, non per avere uno straccio di risposta – che pure si potrebbe osare,
nonostante l’idiozia della domanda - ma per scatenare una scontata risata
generale. E, dulcis in fundo, siede a quella tavola l’intellettuale del
momento, lo scrittore di best seller più amato dalle nuove generazioni: Fabio
Volo. Costui non fa che ridere per tutta la durata della trasmissione. Ride e si
scompiscia alle battute di Frassica; ride a crepapelle alle domande insulse di Marzullo; ride anche quando
gli si rivolge Fazio, il quale da buon padrone di casa, non nasconde il suo
compiacimento per la spensierata compagnia. Insomma, ridono e si divertono
tutti, ignari dei tanti telespettatori che li stanno a guardare e che - pagando
il canone - vorrebbero ridere o quantomeno sorridere un po’ anche loro, ma non delle
loro sghignazzate.