Mario Puccini, chi era costui?
Oggi, sicuramente, mi sarei posto questa domanda se non avessi conosciuto –
tanti anni fa - una ragazza (diventata poi mia moglie) che stava scrivendo, a
quei tempi, la sua tesi di laurea in Lettere Moderne sulla vita e le opere di uno
scrittore marchigiano, nato a Senigallia nel 1887 e morto a Roma nel 1957:
Mario Puccini, appunto. Ricordo che la suddetta “ragazza”, non riuscendo a
trovare un paio di libri di questo scrittore ed essendo venuta a conoscenza che
il figlio (Dario Puccini, critico letterario ed uno dei massimi studiosi di
letteratura spagnola) viveva a Roma, mi pregò di andare presso la sua
abitazione, per cercare di recuperare quei testi, fondamentali per la preparazione
della sua tesi di laurea. Devo dire che Dario Puccini mi accolse davvero con squisita disponibilità
e nel fornirmi i due volumi tanto ricercati, mi omaggiò anche con il romanzo
“Gli ultimi sensuali” scritto dal padre Mario (Garzanti editore – 1944). Ricordo
ancora che lo “abbandonai” sullo scaffale della mia libreria, senza nemmeno
sfogliarlo, tra quei libri che aspettano di essere letti. E lì è rimasto in
attesa per oltre 30 anni, con le sue pagine sempre più ingiallite dal tempo. Poi
giorni fa, chissà per quale oscura e misteriosa ragione - visto che già altre
volte nel passato l’avevo preso tra le mani senza mai decidermi – ho avvertito una
strana sensazione: era arrivato finalmente il momento di leggere “Gli ultimi
sensuali” di Mario Puccini. L’ho preso con estrema delicatezza, come se fosse
una cosa preziosa e rara e man mano che proseguivo nella lettura mi sono
accorto che le pagine - che si erano mantenute intatte per tanti anni, seppure
un pò ingiallite – iniziavano a staccarsi dal dorso una ad una mentre le
sfogliavo, come foglie secche che cadono da un albero in autunno al primo alito
di vento. O meglio, come un reperto archeologico che, mantenutosi integro per
tanti secoli sepolto sotto una coltre di terra, si sgretola una volta rinvenuto
e portato alla luce del sole.
Ma le parole erano intatte,
limpide, senza tempo. Una prosa dal sapore antico, se mi è consentito, così
lontana dalle mode effimere della letteratura usa e getta dei nostri giorni. Il
libro contiene tre brevi racconti, incentrati su tre diverse tematiche:
l’amore, l’amicizia e l’impotenza, sentimento quest’ultimo inteso come
inadeguatezza del proprio ruolo sociale. L’autore porta avanti la sua
narrazione attraverso personaggi riservati, schivi, dall’indole solitaria che
appartengono ad una condizione umana inappagata e alienata e ne indaga
l’aspetto psicologico della loro esistenza. Mi piace qui riportare l’incipit
del primo racconto che io ritengo sia il più bello, quale assaggio dello stile
narrativo di questo autore dimenticato. Il protagonista è un professore che
vive e insegna a Varese, solo, “tra la
scuola dove insegno e la mia camera. Non affetti, non amici, pochi contatti,
scarse distrazioni”, il quale decide di ritornare nel suo paese d’origine,
per ritrovare ciò che laggiù aveva lasciato di caro e forse il meglio della sua
vita: il suo antico amore.
“Trentadue
anni che non ritornavo tra le mura, nelle vie; che non respiravo l’aria della
mia città. Ma sono contento di essermivi riaffacciato in queste giornate: che
da tempo non è più estate, ma il tardo, l’ultimo autunno non è ancora
precipitato con le sue ore scopertamente grevi, mollicce: e il sole non è più
troppo caldo, pieno, ma neanche si arrende languido e docile al vento che
sgruppa ed allenta con estrema facilità le nuvole sulle quali il suo bagliore
s’infila e sparpaglia. Al mare non si andava già più in queste mattine; ma la
città pareva diventata come più piccola, più meschina: le piazze, le contrade,
le case, le piante, sembrava avessero perso ciascuna qualche cosa; una sorta di
patina bigia, come una ruggine, macchiava e incupiva tutto…”.
Di questo autore Vasco
Pratolini (leggo su Wikipedia) ebbe a dire: “uno
dei maestri a cui la letteratura italiana deve rendere giustizia”. Ma la
buon’anima di Puccini sta ancora aspettando. I suoi libri non si trovano più da
nessuna parte…e chissà se c’è ancora qualcuno che si spinge a fare una tesi di
laurea su di lui. Io credo che un romanzo non muore mai fino a quando c’è qualcuno
che lo legge e ne parla. Perché leggere un libro introvabile e dimenticato da
tutti è come riesumarlo dall’oblio del tempo e dargli nuova vita.