venerdì 2 maggio 2025

Invecchiare al tempo della rete

 


La lentezza, oltre a richiamare una filosofia di vita, un modo di stare al mondo, è anche una caratteristica propria della vecchiaia. Invecchiando si diventa lenti, nel fisico e nella mente, mentre il mondo intorno gira a grande velocità. E a volte appare incomprensibile. Al di là della retorica con cui oggi si cerca di mitigare quella che comunemente viene chiamata “terza età”, io mi sento di  dire, senza falsi infingimenti, che sono dentro la vecchiaia. E’ inutile girarci intorno: è arrivata con la pensione e me la porto dietro. Il passato, quello giovanile, io lo percepisco sempre più lontano, un passato che mi costringe a constatare il mio distacco dal presente, a volte la mia inadeguatezza, sebbene la società consumistica e tecnologica mi inviti a partecipare ai cambiamenti impetuosi che il mondo produce.

La vecchiaia, come scrive Massimo Mantellini in “Invecchiare al tempo della rete” è una faccenda da vecchi, interessa soprattutto chi è ormai avanti negli anni. Tutti gli altri le passano accanto con indifferenza. Da giovane io non mi sarei mai sognato di leggere un libro sulla vecchiaia.  Con questo saggio, Mantellini - uno dei maggiori esperti del mondo digitale - ci ricorda che nessuno, fino ad ora, è diventato vecchio su internet, un luogo molto diverso da quello in cui invecchiavano i nostri nonni e poi i nostri genitori. Tutto è iniziato circa un quarto di secolo fa quando la “rete” ha cominciato ad avviluppare le nostre vite, anche se in maniera differente. E chi nel frattempo cominciava ad avere una certa età, l’unica maniera possibile per dimostrare di essere ancora vivi ed attivi dentro la spietatezza del mondo digitale era quella di mimetizzarsi, adattandosi ai tempi che cambiavano. Il nuovo vecchio si è trovato, allora, ad un bivio: rimanere tale senza lasciarsi influenzare più di tanto dai cambiamenti tecnologici, oppure trasformarsi in una nuova figura: il vecchiogiovane. E la differenza principale fra il vecchio e il vecchiogiovane, ci dice Mantellini, è che “il primo rimpiange mentre il secondo – ancora – invidia”. E chi può invidiare se non i giovani? Il primo riconosce le sue limitate possibilità e si mette da parte, il secondo si finge innovativo e ancora giovane perché solo il giovane è la faccia dell’innovazione. Per Mantellini, il vecchio è Bartali, che apre un negozio di biciclette dopo aver appeso la sua al chiodo. Il vecchiogiovane invece, esponendosi talvolta allo scherno altrui, continua ad immaginarsi sui tornanti del Tour de France, trionfante a fine tappa mentre indossa la maglia gialla e riceve il bacio dalla miss. Per quanto mi riguarda, devo dire che con l’avvento della rete io sono rimasto fondamentalmente vecchio, sono il “Bartali che apre un negozio di biciclette”; e, come una pietra sul greto del torrente che scorre vorticoso, osservo la vita e, a volte, rimpiango. Avevo tutta la vita davanti, un tempo, perciò mi potevo permettere il lusso di rinviare. E rinviavo. Ora che il mio tempo va esaurendosi, mi accorgo che me ne servirebbe altro. Diceva Bobbio – citato da Mantellini – che “quanto più mantiene fermi i punti di riferimento del suo universo culturale, tanto più il vecchio si estrania dal proprio tempo”. E’ ciò che mi succede.

La rete ha capovolto il rapporto tra chi sa e chi non sa, tra la nuova vecchiaia e quella precedente. Un tempo erano i vecchi che sapevano e tramandavano ai giovani le proprie conoscenze. Oggi i vecchi non sanno, vengono guardati con sospetto e commiserazione, mentre i giovani sanno tutto. Sono i padroni della rete. Ma la possibilità di “esserci senza esserci, di guardare senza essere visti, di parlare in forma di sconosciuto, è una delle ragioni per cui, dopo un allenamento durato un paio di decenni, l’uomo adulto che inizia ad invecchiare in rete sceglierà di trasformarsi talvolta nel vecchiogiovane”. Gli ambienti digitali rendono ogni confine impalpabile, aggiungono astrattezza, confondono le carte e solo da quelle parti “gli estremi potranno mescolarsi e perdersi uno nell’altro”. Ciò non può succedere nel mondo reale dove non c’è alcuna mediazione e dove l’età separa e rappresenta un confine geografico insormontabile.

Il vecchio in rete si materializza con le parole, ma la rete resta pur sempre un luogo impervio e pieno di insidie, un percorso ad ostacoli nel quale la velocità fa da padrone incidendo sulle sue abitudini di vita come mai era avvenuto nel passato. Quando un’epoca decide di sostituire la scrittura a matita con quella digitale, la tecnologia costruisce improvvisamente barriere e fossati, spesso insormontabili, che fino a poco prima non esistevano, riducendo ulteriormente gli spazi di esistenza in vita dei più anziani. Alcuni riusciranno, o quantomeno proveranno a superare quei fossati, altri saranno lasciati ai margini “nel medesimo luogo nel quale in fondo erano sempre stati – scrive Mantellini - ma dentro una marginalità che origina per la prima volta dal design degli oggetti: una specie di dichiarazione di irrilevanza che ogni persona anziana vedrà ripetuta ogni giorno, dentro ogni gesto della parte di vita che gli resta”.



20 commenti:

  1. Sono passati diversi anni da quando le vite di tanti si sono avvolte in rete,ha ragione Massimo Montellini.

    Mi viene da pensare ,leggendo di vite, alla similitudine della vite quale pianta rampicante con dei tralci legnosi che dà come frutto l'uva.

    Eppure più ci penso e più ci vedo una forte correlazione tra vite e vite.
    Le vite che si sono avvolte in rete mancano di natura ,spazio verde,ossigeno.Mi chiedo quanto in termini di tempo possono davvero vivere,intrecciarsi ,arrampicarsi e dare frutti se non in un " invecchiare " senza aver vissuto realmente?
    Mi fermo ad un ultimo quesito : il tralcio può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Davvero illuminante e profonda questa correlazione che vedi tra le nostre “vite”, sempre più avvolte in rete e sempre più distanti dalla realtà, e i tralci della vite avviluppati al suo tronco, da cui nascono i grappoli d’uva. E ti chiedi se “il tralcio può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite". Ebbene – caro Anonimo (si fa per dire) - la risposta non può che risiedere in questi versetti del Vangelo secondo Giovanni che recitano: “Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci”. Nel Vangelo la “vite” è Gesù e i tralci sono i discepoli. Ho come l’impressione che le nostre vite, oggi, (i tralci) si allontanino vorticosamente dal presente e dalla realtà (la vite,) attratti dalla “rete”, e così facendo finiranno per invecchiare “senza aver vissuto realmente”. E senza dare frutti. Un saluto

      Elimina
    2. Vuoi mettere Wikipedia con la sua etimologia di cultura veloce ,con la cultura della lentezza con cui inizia questo tuo scritto così centrato e meditativo ,fino a dare una risposta su un quesito, così strettamente connessa all'origine della vite?

      Grazie come sempre e buona giornata:)

      Elimina
    3. Oggi, purtroppo, vige la cultura della velocità in tutte le innumerevoli sfaccettature della nostra esistenza. Facci caso, se per qualche ragione il nostro computer rallenta la sua azione, subito ci irritiamo. Diventiamo impazienti. Non sappiamo più aspettare. Tutto deve avvenire all’istante. E questo danneggia soprattutto i “vecchi” che non hanno più la prontezza e i riflessi di una volta. Ciao e grazie a te

      Elimina
  2. Dato che usiamo la rete, quanto meno per i nostri blog, siamo destinati a essere classificati come vecchigiovani? Non credo, perché in fondo noi usiamo Internet come fosse la luce elettrica, accendiamo e spegniamo per quel che ci serve :)
    massimolegnani

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il vecchiogiovane è colui che non accetta la sua età, o meglio, fatica a riconoscere l’immagine che gli restituisce lo specchio. E’ l’ultraottantenne che dice di sentirsi ancora forte e giovane come un trentenne. E’ il risultato della retorica del mito del giovanilismo dei nostri tempi, che a volte assume aspetti grotteschi. E la Rete ha allargato questo aspetto. Il vecchiogiovane, in rete – e in modo particolare su facebook - cerca di mimetizzarsi, di essere alla pari con chi è più giovane di lui, ma il rischio è sempre quello di essere smascherato anche se ricaccerà indietro la propria anzianità, perché nella grande maggioranza dei casi, come sostiene Mantellini, essere vecchiogiovane è l’unica maniera possibile per dimostrarsi vivi ed attivi dentro la crudeltà del mondo digitale. Noi, caro massimolegnani, non abbiamo di questi problemi, non dobbiamo competere con nessuno, sappiamo di essere solo “vecchi” - almeno io – senza “giovani”, viviamo a volte con serenità e a volte con dolore la nostra decadenza e, come dici tu, ci basta accendere e spegnere la luce quando ne abbiamo voglia, rendendo pubblici in rete i nostri pensieri; quei pensieri che una volta riportavamo, con una matita, su un fogliaccio di carta ed ora appartengono alla grammatica digitale di questo tempo. Un caro saluto

      Elimina
  3. Mi ha colpito la frase "i giovani sanno tutto", ma in realtà lo credono solamente, sono tuttologi, e la rete consegna questa possibilità e questo patentino ai frequentatori.. poi qui siamo su blog, altro sport, altra "rete".. e sottolinerei anche l'illuminata metafora di Massimo: "accendiamo e spegnamo per quel che ci serve, stacchiamo biglietti per platee riservate, conosciute (anche da anonime), affezionate. puntuali, accorte. Intanto noi non abbandoniamo matita e bloc notes, anzi, li rendiamo vitali, e loro ci allungano la vecchiaia. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La rete è fatta dai giovani per i giovani. E quando ho scritto che “i giovani sanno tutto” intendevo dire che nel confronto con loro i “vecchi” non possono competere in velocità e capacità di apprendimento. E’ la nipotina di 13 anni che insegna alla nonna di 80 come inviare un sms con lo smartphone e non il contrario. Si è capovolto il meccanismo di trasmissione del “sapere”. Non era mai accaduto prima. Non interessa più a nessuno conoscere la Divina Commedia: oggi è più importante sapersi districare tra i meandri della Rete.

      Elimina
  4. Io sono vecchia, e uso la rete soprattutto per esigenze informativo-culturali e corrispondenza via e-mail ("vecchia" mi sta benissimo mentre invece il termine "anziana", non so perchè, mi dà l'orticaria ;-))
    E sono probabilmente da vecchia in particolare le due considerazioni che seguono, assai negative su quel che mi pare sia diventata la realtà.
    La prima è che d'ora in poi mai più sapremo se un testo, una foto, un'immagine o qualsiasi altra cosa che compare in rete è vera, è autentica, è stata espressa da qualcuno in carne ed ossa, o se è creata dall' I.A. Sarò antiquata e pure esageratamente allarmista, ma non riesco a non considerarlo molto grave.
    La seconda è che camminare per strada dà ormai la sensazione di vivere tra gli zombi. Premetto che non ho uno smartphone, non sentendone la minima esigenza, però posso capire chi ne ha uno, e del resto ce l'hanno praticamente tutti quelli che conosco.
    Ma quando vado appunto per strada mi chiedo se coloro che vedo non ce l'abbiano incorporato nella mano come una protesi ormai inestirpabile, e sono la maggioranza, ovvero quasi tutti... rarissimi quelli che camminano liberi.
    Il fenomeno mi sembra talmente abnorme e grave, e per più di un motivo, che mi meraviglio se ne parli così poco, o niente.
    Tanto per cominciare, in questo modo ci si estrania dalla realtà, una realtà che semplicemente non si percepisce più e quindi di fatto smette di esistere. E si tratta di un ambiente, una città, un paese... comunque un insieme costituito da altre persone e da mille altri soggetti ed elementi, vivi o inanimati, pronti a essere percepiti e ad entrare in comunicazione con noi, ma evidentemente solo se prestiamo loro un minimo di attenzione. Non farlo equivale secondo me a porsi in una condizione d'inconcepibile, inumana alienazione che non può non avere conseguenze assai negative.
    L'incredibile livello ormai raggiunto da quest'alienazione, o comunque completo straniamento dalla realtà circostante, mi sorprende in particolare ogni volta che mi rifiuto di spostarmi per lasciare spazio a chi mi viene incontro camminando tutto preso dalla sua protesi: si fermano solo all'ultimissimo istante, e solo per l'istinto animale di salvaguardare la propria incolumità. Qualcuno, rarissimo, si scusa con un accenno d'imbarazzo, ma la quasi totalità dopo tre secondi credo non saprebbe dire chi o cosa gli si era parato davanti.
    E' inevitabile chiedermi su cosa, hanno gli occhi incollati, in cosa sono così totalmente assorbiti... e mi viene da inorridire. Allora mi dico da sola che probabilmente sono solo piena di un'insopportabile spocchia culturoide; però poi se considero come stanno andando politicamente le cose, in Italia e nel mondo, mi viene da pensare che forse non ho proprio tutti i torti. A pensar male, diceva un certo Giulio...
    Per paradosso, quelli che hanno finito per darmi meno fastidio sono quelli che al telefono per strada ci parlano. Pur chiedendomi se la maggior parte di quelle telefonate siano davvero così urgenti da non poter aspettare il rientro a casa, mi dico che loro almeno stanno parlando con qualcuno.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Siu, grazie per le tue accorate parole che mi trovano d'accordo. Se ti può interessare e, magari, sentirti meno sola, sappi che lo scrivente non ha il cellulare. Io e te siamo esseri in via di estinzione un po’ come lo sono i boscimani del Botswana o i masai che vivono sugli altopiani fra il Kenia e la Tanzania. Non l'ho menzionato, lo smartphone, in questo post perchè il tema trattato è la vecchiaia al tempo delle rete. E naturalmente la rete comprende anche il telefonino mobile. Ma se proprio vuoi sapere come la penso e cosa ho scritto al riguardo, ti invito a leggere i miei 14 post (dico quattordici) dedicati in questi ultimi anni al cellulare. Quasi una ossessione. “Senza telefono io sarei morto…”. Ricordi quel famoso spot pubblicitario, di una trentina di anni fa, dove un condannato a morte in un fortino della legione straniera – interpretato da un indimenticabile Massimo Lopez – tiene in attesa il plotone di esecuzione aggrappandosi all’ultima lunghissima telefonata? Ecco, se oggi mi guardo in giro mi viene in mente proprio quell’immagine: sembriamo tanti condannati a morte che rinviano la propria esecuzione rimanendo sempre connessi con un altrove. Stammi bene :)

      Elimina
    2. Grazie a te. Cercherò i tuoi post a tema smartphone, sarà un piacere leggerli con calma (purtroppo ho scoperto il tuo blog solo di recente).

      Elimina
  5. Credo che la rete sia né più né meno che una delle tante invenzioni che l'uomo ha partorito per uno scopo per poi, per una sorta di eterogenesi dei fini, rimanerne vittima. E i telefonini, opportunamente menzionati da Siu, ne sono la prova. Per fare un parallelo potremmo pensare alle automobili. Furono inventate come evoluzione di carrozze e cavalli con lo scopo di facilitare e agevolare gli spostamenti, dovevano cioè essere al servizio delle persone. Oggi delle automobili siamo schiavi; sono diventate, allo stesso modo dei telefonini, delle protesi senza le quali non facciamo neppure 500 metri per andare dal panettiere.
    Il telefonino (per estensione la rete) è nato come strumento per facilitare le comunicazioni, ma da utilità si è trasformato in schiavitù, prova né è quanto raccontato da Siu sulle persone che neppure guardano dove camminano perché la loro attenzione va tutta lì. Nel caso delle automobili, ormai siamo noi al loro servizio. Nel caso dei telefonini, idem.
    Oddio, forse ho esagerato e generalizzato un po' troppo, ma è per fare capire la direzione del discorso.
    In ogni caso, come scrive Galimberti, l'avvento della rete ha costituito per l'essere umano un cambiamento antropologico epocale, un cambiamento che si fatica a gestire perché la psiche e il cervello umano sono per loro natura tarati sulla lentezza, sulla riflessione, tutte cose incompatibili con la velocità della rete e delle sue interazioni.
    Vabbe', qui il discorso diventerebbe lungo. Comunque, il succo è che per quell'eterogenesi dei fini a cui accennavo sopra, la rete che doveva essere al nostro servizio ha messo noi al suo servizio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non hai né esagerato né generalizzato, caro Andrea: oggi siamo schiavi della tecnologia, in tutte le sue forme. Spero che il telefonino, nel prossimo futuro, non provochi nuove malattie, ma già da ora contribuisce ad accrescere certe patologie che uno già possiede e le evidenzia. Con un telefonino in mano abbiamo l’illusione di poter risolvere tutti i problemi della nostra esistenza e la pretesa di poter controllare i nostri familiari durante la giornata. Intanto la nostra capacità di gestire l’ansia si va progressivamente affievolendo: si cade in preda al panico se il telefonino resta muto per molto tempo, o se il figlio di 15 anni, che è uscito con gli amici, non telefona da più di mezz’ora. E poi c'è quel fastidioso esibizionismo: parlare ad alta voce e dare volutamente in pasto ai presenti i nostri fatti personali, anche i più intimi e segreti, come se fosse un diritto/dovere farsi sentire.
      Comunque, al di là dei cambiamenti che genera ogni invenzione, non era mai successo, nelle epoche precedenti, che un solo oggetto (il cellulare) venisse usato contemporaneamente da miliardi di persone. Questo fenomeno è davvero impressionante.

      Elimina
  6. A quanto opportunamente osservato da Andrea, per quanto riguarda le automobili aggiungerei il danno ambientale globale a quello personale dell'insensata dipendenza dal mezzo a quattro ruote: per limitarci all'Italia la vedo piena, nelle città come sulle autostrade, di macchine incolonnate, sappiamo purtroppo quanto inquinanti e climalteranti, spesso costrette a procedere a passo d'uomo (del resto non si può dimenticare per quanti decenni l'imperativo categorico è stato foraggiare la FIAT degli Agnelli...).
    Invece l'inconciliabilità fra il nostro cervello e la velocità che la rete impone al nostro interagire con essa mi fa pensare anche ad un'altra incompatibilità, forse ancora più basilare e per così dire strutturale, e cioè che noi siamo fatti di corporeità, oltre se non prima che di pensiero, e che dunque la nostra conoscenza del mondo e l'interazione con esso non possono avvenire completamente al di fuori di una dimensione anche fisica e tangibile. E tutto questo incessante esistere e relazionarsi ormai solo virtuale, essenzialmente sugli schermi degli smartphone, immagino non possa che che determinare una stortura devastante nel contatto col mondo, inevitabilmente sempre più parziale, falsato e in definitiva irreale.
    Tiremm innanz, diceva quello... ma ha fatto una brutta fine.

    RispondiElimina
  7. Hai già rallentato anni fa, ti sei perfino fermato talvolta, il tempo vero tu l'hai dentro, la scrittura ne è un riflesso. Che importa se molte cose scorrono accanto velocissime? Forse ne vedremo l'esito prima o poi...anche osservare è vivere. I blog non devono diventare totem di un'altra vita ma solo un riflesso o il modo di interpretarla. Il resto è scritto altrove.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non solo "osservare è vivere" ma è anche meditare. Come diceva qualcuno, basta una finestra, che è gratis, e le finestre sono ovunque: sui treni, sugli aerei contemplando il mistero dell'universo, negli alberghi, nelle case. E lo si può fare anche stando seduti di fronte al mare o accanto al fuoco d'inverno, passeggiando in collina, leggendo una poesia, ascoltando musica con gli occhi chiusi. E poi, se proprio ne sentiamo la necessità, scrivere su un blog ciò che vediamo, ciò che sentiamo. Mentre il mondo scorre accanto veloce. Grazie Enzo.

      Elimina
  8. È meglio crescere e invecchiare con lentezza. Si ragiona di più e si evitano pericolose illusioni come quella di poter essere sempre giovani. La velocità porta a sbandate e schianti spesso assai rovinosi. Un cordiale saluto a te.

    RispondiElimina