L’incipit di un libro è
costruito per catturare e sedurre il lettore. E’ una parte molto
importante, a volte fondamentale, di un romanzo; rappresenta una sorta di
calamita, una porta d’ingresso che invoglia il lettore a comprare proprio quel
libro. Infatti, la prima cosa che leggiamo di un libro di cui non sappiamo
nulla - quando ci troviamo in una libreria - oltre alla cosiddetta quarta di
copertina, è proprio il suo inizio. E la letteratura è costellata di incipit belli
e curiosi, interessanti e illuminanti. Forse il più famoso è quello che
introduce il primo canto dell’Inferno nella Divina Commedia di Dante: “Nel
mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la
diritta via era smarrita”. Lo conosceva anche mio nonno, contadino
analfabeta.
E’ pur vero, però, che ci sono
libri molto belli che hanno avuto successo e fama nonostante un incipit
brutto, anonimo e scialbo, che non dice assolutamente niente: l’elenco sarebbe
davvero lunghissimo e meriterebbe un post a parte. Ma per il momento
occupiamoci degli incipit belli, almeno quelli che più hanno colpito la mia
immaginazione, che più mi hanno incantato. Certo, la mia è una scelta personale,
pertanto mi piacerebbe che qualcuno aggiungesse a questo mio elenco, senz’altro
incompleto, un suo incipit preferito.
Proust – Alla ricerca del tempo
perduto – “Per molto tempo sono andato a letto presto la sera. Qualche
volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che
non avevo il tempo di dire a me stesso: mi addormento. E mezz’ora più tardi, il
pensiero che era tempo di cercar sonno mi ridestava”
Salvatore Satta – Il giorno del
giudizio - “Don Sebastiano Sanna Carboni, alle nove in punto, come tutte le
sere, spinse indietro la poltrona, piegò accuratamente il giornale che aveva
letto fino all’ultima riga, riassettò le piccole cose sulla scrivania, e si
apprestò a scendere al piano terreno, nella modesta stanza che era da pranzo,
di soggiorno, di studio per la nidiata dei figli, ed era l’unica viva nella
grande casa, anche perché l’unica riscaldata da un vecchio caminetto”.
Gabriele D’Annunzio - Il piacere
- “L’anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so
che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma”.
Vincenzo Cardarelli - Villa Tarantola – “Fin da ragazzo ho
amato le distanze e la solitudine. Uscire dalle porte del mio paese e guardarlo
dal di fuori, come qualche cosa di perduto, era uno dei miei più abituali
diletti”.
Italo Calvino – Se una notte d’inverno
un viaggiatore – “Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una
notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti.
Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi
nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione
accesa. Dillo subito, agli altri: No, non voglio vedere la televisione! Alza la
voce, se no non ti sentono: Sto leggendo! Non voglio essere disturbato! Forse
non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: Sto
cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino! O se non vuoi non
dirlo; speriamo che ti lascino in pace”
Carlo Levi – Cristo si è fermato
a Eboli – “Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa
chiamare la Storia”
Gesualdo Bufalino – Argo il
cieco – “Fui giovane e felice un’estate, nel cinquantuno. Né prima né dopo:
quell’estate. E forse fu grazia del luogo dove abitavo, un paese in figura di
melagrana spaccata”
Albert Camus – Lo straniero – “Oggi
la mamma è morta: O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio:
madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti”
Jean d’Ormesson – A Dio piacendo
– “Sono nato in un mondo che guardava indietro. Dove cioè il passato contava
più del futuro”
Vladimir Nabokov – Lolita – “Lolita,
luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la
punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al
terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta”
Francoise Sagan – Bonjour
tristesse – “Esito ad apporre il nome, il bel nome grave di tristezza, sul
sentimento così completo, così egoista che io quasi me ne vergogno mentre la
tristezza mi è sempre parsa onorevole. Non conoscevo lei, ma la noia, il
rimpianto, e più raramente i rimorsi”
Antonio Tabucchi – Requiem – “Pensai:
quel tizio non arriva più. E poi pensai: mica posso chiamarlo “tizio”, è un
grande poeta, forse il più grande poeta del ventesimo secolo, è morto ormai da
tanti anni, devo trattarlo con rispetto, meglio, con tutto il rispetto”
Mario Tobino – Tre amici – “Non
ci dicemmo mai che eravamo amici”
Tomasi di Lampedusa – Il
Gattopardo – “Nunc et in hora mortis nostrae. Amen” La recita quotidiana del
Rosario era finita. Durante mezz’ora la voce pacata del Principe aveva
ricordato i Misteri Dolorosi; durante mezz’ora altre voci, frammiste avevano
tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d’oro di
parole inconsuete: amore, verginità, morte; e mentre durava quel brusio il
salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano
le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la
Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella
biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre”.