venerdì 21 febbraio 2025

Se telefonando...

 


Non ho un buon rapporto con il telefono: lo confesso. C’è ancora qualcuno che rimane sorpreso quando scopre che non ho il cellulare, una cosa rara di questi tempi. Quello che posso dire è che non mi serve, e poi mi causerebbe fastidio e imbarazzo, doverlo utilizzare in un luogo aperto. Però, non ho rinunciato al telefono fisso di casa: ma non rispondo quasi mai, quando squilla. Tanto nessuno mi cerca... A gestirlo, ci pensa mia moglie: lei ama tantissimo il telefono, non potrebbe vivere senza. Con il fisso o con il mobile, trascorre diverse ore della giornata in sua compagnia. Beata lei, io non la invidio affatto! E forse anche da qui nasce la mia idiosincrasia verso questo strumento, forse il più amato dall’umanità. Ma non da me. Se tutti fossero come il sottoscritto, oggi i gestori della telefonia sarebbero sull’orlo del fallimento. Tutti. Per fortuna non è così e il mondo va avanti.

Non esistono statistiche attendibili sull’argomento, ma io credo che da quando il cellulare ha fatto irruzione nella vita delle persone la quantità delle insulsaggini, dette e ascoltate, sia aumentata vertiginosamente. Un vantaggio comunque ce l’ha: si può parlare da soli, ad alta voce, e gesticolare furiosamente, ovunque, senza essere presi per matti.

Lo scrittore svedese Bjorn Larsson, in un suo delizioso libro che si intitola “Filosofia minima del pendolare” - l'ho letto in treno qualche giorno fa - ha scritto che alcuni studiosi del comportamento umano ritengono che le chiacchiere quotidiane degli esseri umani, al telefono o in altre circostanze, hanno la stessa funzione dello spulciarsi a vicenda delle scimmie, sarebbero cioè una sorta di collante che tiene insieme la società. Insomma, è l'evoluzione della specie umana.


mercoledì 19 febbraio 2025

Coltivo una rosa bianca

 




Coltivo una rosa bianca,
in luglio come in gennaio,
per l’amico sincero
che mi porge la sua mano franca.
E per il crudele che mi strappa
il cuore con cui vivo,
né il cardo né ortica coltivo:
coltivo la rosa bianca

 

José Martì


domenica 16 febbraio 2025

Sanremo

 


Il festival di Sanremo è finito. Deo gratias!

E' riuscito a sostituire e plasmare l'intero Paese per una serie infinita di serate, monopolizzando l'informazione e occupando la Rai. Ora si fa un gran parlare dei suoi 13 milioni e 400.000 spettatori che hanno seguito il festival nell’ultima puntata. Ma nessuno spende una parola per i 46 milioni e 600.000 italiani che non l’hanno guardato e che hanno dovuto subire, invece, il battage pubblicitario e mediatico di una ristretta minoranza. Diceva Nanni Moretti nel film “Caro diario”: “io credo nelle persone però non credo nella maggioranza delle persone: mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza”. Ecco, devo dire che – diversamente da altre circostanze - in questa particolare occasione festivaliera le parole di Moretti mi trovano in totale disaccordo.


sabato 8 febbraio 2025

Biglietto lasciato prima di non andar via

 


Se non dovessi tornare,

sappiate che non sono mai

partito.

Il mio viaggiare

è stato tutto un restare

qua, dove non fui mai.

 

Giorgio Caproni

 

Ho letto e riletto, tante volte, questa breve poesia di Giorgio Caproni, cercando di afferrare quell’ intima e misteriosa essenza che si nasconde tra i suoi versi: ma non so se ci sono riuscito. La poesia, qualsiasi poesia, si presta sempre a innumerevoli chiavi di lettura. E la nostra non sempre coincide con quella dell’autore.

Il viaggio, lo sappiamo, è la metafora della vita: si viaggia, vivendo. Ma è un viaggio che si può fare anche senza partire: restando. D’altra parte, il mondo intorno a noi è sempre in movimento, è in continuo cambiamento e, quindi, non partire potrebbe essere una regola diversa del viaggiare. Ma viaggiare presuppone sempre un tornare. E non tornare significa morire. “Se non dovessi tornare – dice il poeta - sappiate che non sono mai partito”. E’ il suo epitaffio. Il poeta non parte e non torna: è in continuo viaggio con la sua poesia. E la poesia non muore mai, ti fa viaggiare con la fantasia e ti fa restare anche laddove non sei mai stato.


lunedì 3 febbraio 2025

Il teatrino della politica e dell'informazione

 


Non so voi, ma il sottoscritto  si nutre di pochissima televisione, per lo più di genere documentario. E’ noto, però, che siamo alquanto masochisti e farsi del male è una caratteristica che appartiene  unicamente al genere umano: e allora basta accendere la televisione e sintonizzarsi su uno dei tanti talk show, in onda dalla mattina alla sera. Sono quegli spettacoli tutti uguali nei contenuti: cambia solo il nome, il conduttore e il pubblico (dove è presente) che applaude a comando. Che si discuta di arte o di cucina, di ambiente o di economia, di lavoro o di pace o di guerra, ebbene, appare sempre lui: l’opinionista di turno, che può essere un giornalista o un politico. Uno potrebbe dire, a proposito dei parlamentari: sono circa seicento, quelli che siedono alla Camera e al Senato, e quindi è giusto che i cittadini che l’hanno eletti (o meglio li eleggevano…visto che ora non succede più), abbiano la possibilità di sentirli…di vederli…di conoscerli. Macché! La pattuglia che sta in televisione è composta da un numero esiguo di presenzialisti: sempre gli stessi di questo e di quel partito, i soli esperti della comunicazione politica e del sapere universale. E i giornalisti, allora? Sempre i soliti noti, pure quelli, che zompano da un programma all’altro.

E allora può accadere che il leader politico chiamato Tizio e il giornalista chiamato Caio - che all’alba erano ospiti di “Uno Mattina” a discutere di economia – si trovino entrambi, verso mezzogiorno, a “l’aria che tira” a discettare di guerra, per rincontrarsi, la sera, a “otto e mezzo”, pronti a inscenare una litigata su un tema molto spinoso come “il campo largo”. Il ministro Sempronio, intanto, aveva fatto una breve comparsata a “Omnibus” per dire la sua sullo strapotere di Trump e poi un salto a “Coffee break” (a pontificare su “la guerra in Medio Oriente”), dove era presente anche il suo avversario politico Vattelapesca, il quale - intervistato, la mattina presto, dal TG1 - aveva poi rilasciato un breve comunicato nel recarsi ad una riunione di partito, per essere poi ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, dove avrebbe presentato il suo ultimo libro, già best seller.

Ma non è finita qui, perché se vi capita di incrociare qualche telegiornale – di qualsiasi televisione pubblica o privata – ebbene, le facce di bronzo che avevate visto disquisire a Porta a Porta…a Otto e mezzo…a Piazza Pulita e chi più ne ha più ne metta, ve le ritrovate di nuovo nei vari notiziari. E la cosa buffa è che le immagini dei soliti politici… che salgono o scendono da una macchina o stringono mani o parlano al cellulare – spesso attorniati da guardie del corpo in assetto di guerra e da un nugolo di giornalisti che impugnano microfoni alla ricerca di scoop – vengono trasmesse, in maniera ossessiva anche quattro/cinque volte durante lo stesso notiziario, a supporto visivo di servizi diversi (si fa per dire). Insomma vanno bene per tutte le salse.

E’ il solito teatrino dell’informazione che va in onda tutti i giorni negli studi televisivi, dove la menzogna ha la stessa dignità della verità documentata con prove inoppugnabili; dove si consuma la quotidiana, ipocrita celebrazione della politica, “per il bene del Paese” o “per le ragioni di stato” o “per la sicurezza della nazione”; dove il conduttore fa una domanda al politico di turno, senza poi replicare alla risposta, qualunque essa sia; dove un pubblico, pagato e plaudente, assiste in maniera passiva ad una falsa contrapposizione di idee e di intenzioni; dove i nostri cosiddetti “rappresentanti” – lo ripeto ancora – sempre gli stessi, possono esprimere qualsiasi sciocchezza, possono promettere mari e monti e mentire spudoratamente, perché tanto noi cittadini italiani siamo completamente sedati, incapaci di comprendere e di reagire. Mi chiedo: ma tali rappresentazioni televisive hanno il pregio di apportare qualche contributo, non dico alla soluzione dei problemi trattati, ma almeno alla conoscenza degli stessi? C’è forse qualcuno che a fine trasmissione - avendo ascoltato le opposte fazioni politiche insultarsi - ricordi qualcosa di ciò che è stato detto, dopo che gli uni hanno affermato una cosa e gli altri il suo contrario? Ma quando finirà questa farsa autoreferenziale? E chi fa informazione, potrà mai abusare all’infinito della pazienza degli spettatori che si ostinano ancora a guardarli?