Nell’ immaginario collettivo
il “maestro” è quella figura romantica legata agli anni della nostra scuola
elementare, una figura da sempre confinata in una condizione socio-economica
subalterna, palesemente discordante con la dignità di una professione che dovrebbe
rivestire il grado più alto della scala sociale. E parlando di maestri vissuti
in altre epoche, non possiamo non ricordare i maestri d’ascia, i maestri orafi,
i maestri di bottega, senza dimenticare che chiamiamo maestro, ancora oggi,
l’artista cui sono riconosciuti meriti particolari nel campo musicale,
cinematografico, letterario ecc. La letteratura, poi, è ricca di ritratti di precettori
ed istitutori, spesso persone pedanti e vanitose, cui le famiglie
aristocratiche affidavano l’educazione dei propri rampolli. Ma nella società
del nostro tempo, sempre più omologata verso il basso, esistono ancora i
maestri, quali autorità morali e culturali che tendono verso l’alto? Si può
ancora chiamare qualcuno “maestro” senza incorrere in una facile ironia se non
addirittura nello scherno? Se lo chiede il prof. Gustavo Zagrebelsky, grande
giurista, già Presidente della Corte Costituzionale, con il suo libro molto
interessante che si intitola “Mai più
senza maestri” (Ediz. il
Mulino).
Secondo Zagrebelsky il maestro
è innanzitutto “chi non s’accontenta”,
ma è anche chi si sente un “irregolare,
fuori delle regole”; il maestro, inoltre, è un critico che non inculca
certezze e non indottrina i suoi allievi (come certi tipi di “maestri”
indispensabili ai regimi totalitari), ma è colui che semina dubbi, “crea asperità”, produce divisioni e
rotture, “uno che mette a nudo, un
provocatore”, il quale conosce a fondo la materia del suo insegnamento e la
sa comunicare senza censure e con la chiarezza necessaria. Per legittimarsi, il
maestro non ha bisogno dell’istituzione. Anzi - dice Zagrebelsky - a volte può
percepirla come una sorta di camicia di forza fatta di programmi e di
asfissianti procedure burocratiche che sono di impaccio alla sua autorità. Mentre
l’unica, autentica autorità del maestro, si legge nel libro, deriva dagli
allievi. “Sono loro che gliela
conferiscono. Non è l’istituzione. Quanti insegnanti incontriamo nelle scuole
privi di autorità e, viceversa, quanti maestri che esercitano il loro magistero
senza bisogno di parlare da cattedre autorizzate. Non esistono maestri senza
allievi. Sarebbe una contraddizione in termini. Se non c’è maestro senza
allievi, vale anche il contrario: non ci sono allievi senza maestri”.
Oggi, “sotto la dittatura del presente” – scrive Zagrebelsky – il maestro
appare come una figura anacronistica. E’ visto dal potere dominante, qualunque
esso sia, quasi come un intralcio alla crescita economica del paese, viene
ignorato e reso innocuo L’attuale società richiede competenze tecniche più che
umanistiche, “esperti” più che maestri, quindi economisti, politologi,
giuristi, che vengono valorizzati e protetti dal sistema. Al posto dei maestri
ci sono, poi, gli influencer, che
sono quelle figure che impongono e assecondano le tendenze di massa e le mode
attraverso strumenti di persuasione, in primis la comunicazione commerciale. “Il più bravo – scrive Zagrebelsky – è quello che più si immedesima nella
tendenza del momento, non quello che più se ne distingue. Il successo consiste
nell’eccellere in idiozie. La riflessione, che è l’ingrediente di ogni
magistero, è erosa da uno stile di vita in cui il silenzio, propedeutico a ogni
atteggiamento riflessivo, è proscritto. La costruzione di rapporti profondi e
duraturi sembra sempre più difficile. Per i più, i maestri sono sostituiti
dagli idoli e questi idoli devono essere banali…I maestri di cui il nostro
tempo sembra avere bisogno sono quelli che rassicurano e consolano, non quelli
che risvegliano le coscienze”. E quest’ultimi si trovano nel web dove c’è di tutto, e tutto può
essere affidabile o meno, a seconda delle proprie convenienze e dei propri
convincimenti. Si trovano nella televisione, nella pubblicità, nella moda, nei
social e si chiamano demagoghi, comunicatori, propagandisti. Tutti usano il
nostro stesso linguaggio, li comprendiamo senza sforzi e sono adatti alla
società dello spettacolo e dei grandi numeri perché sopprimono la curiosità,
esaltano il pensiero unico e organizzano esistenze omologate. Noi siamo il
riflesso di ciò che ci sta intorno: il guasto che sta fuori di noi è anche
dentro di noi. I maestri, quelli veri, quelli che risvegliano le coscienze, si
propongono a noi quando incominciamo a porci domande e interrogativi inevasi, a
cui non sappiamo dare una risposta. Allora possono rivelarsi. Ma quando nessuno
ne sente il bisogno, quelli che si propongono come tali sembrano malinconiche comparse
che si espongono alla denigrazione. Nonostante tutto, io credo che in questa
nostra società iperconnessa i maestri che tendono verso l’alto sono ancora
presenti tra di noi. E noi ne abbiamo estremamente bisogno. Uno ci ha da poco
lasciati: si chiamava Andrea Camilleri.