giovedì 19 ottobre 2023

Imparare le poesie a memoria

 


Italo Calvino sosteneva che imparare le poesie a memoria, ripeterle mentalmente da bambini, da giovani ma anche da vecchi, è un ottimo esercizio per tenere viva la memoria e combattere l’astrattezza del linguaggio che ci viene imposto. E poi le poesie fanno tanta compagnia. Si potrebbe cominciare con quelle più corte, più facili da ricordare.

 Corre senza guinzaglio la poesia.

Nessuno si azzardi a dire: è mia.

Franco Marcoaldi


lunedì 16 ottobre 2023

Caro, dolcissimo Proust...

 


“Tu sei stato l’ultimo erede di una tradizione che ha creduto, come fine supremo dell’uomo, nell’arte. Hai esplorato con estremo coraggio il Continente Uomo, nei suoi vizi e nei suoi ideali. Hai estratto dal mondo fisico dei segni che nessun altro era riuscito a decifrare. Hai scoperto giardini nelle tazze da tè. Il campanile di una chiesa, una siepe di biancospino, i ciottoli disuguali del cortile di una casa, l’odor di muffa di un gabinetto, il rumore di un cucchiaio contro un piatto o lo scorrere dell’acqua nei tubi, e tante piccole cose per altri insignificanti hanno trovato in te lo storico e il poeta: e così i tristi effetti della patologia, della nevrosi, i tic, le nevralgie, i nostri peccati futili e gravi. Ti sei murato prigioniero in un faro, come Baudelaire, mescolando nell’ampia coppa del tuo sistema sostanze disparatissime: positivismo e bergsonismo, misticismo e intelletto, estasi e analisi, critica e immaginazione, platonismo e conoscenza. Parlando di tutto, di pittura, di teatro, di architettura, di musica, di poesia, inseguivi la specifica e volatile essenza delle cose, per la riconquista di un paradiso di essenze. Modernissimo fino allo spasimo, hai adorato perdutamente il sapore, il colore di cose vecchie e svanite della Francia “seigneuriale” e borghese, nel mistero religioso delle cattedrali, nella maestà della pietra.

Più di noi che in esse viviamo hai amato le nostre città, anche quelle che non conoscevi o che conoscevi soltanto attraverso mediocri riproduzioni o il suono vivo del loro nome: Parma, Firenze. Hai riversato nelle tue pagine le ansie ingenue del bambino e le insensate manie aristocratiche e, nella circolarità della tua esperienza, con quale tenerezza crudele osservavi la metamorfosi dello splendido volto umano nella immonda maschera goyesca, nelle decrepite ombre che in un istante d’allucinazione credono di essere libere, così come le belve, chiuse nelle gabbie del Jardin del Plantes, sognano di trovarsi nei deserti dell’Africa. Nella tua infinita prolissità ci hai costretto a soffrire, ad amare, ad annoiarci, ci hai regalato tristezza ed entusiasmo, fiducia e sconforto, guidandoci nella tua folta selva per poi disperderci, umiliarci. Hai scritto un’altra Commedia, o un nuovo Roman de la Rose. Ed ora che sulla tua opera si è depositata, come nelle antiche pitture, l’unità trasparente che chiamasti <<le vernis des maitres>>, e la patina è il velo che solo il tempo sa dare alle immagini dell’arte, anche ora avvertiamo di non poterti situare nella tranquilla luce diffusa, un po' fredda, che impongono le cosiddette operazioni critiche della storia. Da tutto quel che si è scritto, che è come una cattedrale piena di irte guglie su un’altra immensa cattedrale, ci basta ricavare la consolante certezza, che hai cambiato il vecchio mondo senza distruggerlo”.

Giovanni Macchia – “L’angelo della notte”


lunedì 9 ottobre 2023

Leggere lentamente

 


Leggo con estrema lentezza, che sia una pagina di un romanzo o un articolo di giornale. Quando prendo in mano un libro, intendo fare un percorso di pacata riflessione non già una gara di velocità con la scrittura, per arrivare rapidamente alla fine. E’ come intraprendere un viaggio: la felicità non è raggiungere la destinazione finale, ma godersi le bellezze lungo il percorso. Posso anche leggere solo poche pagine, fermarmi e poi riprendere la lettura: un modo questo per interiorizzare, ripensare, fantasticare. Spesso sento dire: “è un libro che ho letto tutto d’un fiato”; oppure, “l’ho divorato in una sola notte”. Devo dire che io non sono così vorace: e poi di notte preferisco dormire…quando ci riesco. E’ un tipo di lettura che non mi appartiene, e se un libro mi piace, amo sorbirlo piano piano, parola dopo parola, anziché ingurgitarlo. Diciamo che lo faccio durare di più.

Il libro è il cibo dell’anima e, al pari di un piatto prelibato, va “masticato” lentamente per assaporarlo meglio in tutti i suoi aspetti. Occorrono anni di lavoro per scrivere un libro e – secondo il mio parere - non lo si può mettere da parte e liquidare solo dopo poche ore di lettura. E’ come fare uno sgarbo al suo autore e non riconoscere il suo impegno, la sua fatica di scrivere. In qualche maniera, il modo di leggere è l’espressione del “ritmo” che abbiamo imposto alla nostra esistenza: c’è chi preferisce correre, quindi leggere molti libri, stare dietro a tutte le novità editoriali; c’è chi dice di avere poco tempo a disposizione e salta le pagine, per arrivare subito alla fine; e chi invece predilige passeggiare con le parole, andare piano, stare più a lungo con  il suo libro. Secondo lo scrittore Milan Kundera c’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. Infatti se una persona cammina per strada e, ad un tratto, cerca di ricordare qualcosa, immediatamente rallenta il passo, si ferma a pensare. Chi invece vuole dimenticare, accelera la sua andatura, perché vuole allontanare da sé il passato. E il lettore compulsivo è uno che ha fretta, che ama la velocità, e non vede l’ora di passare al libro successivo, che è sempre migliore del precedente.

Leggere lentamente, invece, è voler ricordare, è soffermarsi sulle parole ascoltandone la cadenza, la musicalità, il significato più profondo; è saper cogliere il silenzio che si nasconde tra una frase e l’altra; è poter distogliere, ogni tanto, gli occhi e la mente dalla pagina per pensare e viaggiare in un mondo parallelo; è trovare connessioni e collegamenti con altri libri. Leggere lentamente è fantasticare; è poter sottolineare ciò che più colpisce l’immaginazione. E’ chiaro che è una modalità di lettura, questa, suggerita solo dai grandi autori della letteratura, cioè da quei libri che non si abbandonano mai, che si lasciano ma poi si riprendono, che si tengono sempre a portata di mano sul comodino, perché la sola vista procura piacere.


domenica 1 ottobre 2023

La pubblicità ti fa sentire sempre insoddisfatto

 


Fare leva sulle emozioni e sui sentimenti della gente, per spingerla a desiderare e a comprare una cosa, è una delle manipolazioni più aberranti dell’odierna società dei consumi. Lo dico senza mezzi termini: io detesto la pubblicità in tutte le sue forme. La evito come la peste, non la guardo, eppure riesce spesso a imbrigliarmi con i suoi invadenti tentacoli. Lo scrittore Erri De Luca sostiene che non può farne a meno: lui dice che è l’unico modo per sapere quali sono i prodotti da non comprare. E’ una strategia anche questa, ma non so quanto sia vincente. Io però preferisco oscurarla, la pubblicità: seguire e avvalorare, in qualche maniera, i suoi messaggi ossessivi mentre interrompono la visione di un programma televisivo, significa farsi del male da soli. 

La pubblicità è un vero e proprio bombardamento quotidiano, continuo e intollerabile. Prima di comprare un prodotto che davvero serve, sarebbe meglio leggere attentamente l’etichetta, anziché fidarsi dei “consigli per gli acquisti”. D’altra parte il motto di chi fa pubblicità è: “non prendete la gente per stupida, ma non dimenticate mai che lo è”. Insomma, i pubblicitari – i “creativi” della nostra epoca - non hanno grande stima delle persone a cui si rivolgono con parole e immagini, sempre false e ingannatrici.  E se poi uno spot pubblicitario – uno come tanti – viene enfatizzato e addirittura additato come opera d’arte, fino a monopolizzare il dibattito socio-culturale di un paese, allora significa che siamo veramente alla frutta.

Frédéric Beigbeder - prima di diventare un personaggio noto - faceva il pubblicitario in una grande agenzia francese. Nel 2000, consapevole che la pubblicazione di un suo libro “99 francs” (tradotto in italiano “Lire 26.900”) gli avrebbe causato il licenziamento, non esitò a denunciare, in una maniera davvero spietata, tutto il marcio del mondo della pubblicità. Così scrive nel suo libro:

“Tutto si compra: l’amore, l’arte, il pianeta Terra, voi, io. Scrivo questo libro per farmi licenziare. Se mi dimettessi, non beccherei l’indennità. Mi tocca segare il confortevole ramo su cui sto appollaiato…Preferisco essere sbattuto fuori da un’impresa che dalla vita. (…) Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Cielo sempre blu, ragazze sempre belle, una felicità perfetta, ritoccata in Photoshop. Immagini leccate, musiche nel vento. Quando, a forza di risparmi, voi riuscirete a pagarvi l’auto dei vostri sogni, quella che ho lanciato nella mia ultima campagna, io l’avrò già fatta passare di moda. Sarò già tre tendenze più avanti, riuscendo così a farvi sentire sempre insoddisfatti. Il Glamour è il paese dove non si arriva mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma. La vostra sofferenza dopa il commercio. Nel nostro gergo l’abbiamo battezzata “frustrazione post-acquisto”. Non potete stare senza un prodotto, ma non appena lo possedete, dovete averne un altro. L’edonismo non è un umanismo: è un cash-flow. Il suo motto? “Spendo dunque sono”. Ma per creare bisogni si devono stimolare la gelosia, il dolore, l’insoddisfazione: sono queste le mie munizioni. E il mio bersaglio siete voi. (…) Siete di fronte a individui che disprezzano il pubblico, che vogliono mantenerlo in un atto d’acquisto stupido e condizionato. Nel loro animo si rivolgono alla “rincoglionita sotto i cinquant’anni”. Voi cercate di proporre qualcosa di divertente, che rispetti un po' la gente, che tenti di tirarla verso l’alto, perché è una questione di buona creanza quando s’interrompe un film in tv. E vi viene impedito. (…) Idealmente, in democrazia, l’intento dovrebbe essere quello di utilizzare il formidabile potere della comunicazione per smuovere le menti anziché annientarle. Questo non succede mai perché le persone che dispongono di questo potere preferiscono non correre rischi. (…) Vedrete che un giorno vi tatueranno un codice a barre sul polso. Sanno che il vostro unico potere risiede nella vostra carta di credito. Hanno bisogno di impedirvi di scegliere. Devono trasformare i vostri atti gratuiti in atti d’acquisto. (…) Gli uomini politici non controllano più nulla; è l’economia che governa. Il marketing è una perversione della democrazia: è l’orchestra a dirigere il direttore. Sono i sondaggi che fanno la politica, i test che fanno la pubblicità, i panel che scelgono la programmazione musicale alla radio, le “sneak preview” che determinano il finale del film, l’auditel che fa la televisione. (…) Creativo non è un mestiere in cui devi giustificare il tuo salario; è il salario a giustificare il tuo lavoro. Come per gli autori di programmi televisivi, la carriera è effimera. Ecco perché un creativo prende in pochi anni quello che una persona normale guadagna in una vita intera. (…) La pubblicità si è messa a dettare legge su tutto. Un’attività che era partita quasi per scherzo domina ormai le nostre vite: finanzia la televisione, condiziona la stampa, regna sullo sport (non è la Francia che ha battuto il Brasile nella finale di Coppa del Mondo, ma Adidas che ha battuto Nike), modella la società, influenza la sessualità, sostiene la crescita economica…”