Fare leva sulle emozioni e sui
sentimenti della gente, per spingerla a desiderare e a comprare una cosa, è una
delle manipolazioni più aberranti dell’odierna società dei consumi. Lo dico
senza mezzi termini: io detesto la pubblicità in tutte le sue forme. La evito
come la peste, non la guardo, eppure riesce spesso a imbrigliarmi con i suoi invadenti
tentacoli. Lo scrittore Erri De Luca sostiene che non può farne a meno: lui
dice che è l’unico modo per sapere quali sono i prodotti da non comprare. E’
una strategia anche questa, ma non so quanto sia vincente. Io però preferisco oscurarla, la pubblicità: seguire e avvalorare, in qualche maniera, i suoi messaggi ossessivi mentre interrompono la visione di un programma
televisivo, significa farsi del male da soli.
La pubblicità è un vero e proprio bombardamento quotidiano, continuo e intollerabile. Prima
di comprare un prodotto che davvero serve, sarebbe meglio leggere attentamente l’etichetta,
anziché fidarsi dei “consigli per gli acquisti”. D’altra parte il motto di chi
fa pubblicità è: “non prendete la gente per stupida, ma non dimenticate mai che
lo è”. Insomma, i pubblicitari – i “creativi” della nostra epoca - non hanno
grande stima delle persone a cui si rivolgono con parole e immagini, sempre false
e ingannatrici. E se poi uno spot
pubblicitario – uno come tanti – viene enfatizzato e addirittura additato come
opera d’arte, fino a monopolizzare il dibattito socio-culturale di un paese,
allora significa che siamo veramente alla frutta.
Frédéric Beigbeder - prima di
diventare un personaggio noto - faceva il pubblicitario in una grande agenzia
francese. Nel 2000, consapevole che la pubblicazione di un suo libro “99
francs” (tradotto in italiano “Lire 26.900”) gli avrebbe causato il
licenziamento, non esitò a denunciare, in una maniera davvero spietata, tutto
il marcio del mondo della pubblicità. Così scrive nel suo libro:
“Tutto si compra: l’amore,
l’arte, il pianeta Terra, voi, io. Scrivo questo libro per farmi licenziare. Se
mi dimettessi, non beccherei l’indennità. Mi tocca segare il confortevole ramo
su cui sto appollaiato…Preferisco essere sbattuto fuori da un’impresa che dalla
vita. (…) Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello
che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete
mai. Cielo sempre blu, ragazze sempre belle, una felicità perfetta, ritoccata
in Photoshop. Immagini leccate, musiche nel vento. Quando, a forza di risparmi,
voi riuscirete a pagarvi l’auto dei vostri sogni, quella che ho lanciato nella
mia ultima campagna, io l’avrò già fatta passare di moda. Sarò già tre tendenze
più avanti, riuscendo così a farvi sentire sempre insoddisfatti. Il Glamour è
il paese dove non si arriva mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della
novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa
invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere
nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma. La
vostra sofferenza dopa il commercio. Nel nostro gergo l’abbiamo battezzata
“frustrazione post-acquisto”. Non potete stare senza un prodotto, ma non appena
lo possedete, dovete averne un altro. L’edonismo non è un umanismo: è un
cash-flow. Il suo motto? “Spendo dunque sono”. Ma per creare bisogni si devono
stimolare la gelosia, il dolore, l’insoddisfazione: sono queste le mie
munizioni. E il mio bersaglio siete voi. (…) Siete di fronte a individui che
disprezzano il pubblico, che vogliono mantenerlo in un atto d’acquisto stupido
e condizionato. Nel loro animo si rivolgono alla “rincoglionita sotto i
cinquant’anni”. Voi cercate di proporre qualcosa di divertente, che rispetti un
po' la gente, che tenti di tirarla verso l’alto, perché è una questione di
buona creanza quando s’interrompe un film in tv. E vi viene impedito. (…)
Idealmente, in democrazia, l’intento dovrebbe essere quello di utilizzare il
formidabile potere della comunicazione per smuovere le menti anziché
annientarle. Questo non succede mai perché le persone che dispongono di questo
potere preferiscono non correre rischi. (…) Vedrete che un giorno vi tatueranno
un codice a barre sul polso. Sanno che il vostro unico potere risiede nella
vostra carta di credito. Hanno bisogno di impedirvi di scegliere. Devono
trasformare i vostri atti gratuiti in atti d’acquisto. (…) Gli uomini politici
non controllano più nulla; è l’economia che governa. Il marketing è una
perversione della democrazia: è l’orchestra a dirigere il direttore. Sono i
sondaggi che fanno la politica, i test che fanno la pubblicità, i panel che scelgono
la programmazione musicale alla radio, le “sneak preview” che determinano il
finale del film, l’auditel che fa la televisione. (…) Creativo non è un
mestiere in cui devi giustificare il tuo salario; è il salario a giustificare
il tuo lavoro. Come per gli autori di programmi televisivi, la carriera è
effimera. Ecco perché un creativo prende in pochi anni quello che una persona
normale guadagna in una vita intera. (…) La pubblicità si è messa a dettare
legge su tutto. Un’attività che era partita quasi per scherzo domina ormai le
nostre vite: finanzia la televisione, condiziona la stampa, regna sullo sport
(non è la Francia che ha battuto il Brasile nella finale di Coppa del Mondo, ma
Adidas che ha battuto Nike), modella la società, influenza la sessualità,
sostiene la crescita economica…”