sabato 12 luglio 2025

L'estrema lentezza con la quale invecchiamo

 


Fare letteratura attraverso il racconto autobiografico è una scelta spesso dettata dal bisogno di scavare nei ricordi e far rivivere vicende personali in cui possa ritrovarsi anche chi legge. In tale contesto narrativo si pone Natalia Ginzburg, la cui produzione letteraria è improntata a una ricerca continua di fatti e sentimenti che fluiscono dal suo passato e da quelle realtà che rappresentano il senso più profondo della sua esistenza. Avevo avuto modo di apprezzare la sua scrittura leggendo, tempo fa, il romanzo “Lessico famigliare” con cui la scrittrice di origini triestine (era nata a Palermo) vinse il Premio Strega nel 1963. Mi sono ora imbattuto in “Mai devi domandarmi”, un libro che raccoglie articoli apparsi su “La Stampa”, una sorta di diario letterario intimo e appassionato che affronta tantissimi temi, che vanno dall’infanzia alla morte, dalla vecchiaia alla vita collettiva, dai libri ai viaggi, dalla politica al credere o non credere in Dio, dai ricordi di scuola alla poesia. Vorrei soffermarmi su quanto ha scritto sulla vecchiaia, un tema che – da un po' di tempo a questa parte - mi sta particolarmente a cuore.

“Ora noi stiamo diventando – scrive la Ginzburg – quello che non abbiamo mai desiderato di diventare, e cioè dei vecchi”. Ed è proprio così: la vecchiaia non l’abbiamo mai né desiderata, né aspettata, né cercata. Arriva, prima o poi. E quando dovevamo immaginarla, la nostra curiosità ci spingeva ad osservare solo quella degli altri, come se noi fossimo immuni da questa condizione esistenziale. Adesso invece sentiamo d’avanzare in quella direzione, “dove faremo parte di una folla grigia le cui vicende non potranno accendere né la nostra curiosità, né la nostra immaginazione... perderemo la facoltà sia di stupirci, sia di stupire gli altri”. Tuttavia, dice la Ginzburg, un motivo di meraviglia l’avremo ancora, ed è “l’estrema lentezza con la quale invecchiamo”.

Si, perché conserviamo a lungo l’abitudine di crederci ancora “giovani”, anche quando abbiamo imboccato una strada diversa. Ma a questa nostra lentezza nell’invecchiare si oppone la rapidità vertiginosa del mondo che ruota e cambia e si trasforma intorno a noi, conservando solo qualche pallida traccia del mondo che è stato il nostro. Quello che abbiamo oggi sotto gli occhi “ci sfugge e ci appare indecifrabile: e in esso non sappiamo leggere che le poche e pallide tracce di quanto è stato. Vorremmo che quelle pallide tracce non sparissero, per poter ancora riconoscere nel presente qualcosa che è stato nostro; ma sentiamo che fra poco non avremo, per esprimere questo desiderio forse molto puerile e ingenuo, né forze, né voce”.

Il fatto che questo mondo sia destinato ai nostri figli e ai nostri nipoti – dice la Ginzburg – non solo non ci aiuta a capirlo di più, ma non fa che aumentare la nostra confusione, il nostro smarrimento. D’altronde loro, i giovani, sono abituati a dirci,  fin dall’infanzia, che noi non abbiamo mai capito nulla e non sappiamo niente. E questo ci fa sentire ancora più inutili, incompetenti, inadeguati, mentre misuriamo le infinite distanze che ci separano dal presente. E pensare che quando scrisse queste parole, Natalia Ginzburg aveva solo 52 anni, era il 1968.



1 commento:

  1. Io ricordo i miei nonni che raccontavano attraverso quella vecchiaia ,aneddoti legati alla loro gioventù da combattenti anche sul campo di guerra .Non è che avessero avuto grandi scelte ma è vero però che anche solo immaginando il loro vissuto "...la nostra curiosità ci spingeva ad osservare solo quella degli altri, (la loro in quel contesto)come se noi fossimo immuni da questa condizione esistenziale" che ormai ci sta sfuggendo anche di memoria.
    Io credo che la nostra età sia strettamente correlata alla nostra anima ...e la mia è un po invecchiata,ma non reputo possa essere qualcosa di negativo;)

    Buona serata Pino e grazie per i tuoi post sempre così meditativi e aperti alla vera letteratura.

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