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giovedì 9 maggio 2024

La dittatura dello smartphone

 


Viviamo in un mondo fatto di cose da sostituire il più rapidamente possibile. Qualsiasi prodotto deve avere una durata limitata perché bisogna produrre sempre di più e, quindi, consumare velocemente. E chi non si adegua a questo andazzo è guardato con sospetto. Non puoi più affezionarti a una vecchia giacca, a una vecchia macchina (anche se in perfette condizioni), a un vecchio telefono. Devi per forza cambiare, rincorrere le novità, te lo dice in maniera ossessiva la pubblicità. E ogni pubblicità – scrive Gunther Anders nel suo libro “L’uomo è antiquato” – è un appello alla distruzione. Il filosofo tedesco racconta che negli anni Quaranta del secolo scorso venne a conoscenza del caso di una studentessa – normale sotto tutti i punti di vista – la quale fu costretta a subire un trattamento psicoanalitico perché opponeva resistenza alla madre che voleva comprarle vestiti sempre nuovi, alla moda, di cui non aveva alcun bisogno. Fu classificata “disadattata” e considerata come una “malata” da curare, ma anche come una nemica del mondo dominante. Insomma, una sorta di sabotatrice del modello produttivo.

Ora chi mi legge sa che io oppongo resistenza a chi vuole regalarmi, in ogni occasione,  uno smartphone di cui non ho alcun bisogno: mi basta e avanza quel vecchio telefono di casa, che mi permette di fare o ricevere telefonate (poche, in verità), lontano da occhi e orecchie indiscrete. E se devo collegarmi a Internet, ho un vecchio computer che me lo consente. Mi domando: dovrei preoccuparmi, alla luce di quanto sopra? Appartengo alla categoria dei disadattati perché vivo senza cellulare? Sarei un malato da curare, se venissi sottoposto a un trattamento psicoanalitico? Comunque sia, ho scoperto che c’è sempre un modo per escluderti e fartela pagare in qualche maniera.

Mi trovo in uno di quei negozi sempre affollati di gente, all’interno dei quali lavorano dei ragazzi, giovanissimi ed espertissimi di cose digitali, che conducono trattative di “offerte” telefoniche. Sono lì, in attesa, per cercare di sottoscrivere - su consiglio di mio figlio - un contratto di telefonia economicamente più vantaggioso riguardante, però, il mio apparecchio fisso di casa. Si, proprio quell’oggetto obsoleto che sta per sparire e che un tempo faceva bella mostra di sé sul tavolino dell’ingresso. E che oggi usano solo i cavernicoli. Mi guardo intorno: una giungla di messaggi pubblicitari declamano regali e offerte imperdibili. Sembra quasi che tutto ti venga concesso gratuitamente. Arriva il mio turno e, dopo una lunghissima trafila non degna della tecnologia che tutto dovrebbe velocizzare e semplificare, l’impiegato mi chiede il numero di cellulare, a cui deve trasmettere, necessariamente, non so bene quale tipo di messaggio di conferma, dando per scontato che oggi tutti ne posseggano almeno uno. Mi guarda stupefatto e quasi non crede alle proprie orecchie quando apprende l’incredibile notizia: “ma come, lei di questi tempi non ha un cellulare?....(fa bene! mi dice una signora che sta dietro in attesa)… “purtroppo, se non mi dà il numero di un suo cellulare – sentenzia affranto l’uomo delle offerte telefoniche - il sistema non mi permette di continuare”. Cerco di far valere le mie buone ragioni, di far capire l’incongruenza della richiesta ma, ahimè, la logica e il buon senso nulla possono contro l’attuale dittatura della telefonia mobile. Se oggi non hai lo smartphone il “sistema” ti punisce, ti emargina, non ti riconosce, ti fa sentire inadeguato. Non ti consente di accedere a certi servizi, ti impedisce di utilizzare alcune applicazioni. E se non ti adegui, per il “sistema” non esisti. Sono sicuro che fra qualche anno lo smartphone - in attesa che venga impiantato sotto pelle ai nascituri - sarà reso obbligatorio, come la carta d’identità o la patente. E chi andrà in giro senza, verrà arrestato in flagranza di reato.


giovedì 2 maggio 2024

Tramonto

 


“ Dove potrei rifugiarmi – diceva Holderlin per bocca di Iperione – se non avessi i cari giorni della mia giovinezza ?”. E dove potrei ritrovarli quei giorni – mi viene da pensare – se non tra i vicoli, le pietre, i panorami del mio paesello nativo, testimone delle sensazioni di quell’età fortunata? E allora, quando la fatica del vivere in città diventa gravosa, mi rifugio in quel luogo dell’anima, custode dei miei ricordi, per recuperare brandelli di pace e di silenzio. E di bellezza.

E così - l’altra sera - mi trovavo sul terrazzino di casa che guarda verso il mare dove si staglia la sagoma inconfondibile dell’isola di Capri. La magia dell’ora mi aveva abbagliato. Chi volesse riflettere sulla bellezza del creato dovrebbe cominciare dal tramonto. Dalla sua luce incantata che non scende più sulle cose in maniera diretta, ma le accarezza leggermente di lato affinandole con quel colore vicino al rosso, che appare quasi irreale.

Fascino, meraviglia, mistero: sono i sentimenti che provavo osservando il sole che si nascondeva piano piano dietro l’orizzonte del mare, nell’ora più dolce del giorno: il tramonto. Ma che altro è la bellezza se non una visione incantevole che ti può trafiggere l’anima come un dolore?