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lunedì 27 maggio 2024

Ciao mamma...

 


La morte di un genitore è un dolore profondo con cui ognuno di noi, prima o poi, deve fare i conti. Aveva 96 anni, mia madre: una bella età, non c’è che dire! E’ la conferma che la medicina e il progresso, oggi, hanno aumentato l’aspettativa di vita. Anche se, molto spesso, sembra che abbiano solo prolungato le sofferenze: si fa fatica anche a morire. Quando la vita viene aggredita da certe gravi malattie che alterano irreparabilmente tutte le funzioni del cervello, vengono meno non solo le capacità motorie e comportamentali di una persona, ma anche quelle cognitive e affettive: e la vita, allora, diventa una sofferenza senza fine. Nient’altro. Per chi la subisce e per chi tenta, disperatamente, di dare un sollievo umano e spirituale al proprio familiare.

Negli ultimi tempi mi guardava con occhi malinconici e interrogativi – mia madre – come se volesse dirmi qualcosa di importante e definitivo, senza riuscirci. Forse voleva parlarmi proprio della morte che la seguiva. A volte piangeva, esprimendo così la sua intima sofferenza. E mi stringeva forte la mano, tanto da non volerla più lasciare. Le chiedevo dei suoi due figli. La stimolavo a ricordare il mio nome: ma lei scuoteva la testa, come per dirmi che non ricordava più chi fossi. Una tristezza infinita.

Penso alla vecchiaia: io credo che si cominci a viverla dal momento stesso in cui si va in pensione, quando il tempo vissuto è molto più lungo del tempo da vivere e gli acciacchi sembrano togliere ogni illusione alla gioventù che se n’è andata. “Non mi voglio voltare – recitano i versi di una bella e struggente poesia di Kavafis - ch’io non scorga, in un brivido, come s’allunga presto la tenebrosa riga, come crescono presto le mie candele spente”. Oltre ad essere definita da un dato anagrafico, la vecchiaia si manifesta con un graduale e lento decadimento fisico. E’ inutile nasconderlo: la persona che c’era prima non c’è più. E con la vecchiaia si affaccia una imprevedibile disponibilità a esplorare, senza alcuna schermatura, il mistero dell’esistenza quale momento prezioso da proteggere e preservare gelosamente. Ma è anche il momento in cui l’uomo – forse per la prima volta –  pone la morte al centro della sua vita e dei suoi pensieri. Anche se resta ancora un argomento tabù su cui riversa tutta la sua paura. Ma io credo che quando uno sta male e soffre maledettamente il pensiero della morte lo assale e non lo abbandona.

Non voleva invecchiare, mia madre, me lo ripeteva quando la vita ancora le sorrideva. Stranamente aveva più paura della vecchiaia che della morte. Senza conoscere Epicuro, soleva ripetermi: quando ci siamo noi, la morte non c’è e quando c’è lei noi non ci siamo più. Con la vecchiaia, invece, bisogna convivere forzatamente. E non sempre è una buona convivenza. Devo dire che non si sbagliava.

Lo confesso: non è la morte in sé a terrorizzarmi, tantomeno la vecchiaia, ma le modalità con cui la prima, a volte, si nasconde dietro la seconda. E’ quel ritaglio di vita che ti è concesso e ti porti dietro prima della fine: può essere una piuma o una zavorra, un momento di serenità o di afflizione. “Guardo la mia luce che muore” dice un personaggio di Samuel Beckett: forse la risposta più saggia che si può dare, in vecchiaia, a chi azzarda presuntuosi programmi per il futuro. E ancora più presuntuosi e patetici appaiono quei vecchietti che, di fronte ad una telecamera, fingono di sentirsi giovani pur avendo novant’anni.

Ricordatevi di portarmi sempre un fiore, quando verrete a trovarmi al camposanto: erano le parole di mia madre, quando parlava della sua morte. Forse era un modo per esorcizzarla. Una tomba senza fiori – diceva - mi mette tristezza, e sulla mia non devono mai mancare. E così, l’altro giorno, sono andato a farle visita nel piccolo cimitero del paese, dove riposa in pace; sorge su un crinale che da un lato guarda la campagna declinante verso il mare e dall’altro fronteggia la vallata della diga dell’Alento, circondata da una catena di monti a delimitarne l’orizzonte. Un luogo davvero piacevole, da godere, se non fosse un Camposanto.  Il grande pensatore Giovanni Papini diceva che “i teatri di marionette e i camposanti sono gli unici luoghi dove l’uomo possa prendere acuta coscienza di sé. Nei primi vede cos’è prima della morte, nei secondi quel che sarà dopo la vita”.

Le ho portato i fiori, come desiderava. Mi aggiro tra le fila di lapidi prima di raggiungere il luogo dove è sepolta. Quante belle persone ci sono in  un cimitero, ribadiva mia madre ogni qual volta faceva visita ai suoi cari! In vita, le aveva conosciute tutte quelle persone lì sepolte. Ognuna le ricordava qualcosa. Si fermava davanti ad ogni lapide per formulare una preghiera, un pensiero. Un cenno del capo per salutare ora questo ora quello. Ecco che intravedo, da lontano, il suo loculo sovrastante quello di mio padre, che l’ha preceduta di molti anni. Li raggiungo: saluto e accarezzo entrambi con gli occhi. Mando loro un bacio con la mano. Sono stati insieme per oltre mezzo secolo, sempre fedeli “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”, come recita quella famosa formula del rito matrimoniale: ora davanti a loro hanno l’eternità. Chiudo gli occhi in una muta preghiera, come in un esame di coscienza, e non riesco a trattenere una lacrima. E su quei due volti che mi guardano sorridenti dalla foto, ripercorro velocissimamente il racconto della loro esistenza. E della mia.


giovedì 9 maggio 2024

La dittatura dello smartphone

 


Viviamo in un mondo fatto di cose da sostituire il più rapidamente possibile. Qualsiasi prodotto deve avere una durata limitata perché bisogna produrre sempre di più e, quindi, consumare velocemente. E chi non si adegua a questo andazzo è guardato con sospetto. Non puoi più affezionarti a una vecchia giacca, a una vecchia macchina (anche se in perfette condizioni), a un vecchio telefono. Devi per forza cambiare, rincorrere le novità, te lo dice in maniera ossessiva la pubblicità. E ogni pubblicità – scrive Gunther Anders nel suo libro “L’uomo è antiquato” – è un appello alla distruzione. Il filosofo tedesco racconta che negli anni Quaranta del secolo scorso venne a conoscenza del caso di una studentessa – normale sotto tutti i punti di vista – la quale fu costretta a subire un trattamento psicoanalitico perché opponeva resistenza alla madre che voleva comprarle vestiti sempre nuovi, alla moda, di cui non aveva alcun bisogno. Fu classificata “disadattata” e considerata come una “malata” da curare, ma anche come una nemica del mondo dominante. Insomma, una sorta di sabotatrice del modello produttivo.

Ora chi mi legge sa che io oppongo resistenza a chi vuole regalarmi, in ogni occasione,  uno smartphone di cui non ho alcun bisogno: mi basta e avanza quel vecchio telefono di casa, che mi permette di fare o ricevere telefonate (poche, in verità), lontano da occhi e orecchie indiscrete. E se devo collegarmi a Internet, ho un vecchio computer che me lo consente. Mi domando: dovrei preoccuparmi, alla luce di quanto sopra? Appartengo alla categoria dei disadattati perché vivo senza cellulare? Sarei un malato da curare, se venissi sottoposto a un trattamento psicoanalitico? Comunque sia, ho scoperto che c’è sempre un modo per escluderti e fartela pagare in qualche maniera.

Mi trovo in uno di quei negozi sempre affollati di gente, all’interno dei quali lavorano dei ragazzi, giovanissimi ed espertissimi di cose digitali, che conducono trattative di “offerte” telefoniche. Sono lì, in attesa, per cercare di sottoscrivere - su consiglio di mio figlio - un contratto di telefonia economicamente più vantaggioso riguardante, però, il mio apparecchio fisso di casa. Si, proprio quell’oggetto obsoleto che sta per sparire e che un tempo faceva bella mostra di sé sul tavolino dell’ingresso. E che oggi usano solo i cavernicoli. Mi guardo intorno: una giungla di messaggi pubblicitari declamano regali e offerte imperdibili. Sembra quasi che tutto ti venga concesso gratuitamente. Arriva il mio turno e, dopo una lunghissima trafila non degna della tecnologia che tutto dovrebbe velocizzare e semplificare, l’impiegato mi chiede il numero di cellulare, a cui deve trasmettere, necessariamente, non so bene quale tipo di messaggio di conferma, dando per scontato che oggi tutti ne posseggano almeno uno. Mi guarda stupefatto e quasi non crede alle proprie orecchie quando apprende l’incredibile notizia: “ma come, lei di questi tempi non ha un cellulare?....(fa bene! mi dice una signora che sta dietro in attesa)… “purtroppo, se non mi dà il numero di un suo cellulare – sentenzia affranto l’uomo delle offerte telefoniche - il sistema non mi permette di continuare”. Cerco di far valere le mie buone ragioni, di far capire l’incongruenza della richiesta ma, ahimè, la logica e il buon senso nulla possono contro l’attuale dittatura della telefonia mobile. Se oggi non hai lo smartphone il “sistema” ti punisce, ti emargina, non ti riconosce, ti fa sentire inadeguato. Non ti consente di accedere a certi servizi, ti impedisce di utilizzare alcune applicazioni. E se non ti adegui, per il “sistema” non esisti. Sono sicuro che fra qualche anno lo smartphone - in attesa che venga impiantato sotto pelle ai nascituri - sarà reso obbligatorio, come la carta d’identità o la patente. E chi andrà in giro senza, verrà arrestato in flagranza di reato.


giovedì 2 maggio 2024

Tramonto

 


“ Dove potrei rifugiarmi – diceva Holderlin per bocca di Iperione – se non avessi i cari giorni della mia giovinezza ?”. E dove potrei ritrovarli quei giorni – mi viene da pensare – se non tra i vicoli, le pietre, i panorami del mio paesello nativo, testimone delle sensazioni di quell’età fortunata? E allora, quando la fatica del vivere in città diventa gravosa, mi rifugio in quel luogo dell’anima, custode dei miei ricordi, per recuperare brandelli di pace e di silenzio. E di bellezza.

E così - l’altra sera - mi trovavo sul terrazzino di casa che guarda verso il mare dove si staglia la sagoma inconfondibile dell’isola di Capri. La magia dell’ora mi aveva abbagliato. Chi volesse riflettere sulla bellezza del creato dovrebbe cominciare dal tramonto. Dalla sua luce incantata che non scende più sulle cose in maniera diretta, ma le accarezza leggermente di lato affinandole con quel colore vicino al rosso, che appare quasi irreale.

Fascino, meraviglia, mistero: sono i sentimenti che provavo osservando il sole che si nascondeva piano piano dietro l’orizzonte del mare, nell’ora più dolce del giorno: il tramonto. Ma che altro è la bellezza se non una visione incantevole che ti può trafiggere l’anima come un dolore?