Viviamo in un mondo fatto di
cose da sostituire il più rapidamente possibile. Qualsiasi prodotto deve avere
una durata limitata perché bisogna produrre sempre di più e, quindi, consumare velocemente.
E chi non si adegua a questo andazzo è guardato con sospetto. Non puoi più
affezionarti a una vecchia giacca, a una vecchia macchina (anche se in perfette
condizioni), a un vecchio telefono. Devi per forza cambiare, rincorrere le
novità, te lo dice in maniera ossessiva la pubblicità. E ogni pubblicità –
scrive Gunther Anders nel suo libro “L’uomo è antiquato” – è un appello alla
distruzione. Il filosofo tedesco racconta che negli anni Quaranta del secolo
scorso venne a conoscenza del caso di una studentessa – normale sotto tutti i
punti di vista – la quale fu costretta a subire un trattamento psicoanalitico
perché opponeva resistenza alla madre che voleva comprarle vestiti sempre
nuovi, alla moda, di cui non aveva alcun bisogno. Fu classificata “disadattata”
e considerata come una “malata” da curare, ma anche come una nemica del mondo
dominante. Insomma, una sorta di sabotatrice del modello produttivo.
Ora chi mi legge sa che io oppongo
resistenza a chi vuole regalarmi, in ogni occasione, uno smartphone di cui non ho alcun bisogno: mi
basta e avanza quel vecchio telefono di casa, che mi permette di fare o
ricevere telefonate (poche, in verità), lontano da occhi e orecchie indiscrete. E se devo collegarmi a Internet, ho un vecchio computer che me lo consente. Mi
domando: dovrei preoccuparmi, alla luce di quanto sopra? Appartengo alla
categoria dei disadattati perché vivo senza cellulare? Sarei un malato da
curare, se venissi sottoposto a un trattamento psicoanalitico? Comunque sia, ho
scoperto che c’è sempre un modo per escluderti e fartela pagare in qualche
maniera.
Mi trovo in uno di quei negozi sempre
affollati di gente, all’interno dei quali lavorano dei ragazzi, giovanissimi ed
espertissimi di cose digitali, che conducono trattative di “offerte”
telefoniche. Sono lì, in attesa, per cercare di sottoscrivere - su consiglio di
mio figlio - un contratto di telefonia economicamente più vantaggioso riguardante,
però, il mio apparecchio fisso di casa. Si, proprio quell’oggetto obsoleto che
sta per sparire e che un tempo faceva bella mostra di sé sul tavolino
dell’ingresso. E che oggi usano solo i cavernicoli. Mi guardo intorno: una
giungla di messaggi pubblicitari declamano regali e offerte imperdibili. Sembra
quasi che tutto ti venga concesso gratuitamente. Arriva il mio turno e, dopo una
lunghissima trafila non degna della tecnologia che tutto dovrebbe velocizzare e
semplificare, l’impiegato mi chiede il numero di cellulare, a cui deve
trasmettere, necessariamente, non so bene quale tipo di messaggio di conferma,
dando per scontato che oggi tutti ne posseggano almeno uno. Mi guarda stupefatto
e quasi non crede alle proprie orecchie quando apprende l’incredibile notizia:
“ma come, lei di questi tempi non ha un cellulare?....(fa bene! mi dice una
signora che sta dietro in attesa)… “purtroppo, se non mi dà il numero di un suo cellulare – sentenzia affranto
l’uomo delle offerte telefoniche - il sistema non mi permette di continuare”. Cerco
di far valere le mie buone ragioni, di far capire l’incongruenza della
richiesta ma, ahimè, la logica e il buon senso nulla possono contro l’attuale
dittatura della telefonia mobile. Se oggi non hai lo smartphone il “sistema” ti
punisce, ti emargina, non ti riconosce, ti fa sentire inadeguato. Non ti
consente di accedere a certi servizi, ti impedisce di utilizzare alcune
applicazioni. E se non ti adegui, per il “sistema” non esisti. Sono sicuro che
fra qualche anno lo smartphone - in attesa che venga impiantato sotto pelle ai
nascituri - sarà reso obbligatorio, come la carta d’identità o la patente. E
chi andrà in giro senza, verrà arrestato in flagranza di reato.