Dice bene
Silvana Romano nel suo graffiante e lungimirante articolo: “mandiamoli via i
signori, i vassalli, i valvassori, i valvassini, i fanti e i cavalieri…”.
Mandiamoli
via: quelle teste coronate, quelle regine, quelle eccellenze che si sono
inghirlandate su troni scaduti e che si reggono grazie ai tanti leccapiedi di
regime, ai tanti cortigiani, agli innumerevoli nani e ballerine, sempre proni.
E’ proprio
vero: nulla sembra cambiato rispetto al passato e questo modello di gerarchia
medioevale vive ancora tra di noi, anche se con nomi e figure diverse. Insomma
tutto cambia affinché nulla cambi sembra essere l’amara conclusione, quello
spirito gattopardesco che accompagna da sempre la storia e le sorti del nostro
paese.
Non più
feudatari, come nel Medioevo, ma capi partito e capi corrente, parlamentari e
consiglieri regionali, banchieri e amministratori delegati. E, come nel
feudalesimo, esistono le guerre tra le fazioni e le lobby politico-affaristiche
per la spartizione del malloppo e del territorio, attraverso tutti i mezzi,
leciti e illeciti.
E noi,
cittadini normali che non partecipiamo a questo spregevole banchetto, chi
siamo?
Mi duole
dirlo, ma siamo ancora sudditi, servi della gleba, che paghiamo le tasse anche
per quelli che non l’hanno mai pagate, che apparteniamo a questo o a quel feudo
politico senza contare una mazza e che ogni tanto ci chiamano a votare, con
squilli di tromba e promesse roboanti di cambiamento. Ma nulla succede, e la
nostra partecipazione al voto si rivela una inutile comparsata.
Il potere è
ancora gestito come una ragnatela e non ha nulla a che fare con il buon governo
e con la buona politica: è una autentica patologia della nostra società.
Esprime la smania peggiore di dominare, di asservire, di padroneggiare,
attraverso le ruberie, i soprusi e le rapine legalizzate.
E’
l’espressione dell’arroganza e dell’ignoranza: l’uomo che oggi voglia dedicarsi
alla politica deve essere poco intelligente ma furbastro, deve essere privo di
dignità ma borioso, amante del comando ma sempre dipendente da qualcuno, più
arrogante e più retorico di lui.
Oggi la
politica cammina di pari passo con il potere economico/finanziario: quindi sia
i cosiddetti rappresentanti del popolo (ma come possono essere tali se sono
stati nominati e non eletti?) che i gestori della ricchezza si sono arricchiti
sempre di più dimenticando gli ultimi.
Quindi da
una parte c’è il potere, l’ingiustizia e lo sperpero di denaro pubblico e
dall’altra parte c’è la lotta quotidiana per la sopravvivenza.
Ne ho avuto
conferma durante queste festività di fine anno che – come ogni anno – le ho
trascorse nel nostro Cilento. E così, approfittando delle belle e tiepide
giornate natalizie, mi sono incamminato “alla ricerca del buono da ricordare”
(come scrive Silvana Romano), desideroso di immergermi in una realtà più a
misura d’uomo, non ancora oppressa in maniera eccessiva dalla modernità e dalle
macchine, come succede invece in una città come Roma, dove vivo abitualmente.
Mentre mi
trovavo a passeggiare tra i vicoletti del centro storico di Cicerale –
incantato dai bei portali di pietra arenaria che ancora decorano alcuni interessanti
palazzi nobiliari, abitati nel passato da qualche feudatario locale (almeno
loro ci hanno lasciato qualcosa di bello….i moderni vassalli che cosa ci
lasceranno?) – mi sono imbattuto in un vecchietto che avanzava con una carriola
piena di legna da ardere. Quella figura sembrava fosse uscita da un dipinto del
‘600, tant’è che sia per l’aspetto umile e bisognoso che traspariva dalla sua
figura, che per il contesto ambientale in cui mi trovavo, ho avuto
l’impressione di essere piombato improvvisamente indietro nel tempo. Quel
vecchietto, resosi conto che non ero del posto, quasi a volersi giustificare
della sua misera condizione – rispetto alla mia apparente agiatezza – si è
fermato e con un disarmante e rassegnato sorriso, mi ha detto : “Noi qui siamo
poveri”.
Ecco,
quell’immagine e quell’affermazione è la sintesi fotografica del paese reale.
Quel “povero” del Cilento che portava a casa un po’ di legna per scaldarsi
rappresenta idealmente il disagio economico e sociale che attraversa tutto il
Paese in questo momento. Quelle semplici parole sussurrate con dignità, forse
senza rancore, sono pur sempre un grido di dolore, un’espressione di malessere
in un paese governato da una classe politica ricca e corrotta.
Voglio
essere fiducioso e immaginare per questo 2014 dei politici generosi e onesti
che pensino veramente al bene del paese e non ai loro interessi personali; che
si impegnino con fatti concreti e senza retorica a risolvere i problemi
esistenziali della gente in difficoltà.
Voglio
immaginare che finalmente vengano ridotti i costi della politica…che vengano
risolti i problemi occupazionali…che venga messo in sicurezza tutto il nostro
territorio affinché le nostre strade non diventino delle mulattiere e i nostri
paesi non scendano a valle quando piove.
Voglio
immaginare che finalmente lo Stato provveda a tutelare seriamente il suo
patrimonio artistico/architettonico….a finanziare adeguatamente l’istruzione,
la sanità, la sicurezza dei cittadini.
Voglio
immaginare, ancora, una nuova legge elettorale che ci permetta di mandare a
casa tutti i lestofanti, di qualsiasi partito, che da più di venti anni
continuano a rubarci la vita e la speranza.
Voglio
immaginare, infine, un nuovo umanesimo che sappia dare un autentico significato
all’uomo e alla sua esistenza, attraverso una migliore qualità della vita.