Ci
sono alcuni scrittori che hanno dedicato l’intera esistenza a scrivere un solo
romanzo, ed è bastato per conquistare l’immortalità. Penso a Boris Pasternak
con “Il Dottor Zivago”, a David
Salinger con “Il giovane Holden”, a
Margaret Mitchell con “Via col vento”
, a Marcel Proust con la sua opera sterminata “Alla ricerca del tempo perduto”. E ci sono altri scrittori,
invece, che sfornano addirittura un libro all’anno, come se fossero bruscolini,
per favorire l’ingordigia insensata di un mercato diventato, paradossalmente,
tanto più ricco di libri quanto più povero di lettori. E non sono affatto libri di poche pagine, ma
tomi grossi quanto un vocabolario. Mi riferisco - in particolare - a Ken Follett,
il noto scrittore britannico che va tanto di moda (ma se la letteratura segue
la moda, ha già fallito), i cui adoratori (credo siano parecchi milioni nel
mondo) rendono ogni suo romanzo un bestseller a livello internazionale. Premetto
che non l’ho mai letto: i thriller di spionaggio camuffati da romanzi storici
non mi entusiasmano; e poi – lasciatemelo dire – ho una certa idiosincrasia verso
i libri del momento, i cosiddetti “casi letterari”. Preferisco quei libri “brutti”,
dimenticati, invecchiati, che nessuno legge e nessuno promuove, i cui autori
sono morti da tempo. Tuttavia, non mi
permetto di giudicare né la finezza della sua prosa che appassiona un pubblico
così vasto ed eterogeneo, né di mettere in discussione le riconosciute capacità
affabulatorie di uno scrittore come Follett, vera star del firmamento
letterario dei nostri tempi. Di lui, Umberto Eco ebbe a dire: “mette in scena improbabili e inverosimili
avventure, prendendo per i fondelli il pubblico. Le sue sono sciatterie nanesche”.
Credo
che non sia facile scrivere un libro di successo e ancor di più scriverne uno
all’anno, quasi a scadenze fisse: mi ricordano quei “cinepanettoni” realizzati
sotto le feste natalizie. I lettori di Follett aspettano sempre con trepidazione
e piacere la sua ultima fatica. E lui non li delude mai. Salinger impiegò dieci
anni per scrivere “Il giovane Holden” e altrettanti ne impiegò l’autrice di
“Via col vento”. A Robert Musil non bastò l’intera sua esistenza per portare a
termine il suo capolavoro “L’uomo senza qualità”, tant’è che fu pubblicato
incompiuto. Forse erano altri tempi. Quando questi autori scrivevano non
pensavano ai diritti d’autore e non avevano dietro nessun editore che facesse
pressione. Chi bazzica un po’ tra i libri sa certamente che il mondo editoriale
e della scrittura è influenzato non tanto da logiche culturali e letterarie
quanto di mercato. Certi scrittori, che a volte vengono esaltati dalla stampa e
legittimati dai lettori, spesso non fanno che assecondare i gusti di una
società omologata, realizzando molto spesso prodotti di indubbia qualità
letteraria in linea con le mode del momento. Follett è un uomo ricchissimo: viaggia
molto per promuovere i suoi libri, tiene conferenze in ogni parte del mondo, dice
la sua su ogni avvenimento importante, viene ricevuto da ministri e autorità
pubbliche, è ricercatissimo per una intervista. Ma dove trova il tempo per
scrivere anche un libro di ottocento pagine, quasi ogni anno? Musil li chiamava
“scrittori all’ingrosso”. “Lo scrittore
all’ingrosso – scriveva Musil ne L’uomo
senza qualità – è il successore del
principe dello spirito e corrisponde nel mondo spirituale alla sostituzione
avvenuta nel mondo politico dei principi con i ricchi”.
Amo
girovagare tra i banchetti dei mercatini dei libri usati. In quei posti ho
trovato, e continuo a trovare, dei libri molto belli che non vengono più
pubblicati dai gruppi editoriali, troppo impegnati a rincorrere i “capolavori” dei volti noti della
televisione e dello spettacolo: insomma gli scrittori alla moda, quelli che
contano e vendono. Devo dire inoltre che, ovunque io vada, mi capita sempre di imbattermi
in lunghe pile di romanzi di Ken Follett, le cui sagome massicce – con quelle
copertine che si somigliano tutte – saltano subito agli occhi. Libri
praticamente nuovi, come se nessuno li avesse mai sfogliati, al costo di 1/2
euro. Davvero non capisco come possa accadere che tali volumi, celebrati come bestseller,
diventino poi miseramente prodotti usa e getta. Se io compro in libreria un
libro che mi piace, spendendo qualcosa come 25 euro, recensito dalla critica e
presentato come evento culturale dell’anno, non posso liberarmene (e mi sorge
il dubbio che non sia stato neanche letto), portandolo al mercatino dell’usato,
ma lo conservo gelosamente sui ripiani della mia libreria. Mistero! Eppure, non
mi è mai capitato di vedere i volumi usati de “la
Recherche” di Proust in fila a pochi
euro, tant’è che l’intera opera l’ho comprata nuova in libreria. Vuoi vedere
che quel “mattone” di Proust si preferisce conservarlo comunque, anche se la
sua lettura risulta alquanto complessa, mentre invece quel “mattone” di Follett
si abbandona dove capita, come un qualsiasi giornale già letto o come un
qualsiasi libro di Bruno Vespa, perché la sua forza letteraria è solo passeggera
e mediatica? Ai posteri l’ardua sentenza!