Mi trovavo al paese, la notte
di Natale, in quel mio buen retiro aggrappato alle colline del Cilento e
affacciato sul mare. Ero seduto davanti al fuoco. Lo riattizzavo di tanto in
tanto, ora con legna di castagno, che sprigiona scoppiettii e scintille simili
a fuochi d’artificio, ora con legna di ulivo che emana un aroma delicato ed
intenso. Un profumo di liturgia e di festa. Fuori faceva freddo. Il camino
spargeva all’interno della casa un piacevole, avvolgente calore ed io, seduto
su una seggiola proprio lì davanti, ne ero completamente rapito. Stavo così, in
silenzio, da quando era terminata la cena alquanto frugale, consumata di fronte
a quel focolare che assumeva quasi il simbolo di nume tutelare della casa. In
un cantuccio della cucina, un piccolo presepe mi ricordava il rito della Natività
che si ripete ogni anno, le cui statuine di terracotta – su cui si riverberava la
fiamma del camino – mi davano l’impressione che dovessero prendere vita da un
momento all’altro. Guadavo quella rappresentazione di povertà e di semplicità –
espressione del Natale cristiano - e mi chiedevo come potesse conciliarsi,
oggi, l’etica della moderazione che la chiesa predica da oltre duemila anni,
con l’opulenza che ci viene offerta da una società sempre più sprecona e consumistica.
Mi ero lasciato alle spalle
una Roma più caotica del solito; invasa da un turismo festaiolo di massa;
addobbata da cascate di luminarie e da centinaia di alberi di Natale, di plastica; stretta
nella morsa del traffico reso ancora più convulso da una vera e propria isteria
collettiva da regalo - la Capitale - durante le feste di fine anno mette a dura
prova la pazienza anche dei suoi abitanti più indulgenti. Lo confesso: io,
durante le feste di fine anno, mi sento frastornato e reagisco scappando. Fuggo
dalla calca, dalle orge alimentari, dai “cenoni” e dai “pranzoni”, da quel
tripudio di luci, di suoni, di botti e di falsa allegria; fuggo dai centri
commerciali presi d’assalto, dalle cataste di panettoni e torroni, da quelle
atmosfere gioiose confezionate tanto al chilo. Se potessi, mi rifugerei in un
eremo sopra una montagna: ma mi sta bene anche la casetta del paese natale,
accanto al focolare.
Una casa di paese senza un
camino acceso, la notte di Natale, è un luogo freddo, triste e senz’anima. I
termosifoni non possono sostituirsi alla sacralità di un ceppo che arde e si
consuma lentamente. Ed io ero lì, la notte di Natale, che alimentavo con
passione quella fiamma con la legna di ulivo della mia campagna, così come un
prete si cura di riempire di incenso il proprio turibolo, affinché bruci
regolarmente e diffonda nella chiesa profumi che sanno di sacro. La mia abilità
nell’officiare quella “liturgia” mi elargiva piacere e commozione. Mi
confortava quel calore che sapeva di campagna e di Natale; mi faceva compagnia il
“linguaggio” di quella fiamma scoppiettante, più di qualsiasi altra vicinanza (c’è
qualcuno che ti pensa, diceva mia nonna quando il fuoco brontolava…); mi
infondeva sollievo quel tepore, suscitando in me sensazioni e pensieri; mi riportava
alla mente odori e sapori di cose antiche, risvegliando ricordi: il natale
povero ma dignitoso della mia infanzia e della mia prima giovinezza, così
vicino alla rappresentazione di quel presepe, e poi i dolci natalizi tipici della
tradizione contadina del Cilento (gli struffoli, gli scauratielli, le lucernelle…),
le povere tombolate in famiglia, le persone care che non ci sono più, la
spensieratezza di un mondo perduto. Non bisognerebbe avere rimpianti per il
passato, ma essere forti e determinati per affrontare con serenità il futuro,
che comunque appare incerto. E allora, con il nuovo anno alle porte, cercavo di
dipingerne uno con la mente. Ed ecco che affioravano desideri e speranze, e
aspettative che poi si perdono per strada, ma anche paure e dubbi.
Accanto a me c’era lei, mia
moglie, paziente come sempre, che forse – chissà - avrebbe voluto essere
altrove: a volte è difficile condividere gli stessi riti, le stesse fantasie,
lo stesso modo di sentire. Stare insieme non è solo un legame fisico di corpi,
ma è anche un accordo di pensieri, di emozioni, di sentimenti. Forse la cosa
più difficile.
Intanto continuavo a dare
vigore alla fiamma, stuzzicando la legna con voluttuosa energia. Un caminetto
fa casa, pensavo. Potessimo averne uno anche nelle nostre moderne abitazioni di
città! È un simbolo che unisce, che rafforza, che accomuna e c’è sempre
qualcuno accanto al fuoco che racconta una storia e si racconta. Purtroppo, manca
nella nostra società una immagine così antica e familiare, sostituita dai
moderni mezzi della tecnologia, dalla televisione e dalla virtualità dei social
che illudono le persone e le allontanano dalla realtà.
E così, assorto, mi distendevo
sulla poltroncina accanto al fuoco, inondato dal riverbero della fiamma che
sprigionava scintille somiglianti a lucciole di antica memoria. Stavo immerso
in quella sorta di sospensione del tempo che si verifica quando ci si abbandona al suo scorrere
leggero, aspettando che gli ultimi tizzoni ardenti si consumassero in attesa
della mezzanotte. Mentre avvertivo lo
scoppio di petardi lontani e rintocchi di campane a festa. Era Natale.