“Sono arrivato alla gioia dal
dolore”
La buona letteratura prende lo
spunto, a volte, dalle esperienze personali degli stessi autori. E quando ciò si
manifesta non sai mai come catalogare il libro che stai leggendo, perché ti appare ora come un racconto autobiografico ora come un romanzo-saggio,
ora come un diario. E man mano che scorri le sue pagine, all’interno delle
quali spesso trovi riflessioni sorprendenti e di rara bellezza, avverti che il suo
fascino risiede proprio in questa molteplicità di aspetti letterari, in questi flash mentali
che scorrono lievi e struggenti sulla pagina. E’ lo stile narrativo, questo,
che usa lo scrittore spagnolo Manuel Vilas ne “La gioia, all’improvviso”, già adottato
nel suo primo romanzo “In tutto c’è
stata bellezza” che gli ha dato notorietà a livello internazionale.
Con “La gioia, all’improvviso” l’autore-protagonista si trascina per il mondo dietro qualcosa di nuovo che è comparso nella sua
vita: un entusiasmo che a volte chiama bellezza, e altre volte gioia. Accompagnato dal
figlio o dalla moglie - durante i suoi viaggi di lavoro, tra una città e
l’altra, a presentare il suo libro o a tenere conferenze – approfitta dei
momenti di dolce solitudine per ricordare il suo passato, le sue radici, i suoi
amatissimi genitori, veri protagonisti del libro sebbene siano scomparsi da diversi
anni. Ma l’autore continua a cercarli, forse perché cercandoli cerca sé stesso.
Il libro è un autentico inno d’amore per un padre e una madre che vengono quasi
divinizzati, perché “abbiamo tutti una necessità immensa di continuare a
parlare con i nostri morti”. E lo scrittore spagnolo cerca di riannodare questa
conversazione.
Nel libro ritroviamo i pensieri più intimi e più
dolorosi dello scrittore: le sue amicizie, che sono sempre temporanee come gli
amori; i suoi ricorrenti pensieri suicidi, che mai potrebbe mettere in atto perché
causerebbe un dolore insanabile ai suoi familiari; e poi, la paura della morte,
che ci coglie sempre soli anche se “abbiamo costruito l’illusione della
compagnia…con l’invenzione della famiglia, dell’amicizia, dei legami
incondizionati, anche se nessuno osa pensare alla propria morte che “non è
brutta, l’abbiamo resa brutta noi”, ed è sempre quella degli altri, come se la
nostra non esistesse. E poi i suoi fantasmi, che non lo abbandonano mai, in primis quello che lui chiama “Nosferatu”, il quale ha scelto come “dimora” il suo corpo
“dove vive a proprio agio”: la depressione, “morso di un lupo sconosciuto sul
benessere dei tuoi pensieri, della tua anima, della tua coscienza, del tuo
equilibrio”; e poi ci sono i suoi anni tremendi avvolti nell’alcol, perché “l’inferno
si presenta sempre con gli ornamenti del paradiso. E’ un classico della vita. Entri
all’inferno credendo di entrare in paradiso…vai verso la morte ricordando che
sei stato un grande bevitore. E la morte non può più farti nulla che non ti
abbia fatto prima la vita”. Le sue notti insonni sono frequenti, come quella
volta a Venezia: “Non sono quasi riuscito a dormire, mi svegliavo in
continuazione. Mi alzavo dal letto e andavo a guardare il panorama: il buio,
l’acqua, di tanto in tanto una chiatta che solcava il Canal Grande. Venezia
alle tre di notte, alle quattro di notte. Sempre più vicino agli artigli di
Nosferatu, in una liturgia di disperazione intelligente. Cercavo di ripassare
in rassegna le cose meravigliose della vita”.
“Non sono un uomo – dice Vilas - sono un corpo
che invecchia…un viaggiatore della parola”. Perché lui si è sempre sentito
fuori dal dibattito sociale e dalle lotte di potere tra uomini e donne. Ma per
sentirsi un uomo o una donna “bisogna avere vanità”. E lui non ce l’ha. Quella
vanità che tutti accettano affinché “ci siano discendenza, lotta, movimento,
aggressione, delitto, passione, ingiustizia”. Gli costa moltissimo trovare il
suo posto nel mondo, forse non l’ha mai trovato perché non ha mai saputo quale
finalità avesse la sua vita. E perciò vaga per il mondo. E viaggia.
Ma c’è tanto posto per la bellezza, nel libro,
che non si mostra “agli esseri umani in gioventù, né durante la prima maturità.
Piuttosto si mostra quando tutto comincia ad andarsene”. “L’unico modo per
vivere in pace, all’età che ho io – scrive Vilas - è respirare un po' di
bellezza. Forse la bellezza che arriva dal passato, come se fosse una fede o
una religione. Se lo adoriamo, se ne facciamo un oggetto di culto, come faccio
io, il passato ci invia un po' di gioia velata…ma quant’è difficile trovare la
gioia profonda in questo mondo e quanto poco durano i momenti di gioia”. Sono parole, queste, che provengono da
un’esperienza personale ma hanno una valenza universale, dal forte impatto
emotivo, perché “tutto ciò che ci è accaduto torna altrove e in
altri esseri umani”. E’ il miracolo della letteratura, quella vera. E’
la dolcezza dei ricordi, e più s’invecchia e più affiorano. Eppure, abbiamo
paura di “discendere nel passato”, ci “fanno male i suoi enigmi” e allora “ci
inventiamo il presente”. Ma “cosa c’è nel mio presente – dice l’io narrante del
libro - se non quell’ostinata e oppressiva e decadente e voluttuosa abbondanza
del passato”.
Nel libro non mancano le considerazioni sul suo
paese di origine, la Spagna, “che ha gente meravigliosa, però le sue élite
politiche, sociali, economiche e intellettuali sono malate…sono sempre state le
élite a rovinarci”; non mancano le riflessioni sul mondo caotico in cui viviamo
dove non esiste più il silenzio, “una cosa che scarseggia dovunque”, quel
silenzio che “soltanto la musica ha la legittimità di distruggerlo”. Ma la
nostra civiltà produce solo rumori, solo la natura produce suoni. E “quando il
suono si trasforma in rumore comincia il degrado della vita”.
Se io dovessi riassumere questo libro con tre
aggettivi, direi: malinconico, struggente, poetico.
Probabilmente sbaglio approccio io, la tua narrazione del libro mi solletica alla lettura con un pregiudizio sottile. Scorgo molto dolore e patimento intanto e faccio fatica a collegarlo con gli aspetti gioiosi, che pure sembrano esistere, e intanto l'autore se ne viaggia per il mondo, talvolta col figlio, o con la moglie o con qualche demone che ne guasta la vista sul Canal Grande (non sono mai riuscito a dormire a Venezia con vista sul Canal Grande..); magari prenderò il suo primo in biblioteca, sono curioso in qualche modo di queste esistenze tormentate, da eccessi e depressioni che pure scaturiscono un buon vivere..
RispondiEliminaVilas dice che quando parli della famiglia, quella famiglia torna in vita. Lui scrive di suo padre, di sua madre che non ci sono più, scrive di sé stesso, dei suoi figli, della sua famiglia…ed è felice. E prova gioia. Ha messo la sua famiglia in un libro, la famiglia in cui è stato figlio e quella in cui è stato padre: ed è la cosa più bella che abbia fatto nella vita. Parole sue. Il suo obiettivo è quello di custodire ciò che i suoi genitori sono stati per lui. Ti domandi dov’è la gioia in tutto questo, visto che l’autore soffre ed ha sofferto. La gioia è un sentimento misterioso che a volte si nasconde: sta a noi cercarla e trovarla. Il nostro autore l’ha trovata in tutto ciò che ha amato e perduto, o senza sapere che un giorno gli sarebbe stato rubato. Il fondamento della gioia e dell’amore è il tempo trascorso accanto alle persone che ami. Così scrive: “Bisogna essere sempre preparati alle più grandi delusioni che si possano immaginare; e dentro quelle delusioni bisogna fare spazio alla gioia, si, alla gioia. Perché la gioia è la mia responsabilità come essere umano. E’ il fondamento della mia natura. L’unica cosa sacra è la gioia” Insomma, sembra voler dirci che non si può arrivare alla gioia senza aver patito prima il dolore.
Eliminaquesto autore, che conosco solo attraverso le tue parole, deve averti smosso qualcosa dentro perchè, se non sbaglio, è l'unico scrittore vivente a cui hai dedicato due entusiastiche recensioni, contrariamente alla tua abitudine di dedicarti ad autori del passato, più o meno recente.
RispondiEliminain ogni caso dovrò leggere qualcosa di Manuel Vilas, visto come lo caldeggi :)
massimolegnani
Sorrido! E’ vero: io di solito preferisco i morti ai vivi…mi riferisco naturalmente agli scrittori… :). Vedi – caro Massimo - quando uno scrittore è vivo, la sua immagine pubblica sui mass media, e poi le sue parole dette in contesti diversi dal libro, e poi la pubblicità che a volte segue a ruota, e poi l’esposizione del libro nelle vetrine delle librerie, e poi la classifica delle vendite…insomma, tutta questa costruzione mediatica mi infastidisce, diventa ingombrante e fuorviante, per me. Io deve avere un rapporto diretto con il libro. Senza intermediazioni di alcun genere. Su quel libro ci devo sbattere il muso (o meglio gli occhi) io. E così è successo per Manuel Vilas che in qualche maniera ha infranto una regola. Cosa mi ha smosso? Intanto fui colpito dal titolo e dall’incipit del suo primo libro “In tutto c’è stata bellezza”, mentre vagavo nella libreria della stazione di Roma Termini, qualche tempo fa. Ne ho parlato in un post che tu hai letto e commentato. Poi, devo dire che mi piace il suo stile e il suo modo di raccontare, che non prevede una trama, non devi seguire un filo logico, non esiste un inizio e una fine. Il libro lo puoi leggere anche aprendolo a caso. Nel suo racconto non ci sono omicidi, non ci sono enigmi da risolvere, non ci sono commissari di polizia che indagano. Non ci sono storie di condominio, come diceva un tale, a proposito di certe vicende che vengono quotidianamente sviscerate dalla televisione. C’è, invece, un uomo di 63 anni, solo, con le sue paure, con i suoi dubbi, con le sue sconfitte, con i suoi sentimenti, che celebra un viaggio che si chiama vita, rincorrendo con fatica la bellezza e la gioia. Un uomo che ha scoperto una cosa importante, e per questo è diventato scrittore: ha scoperto che “le parole fanno innamorare e servono per non essere soli”. E succede che a volte ti innamori di queste parole e non di altre. Relativamente al tuo desiderio di “leggere qualcosa di Manuel Vilas”, non mi pronuncio. Le letture sono personali e ognuno le deve cercare secondo il proprio modo di essere. Ciò che piace a me può non piacere a te. Un caro saluto :)
EliminaRiesci sempre a fondere le qualità di uno scrittore con quelle da attento lettore , paradossalmente arte inversa che si rivela imprescindibile l'una dall'altra .
RispondiEliminaRicordo bene l'altro posto dedicato a questo scrittore ,un modo per ricordare anche la mia lacuna nel non aver ancora comprato quel libro e adesso sono indietro di due:)
Buona domenica
Cara L., grazie per l'apprezzamento. Come ho scritto sopra a Massimo, io non oso dare consigli di lettura. Cerco solo di esprimere - e non so se ci riesco - i miei pensieri sulle mie letture. Se poi qualcuno è invogliato a comprare il libro di cui ho parlato, e quel libro non dovesse incontrare il suo favore, ebbene sappia che non potrà addebitare allo scrivente nessuna responsabilità al riguardo :))
EliminaUn saluto
"Sono arrivato alla gioia dal dolore"
EliminaScherzi a parte , mi sa che inizierò dalla lettura di questo libro, mi sembra molto interessante.Arrivare alla gioia passando per il dolore,una sorta di moto dell'anima — La gioia è davvero una conquista che passa anche attraverso la fatica e le sfide e non qualcosa di lineare come solitamente pensiamo ,un qualcosa che ho condiviso pienamente qualche giorno fa.
Buona serata :)
Buona lettura...poi mi farai sapere. E buona giornata.
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