E’ sempre interessante analizzare
gli avvenimenti che accadono nella nostra società, soprattutto quando assumono
una dimensione numericamente rilevante. Se oltre dieci milioni di persone fanno
contemporaneamente la stessa cosa e cioè guardano - per una settimana di fila -
il festival di Sanremo, bisognerebbe cercare di capire i motivi socio-antropologici
che stanno alla base di tali comportamenti di massa. Tuttavia, pensare che il
successo di pubblico – e solo quello - possa decretare automaticamente la
bellezza e l’importanza di uno spettacolo, significa confondere l’analisi di un
fenomeno con il giudizio di valore dello stesso. Eppure, questo modo di intendere
la realtà si è ormai diffuso in tutti i settori della nostra contemporaneità.
Tant’è che la mercificazione del successo di pubblico tende a soffocare qualunque
tipo di critica e a sancire il valore assoluto di qualsiasi evento.
Lasciando da parte il festival,
che ho visto fino a quando i cantanti - quelli veri - cantavano davvero e non
esibivano sé stessi attraverso tatuaggi e travestimenti a dir poco inquietanti,
vorrei soffermarmi per un momento su un fenomeno simile che si riscontra anche
in letteratura. Mi riferisco alla cosiddetta “dittatura” del best seller:
il libro più venduto, più letto, di cui bisogna parlare perché tutti i media ne
parlano. E se una moltitudine di persone compra lo stesso libro in un
determinato momento (ma non sappiamo quanti lo leggano realmente), succede che
quel libro assurga inevitabilmente a caso letterario.
Prendiamo, per esempio, l’attuale
opera prima del Principe Harry “Spare. Il minore” pubblicata da
Mondadori (25,00 euro). E’ in testa alle classifiche di vendita di mezzo mondo,
è esposto in tutte le vetrine delle librerie e viene presentato come un evento
epocale. Per carità: io ho grande rispetto per i sentimenti del Principe che
ripercorre, con il suo libro, i terribili momenti della morte della Principessa
Diana, sua madre. Tanto più che all’epoca, insieme al fratello maggiore, era ancora
un bambino dato in pasto - dal protocollo reale - al morboso voyeurismo di massa,
mentre seguiva il feretro sotto gli occhi addolorati di miliardi di persone.
Non voglio entrare nel merito
del libro (che non ho letto né leggerò), però se in questo frangente appassiona
contemporaneamente milioni e milioni di lettori (o acquirenti?), mi domando: è
destinato, per forza di cose, a diventare un capolavoro della letteratura
universale? In altre parole, la fama dell’autore, la condivisione di un dramma
che da personale diventa planetario attraverso la lettura, possono in qualche
maniera essere garanzia di qualità e sancire l’entrata del libro nell’olimpo
sacro della letteratura? Nel contempo, qualcun altro potrebbe anche domandarsi:
ma siamo sicuri che dietro la critica feroce di ogni successo editoriale e di
pubblico, qualunque esso sia, non si nasconda un risentimento invidioso supportato
da immaginarie recriminazioni morali? Ora, dinanzi a questi interrogativi io
continuo a leggere quello che più mi appassiona, e non mi lascio affatto
influenzare dal mercato e dall’idolatria del best seller. Non so se
questo sia un segno del mio malcelato snobismo, sono sicuro però che se la
letteratura insegue la moda o il fatto del momento, ha fallito il suo compito e
io non la rincorro. Chissà, forse un giorno mi ritroverò a leggere quel best
seller, dopo molti anni dalla sua pubblicazione, magari scovandolo sul
banchetto di un mercatino dell’usato. Posso assicurarvi che se ciò dovesse
accadere, il piacere di comprarlo e leggerlo sarà davvero grande, se non altro
perché quel libro – che magari sarà pure diventato un classico della
letteratura - non lo leggerà più nessuno, proprio perché sarà lontano dai riflettori dello spettacolo e dall'attenzione del grande pubblico.