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domenica 23 ottobre 2022

Là dove nascono i post...

 


“Mens sana in corpore sano” dicevano gli antichi romani. E per onorare al meglio questo detto, cerco di non trascurare la salute della mente, leggendo qualche libro e scribacchiando su questo blog, né quella del corpo, oliando le mie articolazioni sempre più arrugginite con una camminata spedita di circa un’ora, tutti i giorni. Ne ho già parlato in un vecchio post. Mi reco nel Parco Archeologico di Centocelle, poco frequentato. E’ un luogo che si trova un po' distante dalle abitazioni del quartiere di Roma, dove abito, e gli amanti del footing (per non stancarsi?) si riversano quasi tutti in un parco vicino, più a portata di mano…o meglio di piedi. L’uomo, si sa, è per sua natura un animale sociale che ama stare nel gregge e ammassarsi nello stesso posto, anziché cercare spazi più liberi e meno affollati. Somiglia più a una pecora che a un lupo. Che poi, è ciò che avviene in città: attorno esistono borghi a volte spopolati (secondo uno studio circa metà della superficie terrestre è disabitata), eppure scegliamo sempre gli alveari metropolitani. Insomma, ce la mettiamo tutta per farci del male.

Prima di arrivare al parco percorro una strada molto trafficata lungo la quale c’è di tutto e di più: bottiglie di plastica, calcinacci, miriadi di mozziconi di sigarette, lattine, mascherine (le new entry), biglietti di gratta e vinci (auguro, a chi l’ha buttati lì, di non vincere mai!); e non mancano, di tanto in tanto, rifiuti più corposi quali materassi, frigoriferi e altro... Ricordo, a chi ha la memoria corta, che il Sindaco di Roma non è più la Raggi: gli incivili che la abitano, però, sono sempre gli stessi. Ma lasciamo perdere! Attraverso la Casilina, un’antica strada medievale che congiungeva Roma a Casilinum, l’odierna Capua, confinante con il Parco: a quell’ora della mattina è un lungo serpentone di macchine strombazzanti, che procedono a passo d’uomo, con una sola persona a bordo. La cosa surreale è che la maggior parte sono suv e fuoristrada, come se Roma si trovasse sulle Dolomiti. Se dovessi immaginare una eventuale estinzione della specie umana sulla terra non avrei dubbi: vedo con la mente solo un ingorgo planetario di macchine superaccessoriate i cui occupanti, prigionieri in quella distesa di lamiere, strillano disperatamente al cellulare: “ma tu dove sei?”. Sette miliardi di persone che si telefonano a vicenda, senza scampo.

Sono nel Parco Archeologico dove sorgeva - duemila anni fa - la villa imperiale ad duas lauros dell’imperatrice Elena, madre dell’imperatore Costantino. Per la sua grande estensione la dimora imperiale venne chiamata Centum Cellae, da cui deriva l’attuale toponimo. Respiro quell’aria frizzantina del mattino a pieni polmoni e mi sento bene, lontano da quell’inferno di lamiere che mi sono lasciato alle spalle. Sembro davvero l’unico superstite dell’apocalisse immaginata, ma anche il custode di trenta ettari di verde pubblico a mia completa disposizione: una vera meraviglia! Non c’è nessuno, a quell’ora. Percorro quei sentieri lungo i quali cresce rigogliosa la rughetta selvatica, la cicoria e la carota e poi la portulaca e il finocchietto; ammiro dei bellissimi fiori di prato quali il verbasco, la linaiola, la vedovella, la malva. Ho imparato a conoscerli in questo luogo. Mi imbatto in una piantina di ulivo messa lì a dimora da una mano ignota: un gesto quasi rivoluzionario da parte di una persona sensibile, un vero atto d’amore verso la natura e verso l’uomo.  Un albero - che sia un ulivo, un limone o un abete - non si pianta mai solo per sé ma anche per chi verrà dopo. E sappiamo quanto siano importanti e fondamentali, oggi, gli alberi per la nostra stessa sopravvivenza.

Osservo questa giovane piantina e non posso non andare con la mente ai miei ulivi piantati tanti anni fa nella mia campagna, nel Cilento. Mi vedranno morire mentre loro sfideranno i secoli, almeno me lo auguro. Anche quest’anno, a partire dai primi di ottobre, mi sto dedicando, con passione, a quel rito antico che si perde nella notte dei tempi: la raccolta delle olive. Bastano le mani e un rastrello per “pettinare” i rami, un telo su cui far cadere le olive e un seghetto per tagliare quelle cime che svettano verso il cielo. Ma noi oggi abbiamo perso manualità, autosufficienza, antiche conoscenze. Compriamo tutto, anche quelle cose che un tempo si facevano in casa; non sappiamo più coltivare un orto o raccogliere le erbe selvatiche o la legna nel bosco; per mantenerci in forma e non perdere l’uso delle gambe e delle braccia, frequentiamo le palestre e facciamo jogging, a volte in mezzo al traffico. Faccio queste riflessioni, mentre mi trovo da solo nel parco di Centocelle. Cammino e sento i miei passi che spaventano i corvi e i pappagalli verdi (chiamati anche parrocchetti) che hanno eletto qui la loro dimora. E osservo e intrattengo me stesso con i miei pensieri, le mie divagazioni, le mie malinconie, che spesso si materializzano nei miei post. Così come decollano da questa vecchia pista abbandonata (si vede nella foto) - reperto del primo aeroporto italiano, qui realizzato agli inizi del ‘900 – anche le mie illusioni che si sforzano di mantenere ancora scattante un corpo su cui gli anni cominciano a far sentire tutto il loro peso.

sabato 1 ottobre 2022

Un eremita in città

 


La mia vita tende al mediocre, se viene misurata secondo i modelli comportamentali attualmente in voga e valutata con il metro di giudizio del “così fan tutti”.  Io non ho cellulari; non sto sui social e non faccio vita sociale; non coltivo amicizie; non sono un conquistatore di alcove femminili; non partecipo al rito serale dell’apericena e della pizza domenicale; non giro con il cane al guinzaglio e non ho il Suv (il nuovo status simbol); non vesto abiti griffati e non frequento località alla moda; vado raramente al ristorante e non mi faccio vedere in giro nei posti che contano. E poi, lo devo dire, non sono un arrampicatore sociale, più che apparire mi piace nascondermi, non ho mai avuto ambizioni carrieristiche, i soldi non sono il mio obiettivo, non seguo le tendenze. Non ho followers e nutro non poca diffidenza nei confronti di questa invadente tecnologia. Insomma, quel modo di “fare”, di “mostrarsi” e di “essere” che ti fanno sentire perfettamente in linea con lo spirito dei tempi, sono condizioni che non mi appartengono. Più che di eccessi, la mia vita è costellata di mancanze.

Non amo il potere, in tutte le sue innumerevoli ramificazioni, e alla maggioranza che lo celebra io preferisco la minoranza che lo contesta. Io credo nelle persone – diceva Nanni Moretti in Caro Diario - però non credo nella maggioranza delle persone: mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d'accordo con una minoranza”. Se proprio lo devo dire: mi sento spaesato in questa società che mi circonda, non mi ci ritrovo e non la riconosco più per come è diventata nella maggior parte dei casi. “Per me è come ci fosse un’occupazione in corso – ha scritto Simone Perotti nel suo libro “L’altra via” - come se un esercito alieno stesse dilagando, e bisognasse andare in montagna per rimanere liberi, facendo i partigiani”: parole che io condivido appieno. Solo che lui ha cambiato radicalmente vita ed io mi limito a fare il “partigiano” in città.

Non faccio settimane bianche, non vado più al cinema, guardo poca televisione (Rai5 e Rai Storia e i documentari naturalistici di Geo e quelli sul patrimonio artistico di Alberto Angela). Trovo noioso e insopportabile il teatrino della politica che va in onda tutti i giorni sui mezzi di informazione. Considero falsa e sibillina la stessa informazione, o meglio quel fiume di parole e immagini che ci inondano quotidianamente. Non seguo più neanche il calcio - una mia antica passione - da quando il business lo ha stravolto e le squadre sono diventate delle legioni straniere dove giocano dei miliardari tatuati. Mi danno fastidio le macchine: se avessi una bacchetta magica le farei sparire tutte, a cominciare dalla mia; evito come la peste i luoghi affollati, detesto la pubblicità in tutte le sue forme, condanno chi scrive sui muri, chi sporca le strade della città in cui abito: Roma, sempre più sporca e super caotica, dicono la più bella del mondo. Ma non ci devi vivere per sempre, almeno per come io ritengo vivibile un luogo.

In questa città vivo come una sorta di monaco laico: starei volentieri in un luogo isolato, in campagna, con due galline, una capretta e un orto. E tre sedie, come diceva David Thoreau: la prima per la solitudine, la seconda per l’amicizia e la terza per la compagnia. Mia moglie - che un po' mi conosce - dice che probabilmente le ultime due sedie rimarrebbero sempre vuote, se facessi questa scelta di vita. Coltivo con sottile piacere la solitudine – che è l’opposto dell’isolamento - e sono ormai diventato un eremita di città. Ma un eremita, nonostante tutto, ancora disponibile e socievole, legato alla vita e all’uomo, perché nessuno, meglio di un solitario, sa aspettare e accogliere con gioia e trepidazione l’arrivo di un amico, di un conoscente.  

Ho come l’impressione, a volte, che l’arte e la letteratura siano le mie uniche forme di libertinaggio e di trasgressione. Mi soffermo, sempre più spesso, in contemplazione e in silenzio dinanzi a un dipinto (ovunque esso si trovi, in una chiesa come in un museo), e mi lascio sedurre da un vecchio buon libro, a volte il mio amico più sincero. Il poeta russo Iosif Brodskij, nel ricevere il premio Nobel per la letteratura nel 1987 ebbe a dire: “Mi pare che un libro, come interlocutore, sia più fidato di un amico o dell’innamorata. Un romanzo o una poesia non è un monologo, bensì una conversazione tra uno scrittore e un lettore; una conversazione, ripeto, del tutto privata che esclude tutti gli altri – un atto, se si vuole, di reciproca misantropia.  Un’opera d’arte, in special modo un’opera letteraria e una poesia in particolare, si rivolge all’uomo tête-à–tête, stabilendo con lui rapporti diretti, senza intermediari di sorta”. E allora, a questo punto, sorge spontanea una domanda. Ma può la letteratura o, l’arte in generale, sostituirsi alla vita, seppure “mediocre”? Qualcuno dirà che esiste ancora – per nostra fortuna - un discreto margine di piacere nell’intrattenersi, magari senza incappare in eccessivi tormenti e fastidi, con delle persone vere, di nostro gradimento. Ed è vero! E’ importante, però, che questi nostri “interlocutori” (che siano amici o parenti, social o mezzi di informazione, partiti o associazioni) non si rivelino persuasori occulti, interessati esclusivamente ad inculcarti la propria morale e la propria visione della vita e della società.