Chi non ricorda quella scena
memorabile del film “Totò, Peppino e la
malafemmina” in cui i due grandi attori napoletani, nei panni di due
fratelli, arrivano nella stazione di
Milano - in piena estate – entrambi intabarrati in un cappotto con il collo di
pelliccia, colbacco e stivali da neve, convinti che nel capoluogo lombardo faccia
sempre freddo, a prescindere dalla stagione. “Ma si può sapere che c’hanno da
ridere ?”, dice Peppino osservando gli altri viaggiatori che sghignazzavano al
loro passaggio. E Totò di rimando: “Ti sei mai visto in uno specchio? Tu
vestito da milanese sei ridicolo”
Nel leggere il libro di
Giuseppe Marotta “A Milano non fa
freddo” (edizione Bompiani), non potevo non ricordarmi di quelle celebri
immagini cinematografiche, capaci di ironizzare su una vecchia credenza
popolare. Per gli emigranti che partivano soprattutto dal sud dell’Italia in
cerca di fortuna e di lavoro, Milano era per antonomasia la città del freddo e della
nebbia, dello spaesamento e dell’estraneità. Il freddo, per chi proveniva dai paesi
caldi e luminosi del Mezzogiorno d'Italia, era quasi sinonimo di ostilità. E ostili
dovevano apparire i suoi abitanti che parlavano una lingua a volte
incomprensibile per chi conosceva solo il dialetto del paese di provenienza. Il
libro di Marotta “A Milano non fa freddo” sembra sfatare tale
leggenda. E non solo nel titolo.
E’ una raccolta di brevi racconti
in chiave autobiografica, velati a volte di soffusa e struggente malinconia,
dedicati alla città che accolse lo scrittore partenopeo, nato a Napoli nel
1902. Egli infatti si trasferì a Milano nel 1925, all’età di 23 anni, per intraprendere la
carriera di giornalista e scrittore. Aveva saputo che proprio a Milano “esisteva un professionismo giornalistico e
letterario”. E questi brevi scritti, ognuno dei quali porta un titolo, non
sono altro che brandelli di vita, paesaggi dell’anima; sono ricordi di avvenimenti
accaduti o evocati che sembrano distendersi sulle ali della nostalgia; sono
descrizioni amare e poetiche di una Milano che non esiste più. “Gli
uomini della mia specie – scrive Marotta nel suo libro – periscono in qualsiasi impresa che non sia quella di allineare
parole sulla carta: tutto ciò che avrei potuto e dovuto fare nella vita io l’ho
scritto o lo scriverò un giorno o l’altro; dubiterei della mia esistenza se,
bene o male, non la vedessi stampata sui giornali e nei libri; nessuno sa che
vorrei scrivere meglio al solo scopo di vivere meglio”. E chi poteva
offrirgli la possibilità di scrivere meglio per vivere meglio se non Milano?
Ecco allora che il capoluogo meneghino, nonostante le sue difficoltà e le sue
contraddizioni, diventa il paese dove non fa freddo, ospitale e disponibile perché sa accogliere
chi vi arriva e chi vi soggiorna.