Nel film “Maccheroni” diretto da Ettore Scola e
girato a Napoli negli anni ‘80, il protagonista, Marcello Mastroianni, passeggia
per le vie della città partenopea in piacevole compagnia con Jack Lemmon. A un
certo punto Mastroianni, con accento napoletano dice al suo amico: “comm’è
bello perdere ‘o tiempo!”. Ora mi viene da pensare che in un mondo dominato
dall’efficienza, dalla velocità e dalla fretta, da assillanti messaggi
mediatici che ci invitano a produrre e a consumare e a fare e a non fermarsi
mai e a non sprecare il tempo perché “il tempo è denaro”, non esiste frase più
rivoluzionaria, liberatoria e sovversiva di questa: com’è bello perdere tempo.
Io sono un estimatore del “perdere tempo”, che
è una cosa ben diversa da “sprecare il tempo”. Mi piace tenermi occupato senza
fare nulla. Basta una finestra, magari affacciata su un bel panorama, ma anche
il finestrino di un treno in corsa o una panchina in una piazzetta di un antico borgo
dove il silenzio è rotto solo dall’acqua che zampilla da una fontanella: e il
piacere è assicurato. Passeggiare, meditare, pensare, contemplare la natura,
coltivare l’arte della conversazione e del dolce far niente, stare seduti
accanto al focolare d’inverno, ascoltare Mozart con gli occhi chiusi, sono tra
le attività più piacevoli e nobili che un essere umano possa desiderare. Hanno
un potere curativo. E creativo. Ritagliarsi un angolo di tempo tutto per sé, un
momento di riflessione e di tranquillità lontano dalle folle e dagli impegni: è,
questo, il tempo dell’ozio che non è il tempo nevrotico del mondo che ruota
intorno ma quello del proprio mondo interiore. Nel passeggiare, nel
bighellonare si può trovare l’anima dell’ozioso. Chi passeggia – da solo o in
compagnia ( ma senza cellulare) - lo fa per piacere, contempla senza disturbare
ed essere disturbato, non ha fretta, non ha impegni, è felice di stare in
compagnia dei propri pensieri. Indugiando, osservando, pensando. E’ libero. Il
mondo, per lui, smette di esistere. Un grande passeggiatore solitario era
Beethoven il quale elaborava mentalmente le sue meravigliose sinfonie durante i
suoi vagabondaggi.
Oziare significa
essere affrancati da convenzioni, opportunità, desideri, competizioni, regole;
significa allontanarsi dagli affanni quotidiani e ritrovare quel senso
fanciullesco di meraviglia e di piacere di fronte alle piccole gioie della vita;
significa sottrarsi a quella ricorrente sensazione di sentirsi vittima della
società dei consumi; significa non dare ascolto ai
cultori della velocità e agli “ottimizzatori del tempo” ossessionati dal loro
iperattivismo produttivo senza limiti. L’ozio e la lentezza sono condizioni
esistenziali necessarie e irrinunciabili, che andrebbero elevate ad arte, in
opposizione alla fretta, all’efficientismo a tutti i costi ed alla crescita produttiva illimitata, proprio per ristabilire quei ritmi naturali perduti e ritrovare le giuste
pause quotidiane.
Bertrand Russel, in un suo famoso saggio
che si intitola “Elogio dell’ozio”, sosteneva che l’umanità non si sarebbe mai
sollevata dalla barbarie senza una classe sociale oziosa. Queste persone oziose,
a fronte di una vasta classe di lavoratori, godevano di immensi vantaggi
economici e sociali, ma di scarse simpatie perché non lavoravano come gli altri.
Tuttavia – sosteneva Russell – contribuirono in modo quasi esclusivo a creare
quella che noi chiamiamo civiltà. Furono loro, gli oziosi, che coltivarono le
arti, scrissero libri, raffinarono i rapporti sociali. E’ come dire che dall’ozio scaturisce tutta la
bellezza dell’esistenza.
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