Sappiamo
tutto del romanzo “Il Gattopardo”, un libro tradotto in tutto il mondo. Conosciamo
la storia, i personaggi, le ambientazioni rese celebri dal suo autore, Giuseppe
Tomasi di Lampedusa. Egli prende lo spunto dalle vicende storiche di un suo antenato
appartenente alla nobiltà decadente siciliana, dal momento del trapasso del
Regno delle due Sicilie all’Unità d’Italia. In realtà, dietro questa storia
romanzata si celano le malinconie dello scrittore siciliano, la sua solitudine
ed il suo amore per un mondo perduto, quello dell’aristocrazia siciliana di cui
faceva parte. E tra le righe, si cela anche la nostalgia della sua infanzia
vissuta nel grande palazzo della vecchia Palermo, in via Lampedusa, n. 17, “con i suoi tre cortili, le sue
quattro terrazze, il suo giardino, le sue scale immense, i suoi anditi, i suoi
corridoi, le sue scuderie, i suoi piccoli ammezzati per le persone di servizio
e per l'amministrazione, un vero e proprio regno per un ragazzo solo, un regno
vuoto o talvolta popolato da figure tutte affettuose”, come ebbe a scrivere nei suoi
“Ricordi d’infanzia”.
Ad
aumentare la fama di questo libro, come se da solo non bastasse, ci pensò
Luchino Visconti, negli anni sessanta, con la sua memorabile trasposizione
cinematografica e un cast fantastico di artisti: basti pensare a Burt
Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale, tanto per fare solo tre nomi. Ho
rivisto il film mandato in onda recentemente dalla RAI, per ricordare la
scomparsa di Alain Delon. Non potevo non rileggere il romanzo – e per la terza
volta…e non sarà l’ultima – che io considero tra i più grandi capolavori della
nostra letteratura.
Lo
confesso: ogni volta – che io veda il film o legga il libro - resto affascinato
dal suo decadente protagonista, quel Fabrizio Corbera, Principe di Salina,
uscito dalla penna del grande scrittore siciliano, a cui Visconti ha dato il
volto di Burt Lancaster “il più
incredibile perfetto vecchio siciliano mai interpretato da un non siciliano”,
come ha scritto Enzo Rasi in un suo recente bellissimo post. Un personaggio che “stava a
contemplare la rovina del proprio ceto e del proprio patrimonio – si legge
nel libro - senza avere nessuna attività ed ancora minor voglia di porvi riparo”. Un uomo colto, con una propensione alla scienza e all’astronomia, dal
fisico possente e dal temperamento autoritario, particolari, questi, che “nell’habitat
molliccio della società palermitana si erano mutati in prepotenza capricciosa,
perpetui scrupoli morali e disprezzo per i suoi parenti e amici che gli
sembrava andassero alla deriva nel lento fiume pragmatistico siciliano”.
Dei
suoi sette figli avuti da una donna bigotta e isterica, la principessa Maria
Stella – interpretata nel film da una straordinaria Rina Morelli – Don Fabrizio
amava in maniera particolare Concetta: “di lei gli piaceva la perpetua
sottomissione, la placidità con la quale si piegava ad ogni esosa
manifestazione della volontà paterna”. Ma amava ancor di più quel
“ragazzaccio” di Tancredi, suo nipote e pupillo, dal temperamento frivolo, che considerava
il suo vero figlio primogenito, anche se remava contro la nobiltà dominante: diceva
che “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. E, nel
film di Visconti, nessun altro attore avrebbe potuto interpretare questo
personaggio meglio di Alain Delon. E come si può non apprezzare
l’interpretazione di un altro grande attore: Paolo Stoppa, il Don Calogero
Sedàra, Sindaco di Donnafugata, uomo ricco e influente, sicuro di essere
inviato deputato a Torino in occasione delle elezioni. “Egli procedeva nella foresta della vita con la sicurezza di un
elefante che, svellendo alberi e calpestando tane avanza in linea retta non
avvertendo neppure i graffi delle spine e i guaiti dei sopraffatti”. E poi
c’è lei, sua figlia, la bellissima Angelica che poneva in ombra la grazia
contegnosa di Concetta, una sua rivale nel conquistare il bel Tancredi. Mi
viene da pensare che dove non arrivano le parole (non è cosa semplice, per
nessuno, descrivere la bellezza), subentrano le immagini del film di Visconti
che ci permettono di ammirare una splendida Claudia Cardinale nei panni di
Angelica. E’ l’esempio in cui le immagini parlano più delle parole; è pur vero,
però, che a volte la potenza della scrittura va oltre l’immagine, che da sola
non sempre basta a raccontare ciò che viene mostrato. Allora, ecco che interviene lo
scrittore per dirci che “accanto al fabbricato un pozzo profondo,
vigilato da quei tali eucaliptus, offriva muto i vari servizi dei quali era
capace: sapeva far da piscina, da abbeveratoio, da carcere, da cimitero.
Dissetava, propagava il tifo, custodiva cristiani sequestrati, occultava
carogne di bestie e di uomini sinché si riducessero a levigati scheletri
anonimi”. Se non leggessimo il libro, nel film vedremmo solo un pozzo con
dell’acqua. Bisogna leggere prima il libro per guardare meglio il film.
L’armonia della scrittura di Tomasi di
Lampedusa, il suo stile ricercato, le magnifiche descrizioni dello stato
d’animo dei suoi personaggi nonché dei luoghi in cui gli stessi si muovono, unitamente
alle immagini del film di Visconti ed alla straordinaria interpretazione degli
attori, generano sensazioni e atmosfere indimenticabili, che mi si affollano ogni
volta nella mente. Due capolavori che si completano vicendevolmente in una sintonia
perfetta. Sembra quasi che l’autore del libro e il regista del film si siano
incontrati, da qualche parte, per creare insieme due capolavori che si fondono
in uno solo.