Vermeer - Donna che scrive |
Mi sono sempre chiesto se nel
panorama della nostra letteratura esista una “scrittura al femminile”. Qualcuno
potrebbe dire, giustamente, che se accettiamo tale definizione, dovremmo
ammettere che non può non trovare una sua ragione di esistere anche il suo
contrario e cioè una “scrittura al maschile”. Ma non mi risulta che
quest’ultima venga accettata dalla critica letteraria o quantomeno utilizzata
da chi si occupa di letteratura. Se è così, bisogna convenire che il problema
non si pone e che esistono solo libri (belli o brutti) scritti da donne e libri
(belli o brutti) scritti da uomini. Tuttavia non possiamo negare che le donne –
almeno nel passato – hanno incontrato maggiori difficoltà ad esprimere il
proprio pensiero attraverso un libro.
Se oggi, tra le donne
scrittrici, ce n’è una che va per la maggiore e gode di stima e prestigio, ebbene questa donna è sicuramente Elena Ferrante. Il bello è che nessuno sa
chi sia realmente. Si fanno diverse ipotesi sulla sua identità e qualcuno è
arrivato a dire che dietro quel nome si possa nascondere addirittura un uomo. In
ogni caso, devo dire che questa trovata pubblicitaria si è rivelata vincente, dal
momento che i libri di Elena Ferrante sono sempre ai primi posti nella
classifica delle vendite; e poi, da quando è stato mandato in onda lo
sceneggiato televisivo tratto dal suo romanzo “L’amica geniale”, la scrittrice fantasma ha raggiunto l’apice
della notorietà. Premetto una cosa: io non sono in grado di giudicare la sua
scrittura perché, almeno fino ad oggi, non ho ancora letto alcun libro di
questa autrice. E devo dire che la Ferrante non è nemmeno presente tra i libri
della mia libreria che attendono fiduciosi di essere letti. Forse la leggerò in
futuro, quando i suoi romanzi saranno un po’ invecchiati e ingialliti e nessuno
più ne parlerà. E probabilmente, allora, potrò apprezzarli perché non esiste
piacere più grande che leggere un bel libro dimenticato da tutti, fuori dal
contesto storico, lontano dai clamori del momento mediatico e dagli schiamazzi
della folla. Oggi Elena Ferrante è la scrittrice del momento: è la più
ricercata, nelle vetrine delle librerie sono in bella vista solo i suoi libri. Non
fa per me! Leggere contemporaneamente lo stesso libro mi appare come una sorta
di imposizione dettata dalla pubblicità. E io sono allergico sia alla
pubblicità che alla moda. Non mi lascio irretire né dall’una né dall’altra. Per
nostra fortuna Elena Ferrante non ha ancora un corpo visibile, altrimenti sarebbe
chiamata a pontificare, di tutto e di più, anche nei vari programmi televisivi.
Ora io non
vorrei apparire come uno che non legge i libri delle donne. Li leggo,
eccome! Però ho le “mie” donne
scrittrici e mi piace ricordarle di seguito, almeno quelle più significative
che hanno comunque lasciato una traccia indelebile nella nostra letteratura. Ed
anche nel mio animo. In primis, Elsa
Morante: indimenticabili i suoi romanzi che io ho letto con grande piacere:
L’isola di Arturo – La storia – Aracoeli
– Menzogna e sortilegio. E poi Sibilla Aleramo con la sua opera più rilevante
“Una donna”, uno dei primi libri
femministi apparsi in Italia. Potrei
mai dimenticare Grazia Deledda, finora
l’unica scrittrice italiana ad aver vinto - nel 1926 - il premio Nobel per la
letteratura? Icona della nostra identità culturale nel mondo, sebbene abbia
trattato sempre tematiche legare alla sua terra d’origine, l’autrice sarda
appare emarginata nel panorama culturale dei nostri tempi. “Canne al vento” è il suo romanzo più
noto. Tra le mie preferenze c’è poi Anna
Banti, pseudonimo di Lucia Lopresti, una scrittrice toscana di origine
calabrese. Con “Noi credevamo” - da
cui peraltro il regista Mario Martone ha tratto un suo film - rivive le
aspirazioni ed i ricordi del nonno (Don Domenico Lopresti) un fervente
repubblicano mazziniano, il quale si era illuso che l’unificazione d’Italia potesse
finalmente cambiare in meglio le sorti della sua Calabria, nonché le condizioni
di vita di tutto il Meridione. Un romanzo molto bello. Sono libri suoi anche “Artemisia” e “Un grido lacerante”, letti con interesse in questi ultimi tempi. E
poi, come dimenticare Anna Maria Ortese!
Subì in vita un forte ostruzionismo per
le sue idee, non sempre in
linea con il mondo intellettuale dell’Italia degli anni
’50 dello scorso secolo. Morì in solitudine e povertà, con il vitalizio della
legge Bacchelli che, come sappiamo, aiuta economicamente ancora oggi (almeno
così credo) gli artisti in difficoltà. “Il
mare non bagna Napoli” è il suo
libro a cui sono più legato. Mi piace poi ricordare Fausta Cialente, una scrittrice triestina, con il suo romanzo
autobiografico “Le
quattro ragazze Wieselberger”, pubblicato nel 1976.
Quell’anno, il sottoscritto si trovava per motivi di lavoro a Trieste, la città
in cui è ambientato e ricordo che si faceva un gran parlare di questa sua
opera, anche in considerazione del fatto che si aggiudicò il Premio Strega.
Allora non mi lasciai conquistare dal successo del libro, tant’è che l’ho comprato
(su una bancarella dell’usato) solo di recente. L’ho letto: un libro di
struggente e poetica bellezza, come solo certe donne, a volte, sanno scrivere. Un
posto di rilievo nella mia libreria merita un libro universale che l’Unesco ha
inserito nell’elenco delle memorie del mondo, scritto da una
ragazzina di 13 anni. Si tratta de “il diario
di Anna Frank” : non ha bisogno di presentazioni, è una delle più toccanti
testimonianze delle persecuzioni attuate dai nazisti nei confronti degli Ebrei.
L’ho letto e riletto e continuerò a farlo. Ora vorrei spendere due parole per
una delle maggiori scrittrici del Novecento, Virginia Woolf. Un suo libro, “Gita
al faro”, credo di averlo letto in un momento sbagliato perché non è
riuscito a coinvolgermi emotivamente, nonostante sia considerato, in modo
unanime, un capolavoro della letteratura. Mi sono ripromesso di non abbandonare
la scrittrice inglese, a seguito di questa mia prima “sconfitta” nei suoi
confronti, e di riprovarci con qualche altro suo libro. Vorrei terminare queste
mie brevi divagazioni sulla “scrittura al femminile”, con una scrittrice
francese legata alle mie letture giovanili: Francoise Sagan, simbolo della ragazza libera e spregiudicata in
cui si identificavano i giovani del suo tempo. Aveva appena 19 anni quando
scrisse “Bonjour Tristesse”, un romanzo che divenne ben presto un caso letterario e che fu
messo all’indice addirittura dal Vaticano. Ricordo che lo lessi con voracità: fu
il mio primo libro scritto da una donna.