Il convento di San Francesco nel Cilento |
Il monastero ha sempre
esercitato su di me un fascino arcano. E’ un’immagine che perdura da sempre
nella mia mente come un richiamo misterioso e irresistibile, fin dalla mia infanzia.
Ancora vive nei miei ricordi infantili la figura di un monaco, dall’aspetto
mite e gentile, che andava bussando di porta in porta nel mio paese del
Cilento, chiedendo l’elemosina. Era una sorta di Fra Galdino, il personaggio
dei Promessi Sposi che raccoglieva noci per il suo convento di Pescarenico. Questo
frate apparteneva a una piccola comunità di francescani e devo dire che
allora, ogni qualvolta sentivo la sua voce inconfondibile, uscivo in strada perché
volevo seguirlo fino al convento di San Francesco, che si trovava in una
località vicina. Ma non perché desiderassi
fare il monaco. No, non credo di avere mai avuto questa aspirazione. Ero soltanto attratto dal monastero, da
quell’edificio austero e imponente che mi suscitava curiosità e mi faceva
immaginare chissà quale mondo fantastico e imperscrutabile potesse racchiudersi
tra quelle spesse mura. E se questo
luogo monastico, allora, faceva galoppare la mia ingenua fantasia, confesso che
ancora oggi, sebbene in maniera diversa, continua ad abitarmi – se così si può
dire – quale metafora di una filosofia di vita più semplice, in antitesi all’attuale
quotidiana condizione umana caratterizzata dallo stress, dalla fretta, dai
rumori e da una perenne connessione virtuale con un indefinibile “altrove”. Il
monastero: il luogo del silenzio, dello spirito, della solitudine. Una
solitudine – va precisato – cercata e non imposta. Solitudine che ognuno di noi
dovrebbe assaggiare ogni tanto, così tanto per staccare dal frastuono della
modernità. Non potrebbe che farci del bene.
“…La
solitudine è, prima di tutto, un grande desiderio…Lo si capisce se si sta
dentro una metropoli e si riesce ad immaginare ancora un luogo dove
insonorizzare il mondo. Non si entra nel nulla, ma si scopre ciò che la città e
il baccano nascondevano”. Lo scrive Vittorino Andreoli in un suo
libro che ho appena finito di leggere “Beata
solitudine” con sottotitolo “il
potere del silenzio”. Il grande psichiatra veronese appare spaventato da
quello che vede girando per la sua città, dove domina l’indifferenza, e dove
lui si sente “sconosciuto tra
sconosciuti” . E guardandosi in giro, vede che “ciascuno è concentrato su quell’oggetto piatto che tutti portiamo in
tasca e che mostra di contenere mondi ancora più popolati di spettri, di
virtualità, della nuova realtà e di immagini che sono più concrete di quelle
fatte di ossa e di carne”… E mai come
in questo momento - scrive Andreoli -“ho
voglia di solitudine”.
Vittorino Andreoli ci invita a
cercare una più profonda e umana dimensione alla nostra esistenza per dare
ascolto e spazio “a quel monaco che si
nasconde nel profondo di ciascuno di noi”. E partendo da questo presupposto,
ci propone un’accurata analisi sul monachesimo e le sue regole, a partire da
quello orientale per soffermarsi più diffusamente su quello occidentale/cristiano,
che nasce con San Benedetto da Norcia. L’autore dice di avere girato il mondo, ma di non avere mai trovato la serenità e quel
distacco dal quotidiano e dal tempo che scappa inesorabilmente. E allora – dopo
averci parlato del monastero dei credenti - immagina di indossare la tonaca e
di poter avere le chiavi di un antico monastero posto su una montagna, un “monastero dei non credenti” (che non
c’è, ma che è dentro di lui da molto tempo), con l’intento di fuggire dal mondo
e ritornarvi dopo aver cercato e incontrato il suo Dio. Un monastero che nasce
per il bisogno di abbandonare – per poco tempo o a lungo – l’affaticamento del
vivere quotidiano e fare esperienza isolata in una cella, o comune, nel cenobio
con chi vive in quel momento la stessa condizione umana ed esistenziale. Un
luogo di preghiera, “il luogo dell’essere
non quello del sembrare”, uno spazio che “non ha autorità, che non richiede obbedienza” con poche celle, con
la piena libertà di poter entrare e uscire, in cui possano entrare uomini e
donne, dove poter pregare in solitudine. Osservando il mondo “così rumoroso, inquieto e così folle –
conclude l’autore del libro - mi viene
voglia di silenzio e di guardare ai monaci che sono scappati dal mondo, per
capire il mondo”. Un libro che - a prescindere dall’excursus storico sul
monachesimo, che rappresenta la parte più rilevante della narrazione - ci
invita alla riflessione per ritrovare armonia ed equilibrio, condizioni dell’animo umano, queste, che sembrano sparite dal nostro vivere quotidiano, soffocate dai tempi convulsi
della modernità.
Un bel post, che condivido. Il mondo, comunque, va da un'altra parte e su questa strada non ci sono Monasteri ma Social Web "popolati di spettri"
RispondiEliminaPiero
Grazie Piero. Evidentemente i Social Web sono i moderni "monasteri" dove ci si incontra in incognito e si dà libero sfogo alle più diverse forme di violenza verbale. Io sono un tipo all'antica: a questi strumenti digitali preferisco i monasteri tradizionali, quelli che danno spazio al silenzio, alla preghiera, alla meditazione.
EliminaÈ molto profondo ed interessante il modo in cui tu posti.
RispondiEliminaHo scritto talmente tante volte in rete a persone come te ,sentendone il bisogno di far fluire in parole le sensazioni che provavo...tipo; ma io sento di conoscerti!Sento e capisco perfettamente quel che scrivi,mi sento come se fossi a casa!
Cos'è questa forma di connessione che mi lega a questo posto ,come ad altri?
Ha un senso scientifico ,spirituale,ideologico,tutto ciò?
Beh ,una cosa è certa ,qualunque sia il senso, di certo dietro... ci sta uno ancora più grande che movimenta tutto ed è quel sentirsi felici a lungo termine!
Ovvio parlo della forza dell'amore,quella vocina interiore che si veste da monaco e abita il monastero dove rincorrere la propria essenza,abbandonando la malinconia della parodia quotidiana e ritrovare la compagnia dell'anima mia ; la "solitudine"!
Sto leggendo alcuni post meno recenti del tuo blog,uno mi è così tanto piaciuto... Ho sorriso davvero con il post " segnali di vecchiaia"...
Grazie per l'invito alla lettura e buona serata
L.
Ti ringrazio per le belle e gentili parole che usi nel commentare i miei post. Ti chiedi da cosa possa nascere questa "connessione" che in qualche maniera ti lega a questo posto fatto di parole, così come ad altri. E' semplice e l'hai scritto tu stessa: è "quel sentirsi felici a lungo termine" che scaturisce da una frase, da un pensiero che ti trovano d'accordo e che avresti potuto scrivere bene anche tu. E' "quella vocina interiore che si veste da monaco" (almeno per quanto riguarda questo post) e ti dona una gioiosa compagnia, come solo un amico/amica sa darti.
EliminaBuona serata anche a te, L.
Ho sempre immaginato di poter trascorrere qualche tempo in un monastero, un'oasi temporanea, isola dove staccare, riprendersi le idee, il tempo, raccogliere il fiato, distendere i muscoli e i nervi. Che accade un po' anche sul blog, in maniera e tempi meno dilatati. A me piacerebbe davvero isolarmi in solitudine, seppur a tempo, e l'occasione del monastero non è per nulla peregrina; ci sono conventi che ospitano proprio a tal uopo, offrono distacco e spunto di meditazione.. chissà.. prima o poi...
RispondiEliminaCaro Franco, tu hai immaginato "di poter trascorrere qualche tempo in un monastero" per staccare dallo stress quotidiano? Ebbene, sappi che almeno con l'immaginazione, io sono andato oltre. Vivendo in una città incasinata come Roma (per quanto possa essere bella...) - e tu ne sai qualcosa perchè sei più romano di me - ci sono momenti in cui scapperei in un eremo sperduto su qualche montagna, con una capretta, due galline e un cane...e tanti libri. Posso darti un consiglio? Qualora decidessi di isolarti in solitudine per un certo periodo, c'è il Monastero di Bose, dalle parti di Biella, fondato da Enzo Bianchi che offre ospitalità in cambio di un libero contributo per le spese. Fammi sapere...potrei anche raggiungerti :-)
EliminaVivere a Roma e nel suo caos spinge spesso a certe riflessioni...apposta d'estate cerchiamo isolette e spiagge deserte...proprio per ritrovare una parte di noi stessi che un anno di frenesia urbana riduce a ben poca cosa... adoro Enzo Bianchi tra l'altro..potrebbe essere un'idea... ;)
EliminaE' vero: vivendo nel trambusto tutti i giorni, si ha poi voglia di silenzio e di solitudine. Anche a me piace Enzo Bianchi, lo ascolterei per ore. Una visita nel suo monastero sarebbe una bella esperienza di vita...buona giornata...e tuffiamoci nel caos, perchè oggi a Roma piove e quando piove la capitale è una meraviglia :-)
RispondiEliminaLa solitudine di cui parla Andreoli è quella che porta ad una riflessione interiore con noi stessi, l'altra è solo vuoto isolamento di soggetti imprigionati dentro uno schermo.
RispondiEliminaProprio così, Daniele, è quella ricerca di silenzio che ci permette di ritrovarci. Buona giornata
RispondiEliminasto leggendo in questi giorni un libricino di meditazioni buddhiste (della poetessa Chandra Livia Candiani) e mi stupisce quanta somiglianza vi sia nei confronti del silenzio tra le sue parole, le tue a proposito del monastero francescano della tua infanzia, e quelle di Andreoli riguardo al "monastero degli atei".
RispondiEliminacome fosse il silenzio una religione che va al di là delle differenti fedi.
massimolegnani
Mi piace questo tuo modo di accostare il silenzio ad una religione che va oltre le stesse differenti credenze religiose. Mi viene da pensare che non è così per la solitudine, che può essere declinata in tanti modi diversi e in ciascuno di noi acquista un proprio e differente significato. Grazie Carlo e buona serata con le tue meditazioni buddiste. :-)
RispondiElimina