“Tu sei stato l’ultimo erede di
una tradizione che ha creduto, come fine supremo dell’uomo, nell’arte. Hai
esplorato con estremo coraggio il Continente Uomo, nei suoi vizi e nei suoi
ideali. Hai estratto dal mondo fisico dei segni che nessun altro era riuscito a
decifrare. Hai scoperto giardini nelle tazze da tè. Il campanile di una chiesa,
una siepe di biancospino, i ciottoli disuguali del cortile di una casa, l’odor
di muffa di un gabinetto, il rumore di un cucchiaio contro un piatto o lo
scorrere dell’acqua nei tubi, e tante piccole cose per altri insignificanti
hanno trovato in te lo storico e il poeta: e così i tristi effetti della
patologia, della nevrosi, i tic, le nevralgie, i nostri peccati futili e gravi.
Ti sei murato prigioniero in un faro, come Baudelaire, mescolando nell’ampia
coppa del tuo sistema sostanze disparatissime: positivismo e bergsonismo,
misticismo e intelletto, estasi e analisi, critica e immaginazione, platonismo
e conoscenza. Parlando di tutto, di pittura, di teatro, di architettura, di
musica, di poesia, inseguivi la specifica e volatile essenza delle cose, per la
riconquista di un paradiso di essenze. Modernissimo fino allo spasimo, hai
adorato perdutamente il sapore, il colore di cose vecchie e svanite della
Francia “seigneuriale” e borghese, nel mistero religioso delle cattedrali,
nella maestà della pietra.
Più di noi che in esse viviamo
hai amato le nostre città, anche quelle che non conoscevi o che conoscevi
soltanto attraverso mediocri riproduzioni o il suono vivo del loro nome: Parma,
Firenze. Hai riversato nelle tue pagine le ansie ingenue del bambino e le
insensate manie aristocratiche e, nella circolarità della tua esperienza, con
quale tenerezza crudele osservavi la metamorfosi dello splendido volto umano
nella immonda maschera goyesca, nelle decrepite ombre che in un istante
d’allucinazione credono di essere libere, così come le belve, chiuse nelle
gabbie del Jardin del Plantes, sognano di trovarsi nei deserti dell’Africa.
Nella tua infinita prolissità ci hai costretto a soffrire, ad amare, ad
annoiarci, ci hai regalato tristezza ed entusiasmo, fiducia e sconforto,
guidandoci nella tua folta selva per poi disperderci, umiliarci. Hai scritto
un’altra Commedia, o un nuovo Roman de la Rose. Ed ora che sulla
tua opera si è depositata, come nelle antiche pitture, l’unità trasparente che
chiamasti <<le vernis des maitres>>, e la patina è il velo che solo
il tempo sa dare alle immagini dell’arte, anche ora avvertiamo di non poterti
situare nella tranquilla luce diffusa, un po' fredda, che impongono le
cosiddette operazioni critiche della storia. Da tutto quel che si è scritto,
che è come una cattedrale piena di irte guglie su un’altra immensa cattedrale,
ci basta ricavare la consolante certezza, che hai cambiato il vecchio mondo
senza distruggerlo”.
Giovanni Macchia – “L’angelo
della notte”
"Nella tua infinita prolissità ci hai costretto a soffrire, ad amare, ad annoiarci, ci hai regalato tristezza ed entusiasmo, fiducia e sconforto, guidandoci nella tua folta selva per poi disperderci, umiliarci". Descrizione perfetta di quello ha saputo fare Proust, come nessun altro.
RispondiEliminaFra.
Si, leggendolo ti disorienta per la sua "prolissità", ma se impari a conoscerlo, se hai la pazienza di scorrere lentamente quelle pagine infinite e soffermarti su quelle sue frasi lunghissime, puoi trovare ciò che cercavi e che nessun altro scrittore ha saputo esprimere meglio di lui.
EliminaPraticamente un bellissimo ed interessante saggio di Giovanni Macchia su Proust.
RispondiEliminaCondividendone è chiaro il quanto si avvicina alle tue stesse percezioni e a quelle di chi è riuscito ad entrare nel vivo dei suoi scritti.
"Tu sei stato l’ultimo erede di una tradizione che ha creduto, come fine supremo dell’uomo, nell’arte. Hai esplorato con estremo coraggio il Continente Uomo, nei suoi vizi e nei suoi ideali. Hai estratto dal mondo fisico dei segni che nessun altro era riuscito a decifrare. Hai scoperto giardini nelle tazze da tè. Il campanile di una chiesa, una siepe di biancospino, i ciottoli disuguali del cortile di una casa, l’odor di muffa di un gabinetto, il rumore di un cucchiaio contro un piatto o lo scorrere dell’acqua nei tubi, e tante piccole cose per altri insignificanti hanno trovato in te lo storico e il poeta: e così i tristi effetti della patologia, della nevrosi, i tic, le nevralgie, i nostri peccati futili e gravi"
Come si fa a non apprezzare tanta bellezza spirituale attraverso la stessa essenza tra codifica e decodifica.Grazie!
L.
Si, un saggio molto interessante. E questa lettera si trova alla fine del libro, una sorta di ringraziamento da parte di Giovanni Macchia al grande scrittore francese. Grazie a te, L.
EliminaUn saluto
Questo libro è nella mia wishlist da mesi, insieme a Monsieur Proust di Celeste Albaret e ai 75 fogli di Proust ritrovati e editati da poco. Ho letto La colomba pugnalata di Citati, Il vento attraversa le nostre anime di Lorenza Foschini e seguito il podcast "Chez Proust", che ti consiglio, se non lo conosci. Ho all'attivo anche la lettura di Jean Santeuil di un Proust agli albori e la rilettura in corso della Recherche.
RispondiEliminaE niente, team Proust tutta la vita! :)
Ti ringrazio per i suggerimenti. E' da tempo che volevo leggere "La colomba pugnalata" di Citati: credo che sia arrivato il momento. Sono libri, questi su Proust, che rendono più agevole la lettura de "la Recherche". Ne approfitto per consigliarti un piccolo saggio scritto da Proust che si intitola "il piacere della lettura", pubblicato da Feltrinelli con la prefazione di Emanuele Trevi. Sono pagine molto interessanti dedicate all'attività del leggere che - come scrive lo scrittore francese - è una forma di amicizia sincera. Ciao Marina...e buona lettura!
EliminaGrazie. Segnato ;)
EliminaPrego.
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