“L’estro quotidiano” di Raffaele La Capria (pubblicato nel 2005) è un libro bello ed intenso,
scritto sulle ali di ricordi malinconici, con cui lo scrittore partenopeo -
dall’alto dei suoi 97 anni - racconta sprazzi della sua vita del passato e del
presente “non come la si è vissuta, ma credendo di averla vissuta come
la si racconta”. Forte della sua esperienza umana e letteraria, La Capria a
volte è convinto di essere una sorta di fantasma del passato, un sopravvissuto,
e con malcelata nostalgia, con leggerezza ed ironia, ricorda i suoi anni che
non ci sono più, gli amici morti che lo hanno lasciato negli ultimi tempi, quei
suoi coetanei nei cui confronti sente una fratellanza che prima non avvertiva.
Aleggia nel
racconto un suo pensiero ricorrente, che è quello della morte, della sua morte,
che ha un legame molto forte con il suo senso estetico “...il mio senso
della morte ha molto a che fare col rapporto che ho col mio corpo. Più lo vedo
decadere, incresparsi, gonfiarsi, più sento di morire...”. Eppure riesce ad
essere - con la sua scrittura incredibilmente acuta ed elegante - sempre
amabile e leggero anche quando la sua mente è rivolta verso questa dimensione finale della vita, che si affaccia
alla nostra riflessione proprio in quella decade in cui le possibilità di
morire sono molto alte, e cioè tra gli ottanta e i novant’anni “...per
esorcismo e con poca vera convinzione di dover morire”, dice l’autore.
“L’estro
quotidiano” è un diario molto intimistico in cui i genitori dell’autore sono
spesso presenti, con aneddoti a volte curiosi e divertenti, così come sono
presenti tra le sue pagine i suoi amici più stretti e più cari, i suoi figli,
sua moglie, i suoi ricordi più belli, perché, dice lo scrittore “...salvando
un po’ della loro vita salvo un po’ anche la mia, perché le nostre vite si
intrecciano, e la vita di ognuno non è solo quella personale, intima, che si
gioca tra sé e sé, ma è anche quella di tutte le persone che abbiamo avuto
intorno e l’hanno arricchita con la loro presenza..”.
E non poteva
mancare tra le sue pagine il ricordo di Capri, meta delle sue passate vacanze,
delle sue riflessioni, un’isola - quella attuale - affollata da orde di
turisti, molto diversa dall’immagine presente nei suoi ricordi giovanili,
quando stare seduti in “Piazzetta” aveva un valore e un significato. Oggi
invece, scrive l’autore, con quel continuo viavai che scorre a fianco della tua
sedia “mi sottraggo alla tirannia delle facce intorno, da cui emana un
vuoto che mi spaventa”. Così come oggi è spaventato da quella “nuvola
di chiacchiere” che arriva da ogni parte, dalla televisione, dai
giornali, dal mondo della comunicazione ipertrofica di massa, che sta
trasformando le idee in gossip e la situazione non può che peggiorare, col
peggiorare della coscienza disturbata degli italiani, perché quando si degrada
il linguaggio “...anche noi ci degradiamo, anche la vita morale e
spirituale si abbassa di livello”.
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