Si può guardare la vita da un osservatorio improbabile,
cioè dalla sua fine? La si può osservare da morti? Franco Arminio – poeta e scrittore
tra i più interessanti e originali del nostro firmamento letterario – riesce a
farlo a modo suo, consegnandoci 151 “cartoline”
da un aldilà , da un altrove che, tutto
sommato, non sembra destare inquietudini, grazie soprattutto al suo tono ironico,
disincantato e disorientante.
“Cartoline dai morti
2007 – 2017”
- questo il titolo del libro – è il resoconto degli ultimi istanti di vita
raccontati, in forma concisa ed essenziale, non già da chi resta e vede, ma da chi se n’è
andato per sempre. Ognuno di questi personaggi passati a miglior vita vive il proprio
trapasso senza troppi affanni, riflette con poche parole sulla caducità della
vita, a volte governata da un avverso o grottesco destino: “Il giorno dell’apertura della caccia qualcuno mi ha scambiato per una
quaglia”, scrive uno; e un altro ancora: “Tutto per colpa di una vacca che di notte stava in mezzo
all’autostrada”. E c’è chi, nonostante tutto, non si rassegna alla brutta
fine che il destino gli ha riservato: “Sono sempre stato un tipo tranquillo.
Non meritavo di finire sotto un camion.”
Ogni cartolina è un flash di immagini e di sensazioni, da
cui emergono vizi e virtù di ciascuno, ma anche recriminazioni, delusioni,
rassegnazioni, inganni nei confronti della vita e di chi è rimasto:
“Io passeggiavo,
mangiavo poco, cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente”;
“All’inizio chi ci ama
vorrebbe riaverci, poi si abitua al fatto che siamo morti, poi per tutti stiamo
bene dove stiamo”;
“Sono sempre stato un
ottimista. E mi va bene anche così”
“Sono sempre stato un
tipo sfortunato. Il giorno del mio funerale si parlava del funerale della
figlia del farmacista, morta il giorno prima”;
“Mi dispiace per te, ho
detto a mia moglie che mi stringeva le mani. Nessuno quando stiamo bene ci
stringe le mani in questo modo, nessuno".
C’è qualcuno - tra gli estensori di queste cartoline - che
ricorda, con amarezza, il suo ultimo estremo desiderio da vivo, quel suo agognato
miraggio di morire di notte, magari nel sonno, e comunque in una giornata senza
sole; e invece: “Fuori era una bella
giornata. Non volevo morire con tutto quel sole fuori. Ho sempre pensato di
morire di notte, nell’ora in cui abbaiano i cani. E invece sono morto a
mezzogiorno, mentre alla televisione cominciava un programma di cucina”. E
c’è chi, a sua insaputa, si porta dietro il superfluo, quel superfluo così
ambito dai vivi: “Nella bara mi hanno
vestito con un abito firmato. E di nascosto nella tasca mio figlio mi ha
infilato pure il cellulare”. Susciterebbe tenerezza, quel figlio, se
il suo gesto - solo apparentemente inverosimile – non infondesse spavento.
Si, perché stiamo inculcando nella mente dei nostri figli l’idea, secondo cui
un cellulare oggi può tutto: anche resuscitare un morto.
Queste “cartoline dai morti” sono brandelli di vita vissuta
che ci parlano della provvisorietà delle cose e della fragilità della
condizione umana; sono piccole storie che racchiudono un mondo, una filosofia
di vita, raccontate con garbo e con sottile ironia. Franco Arminio ci parla della morte in maniera lieve e
spiazzante, sdrammatizza questo evento di cui tutti hanno paura, facendo riflettere,
commuovere e sorridere il lettore. Leggendo questi brevi frammenti – che in
qualche maniera ricordano gli epitaffi di Spoon River di Edgar Lee Masters -
sembra quasi che la morte arrivi per caso, è come se stesse passando e si
fermasse un momento, così senza impegno, per andare subito via. E’ una morte,
quella che ci racconta lo scrittore avellinese, che perde le sembianze della
tragedia e si scioglie in un episodio malinconico ed inevitabile, quasi banale,
l’ultimo tassello di quel puzzle che si chiama vita.
E c’è forse qualcuno, meglio di un morto, che può dare dei
consigli ai vivi? “Ora che sono morto io
vi dico: fate attenzione quando salutate un vecchio, quando salutate un
bambino, sentitevi contenti di avvitare una lampadina, di allacciarvi le
scarpe, ma più di tutto godetevi la bellezza di tornare a casa, non importa se da
un lungo viaggio o da un funerale”.
Grande Franco Arminio. Io ho letto il suo notevole "Resteranno i canti"e ho comprato ma non ancora letto un'altra sua silloge. Fai bene ad accostare questo libro a Spoon River. Dalle belle citazioni che ne hai estratto, si percepisce un'analoga forza.
RispondiEliminaFranco Arminio è un personaggio unico. "Resteranno i canti" si trova già nel mio elenco di libri da comprare. Grazie
EliminaMi piace questa tua recensione. Non conoscevo Arminio, che ora conosco grazie a te. A volte i morti fanno ridere più dei vivi
RispondiEliminaFrancesco
Grazie per la condivisione. A volte alcuni "morti" (mi riferisco a certi maestri di vita e di cultura) sono più vivi di certi "vivi" che, pur parlando a sproposito e facendo ridere, sono già morti.
EliminaNon riesco a ridere dopo questa tua recensione: da una decina di anni e via via sempre più spesso l'idea della morte mi fa una non voluta compagnia. Anche se il tono è ironico e leggero, anche se
RispondiEliminala scrittura di Arminio è di grande spessore, mi resta in bocca il sapore amaro di una giornata di sole lasciata controvoglia.
La morte, comunque la si pensi - caro Enzo - fa compagnia a tutti, in maniera strisciante e occulta: ai giovani e ai vecchi. Ed è, come giustamente dici tu, una compagnia "non voluta", di cui tutti ne farebbero a meno. Le lettere dai morti di Arminio, più che far ridere, fanno riflettere con leggerezza, senza appesantire e sconvolgere la nostra sensibilità e senza creare timori e angosce.
EliminaBeh qui hai valorizzato qualcosa e qualcuno racchiudendoli in un bel post.
RispondiEliminaF.Arminio più lo leggi e più lo senti...
L.
Grazie Linda
Eliminae buona serata
Lo legge spesso una mia amica.
RispondiEliminaIo non lo conosco per niente
Prova a leggere qualche sua poesia...potrebbe essere di tuo gradimento
RispondiEliminaformidabili queste cartoline, devo procurarmele.
RispondiEliminaio sullo stesso tema ho appena letto "e serbi un sasso il nome" di Elisabetta Cacioppo e Massimo Tafi (pentagora edizioni). Un viaggio tra tombe sconosciute e archivi polverosi per ridare voce ai morti.
massimolegnani
Si, sono fuori dal comune: parlano della morte ma raccontano la vita. Ciao Carlo
Elimina