Tra le piccole gioie della
vita, la passeggiata è senz’altro quella che meglio soddisfa il bisogno di
stare all’aria aperta e a contatto con la natura. Ma la passeggiata celebra
anche il piacere del pensare, invita al rilassamento e permette di godere del
lento scorrere del tempo. Robert L.
Stevenson - lo scrittore scozzese de “L’isola
del tesoro” e “Lo strano caso del dr. Jekyll e mr. Hyde”, era un accanito sostenitore
delle passeggiate solitarie. “Per godere
veramente di una passeggiata – egli scriveva – bisogna essere soli. In gruppo, o anche in coppia, non è più una
passeggiata; si tratta di un’altra cosa che assomiglia più ad una gita. La
passeggiata va fatta da soli, perché la sua essenza è la libertà: si deve
essere liberi di fermarsi o proseguire, di andare da una parte o dall’altra,
secondo come detta la fantasia; si deve mantenere la propria andatura, senza
dover trottare a fianco di un campione podista o camminare a passettini in
compagnia di una fanciulla”. Lo confesso: io sono un seguace di questa “teoria”.
Amo fare lunghe e piacevoli passeggiate per il centro storico di Roma. Naturalmente
da solo. E’ un rilassante bighellonare che si addice al mio spirito meditativo,
e credo che qualsiasi compagnia al mio fianco finirebbe per ostacolare quel
desiderio di dolce contemplazione, che nasce proprio quando ci si trova da soli.
Durante la passeggiata la
vicinanza di una persona - anche la più gradevole - ti costringe a parlare, ti
distoglie dalle tue osservazioni, dalle tue riflessioni, dal tuo modo di
guardare. Sei costretto ad assecondare i comportamenti dell’altro ed a seguirlo
nei suoi ragionamenti. Naturalmente ciò non vuol dire che chi ama le
passeggiate solitarie, disdegni la compagnia e che non provi piacere nel camminare
con un amico. No. Sono semplicemente due modi diversi di vivere questi momenti
di distensione: nel primo caso si desidera, esclusivamente, dare spazio alla
propria libertà ed alla propria fantasia, si vuole andare di qua e di là senza
dipendere da nessuno, mettendo al centro della propria attenzione il luogo in
cui ci si trova; nel secondo caso, invece, si cerca un rapporto affettivo per
“fare quattro chiacchiere”, a scapito del contesto che sembra non avere più
alcuna importanza. Ci si vede per un caffè (come suol dirsi). Si gode del
piacere di stare in compagnia ma si perde di vista la contemplazione,
quell’immedesimarsi nelle cose che si osservano.
Lo possiamo ben dire: quando
camminiamo da soli il nostro sguardo verso le cose che osserviamo è diverso, direi
quasi che si affina ed è più attento a cogliere i particolari che altrimenti ci
sfuggirebbero. Sono le occasioni, queste, in cui lo sguardo ha la supremazia
sulla parola, che appare inadeguata a esprimere la forza del momento e la
magnificenza del luogo in cui ci troviamo. Le nostre reazioni emotive al mondo
esterno non patiscono l’influenza, a volte decisiva, di chi ci sta vicino, perché
non dobbiamo contenere la curiosità che ci appartiene per favorire le
aspettative altrui. E poi, sapere di essere giudicati potrebbe limitare il
nostro modo di osservare e finiremmo per adattarci ai punti di vista di chi
abbiamo accanto, pur di apparire in sintonia con il suo pensiero. Insomma, un
nostro eventuale accompagnatore ci allontanerebbe dalla realtà circostante. Mentre
noi – magari proprio in tale particolare occasione - vorremmo passare tutto il
tempo, per esempio, in quella deliziosa piazzetta, per godere del suo silenzio;
gradiremmo perderci in fantasticherie di fronte alla facciata barocca di
quell’antico palazzo; vorremmo fermarci ad ammirare una bellissima fontana del Settecento
e lasciarci cullare dal gorgoglio dell’acqua; ci andrebbe di stare seduti
finché ci va su quella scalinata di travertino, a prendere il sole e ad
osservare la gente che passa; ci farebbe tanto piacere entrare in quella chiesa
per un momento di raccoglimento e di preghiera. Così, in piena libertà, senza
dover chiedere niente a nessuno e senza dover scendere a compromessi con
qualcuno.