Provo una certa insofferenza per
gli alberghi. Forse perché mi manca un pizzico di spirito nomade che penso sia necessario
per accettare un luogo spaesante come una camera di un hotel. Evidentemente sono
un animale che ha bisogno della sua cuccia e che non sa adattarsi facilmente ad
una diversa collocazione. Tuttavia, anch’io mi servo di un hotel quando vado in
vacanza, perché dormire sotto una tenda in un sacco a pelo sarebbe per me
ancora più complicato e disagevole.
Il primo impatto avviene con
la reception, il vero biglietto da
visita di ogni struttura alberghiera. E’ una sorta di “luogo non luogo”, uno
spazio di passaggio e di sosta, dove si compiono i consueti rituali del check-in e del check-out, come accade in un qualsiasi aeroporto. Il proprietario
della struttura ricettiva ti dà il benvenuto con la stessa professionale gentilezza
con cui dà l’addio al cliente in partenza; ti fornisce informazioni utili al
tuo soggiorno, ti chiede i documenti. La camera che ti viene assegnata si
distingue per la sua asettica razionalità, arredata con il solito mobilio
essenziale, in stile anonimo: un armadio, uno scrittoio, un piccolo frigorifero
con l’immancabile bottiglietta di acqua
minerale, una sedia (anche se si è in due), un letto matrimoniale, la
televisione. Si, c’è anche la televisione, che ti viene “venduta” come un
accessorio importante, fondamentale. Deve essere davvero una goduria
incomparabile guardare la televisione dopo aver pagato una stanza d’albergo. De
gustibus…
Osservi la tua “camera
comfort”: chissà quante vite ha conosciuto prima che arrivassi tu! Chissà
quante storie custodiscono quelle quattro mura! Se potessero parlare, ne
racconterebbero delle belle! Ti soffermi, con una certa apprensione, su quel
letto matrimoniale che risalta al centro della stanza, ne verifichi la
morbidezza, ma non somiglia affatto a quello che hai lasciato a casa. Ti passano
per la testa pensieri strani e inquietanti: devi dormire nello stesso letto
dove, forse, si è consumato un atroce delitto…dove probabilmente hanno amoreggiato
degli amanti diabolici…dove si è coricato qualcuno che aveva un difficile
rapporto con l’igiene personale…sposti un po’ le lenzuola, quasi alla ricerca
di qualche traccia che possa confermare le tue bizzarre supposizioni. Abbandoni
questi pensieri e ti affacci alla finestra con “vista mare” per ammirare quel
panorama per il quale hai pagato un lauto supplemento; ma con grande sorpresa
ti accorgi che la vista non è proprio quella desiderata. Entri poi nel bagno,
minuscolo, che non può contenere più di una persona alla volta. La prova che si
tratti di un bagno d’albergo ti viene data da quelle due microscopiche
saponette prive di odore e di colore che campeggiano sulla mensola. Ti guardi
allo specchio: devi evitare di fare quella faccia sconsolata; non sei forse in
vacanza? Te lo ha imposto qualcuno l’albergo? E poi devi convincerti che una
settimana passerà in fretta, visto che la tua autonomia di permanenza in luoghi
simili non va oltre i sei/sette giorni. Allora ti scrolli di dosso quella lieve
insoddisfazione, ti dai una rinfrescata con una “saponetta alla fragolina di
bosco” e scendi giù nella sala da pranzo, dove generalmente prendi posto due
volte al giorno: all’una e alle otto di sera. Pranzo e cena. Intorno a te venti/trenta
tavoli numerati, intorno ai quali siede una variegata umanità, una miscela di esistenze
(di cui anche tu fai parte), che sarebbe fonte di ispirazione per un romanziere
dell’Ottocento e che farebbe felici sia un sociologo che uno psicologo: famigliole
con bambini, persone sole, giovani coppie (forse in viaggio di nozze), fidanzati
con genitori al seguito, anziani soli o in compagnia, gruppi di amici…. Ti
guardi intorno incuriosito e puoi vagare con la fantasia accanto a quegli ospiti
che ti siedono accanto, ne scruti i volti, il comportamento, cerchi di
immaginarne la provenienza, il carattere di ciascuno, il mestiere, intuisci
amori e gelosie, ti accorgi di vite logorate dall’abitudine, percepisci gli
screzi che nascono da rapporti conflittuali tra genitori e figli, noti i gesti
affettuosi tra marito e moglie.
Ecco le due anziane signore
che ti passano accanto e ti salutano garbatamente: mostrano un’aria di svanita
bellezza, forse sono due ex professoresse, due amiche vedove, ma forse anche
due sorelle che non si sono mai sposate. Ti fanno tenerezza, arrivano sempre all’ultimo
momento, come fossero delle ospiti attese, vestite con abiti di vecchia forgia
sartoriale, che le rendono comunque eleganti, felici di essere lì. Ti
colpiscono, poi, quei due fidanzatini che, anziché tenersi per mano e guardarsi
negli occhi tra un piatto e l’altro, magari sussurrandosi dolci parole – come
avrebbero fatto solo qualche anno fa – hanno mani e occhi e attenzione solo per
i rispettivi smartphone. La tecnologia è riuscita finanche a cambiare i modi di
stare a tavola.
Ti si stringe poi il cuore
quando osservi quel vecchio signore che mangia sempre da solo. Non parla con nessuno.
Ha un’aria triste e mite. E’ sempre il primo a lasciare la sala, dopo aver
salutato i vicini. Ad un tavolo più grande noti una bella famigliola con
quattro bambini. I genitori li lasciano liberi, non li opprimono. Parlano a
bassa voce. I bambini sono educati, non piangono, non strillano, non fanno
capricci, non mettono le mani nei piatti o nei bicchieri o le dita nel naso.
Sono stranieri. C’è poi una coppia di mezza età che siede all’angolo e non
passa inosservata. Lui avrà una cinquantina di anni, lei sembra molto più
giovane ed è alquanto appariscente. Lui parla poco e guarda solo nel piatto,
lei è logorroica e si guarda in giro come se cercasse di attirare l’attenzione
su di sé. Lui mangia tutto e di più, lei assaggia solo qualcosa e fa la
schizzinosa. Sono vite che tu non conosci, che come te stanno in quell’albergo
a mezza pensione o pensione completa, che per una/due settimane partecipano al
rito delle vacanze, condividono con te i pasti, la piscina, la spiaggia nel
rispetto delle buone maniere, dettate dall’educazione e dal senso civico, e poi
spariscono per sempre dalla tua vita.
Bello e divertente questo post. Da incorniciare e appendere in una camera d'albergo.
RispondiEliminaPiero
Sorrido...grazie comunque per l'iniziativa imprenditoriale
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RispondiEliminaTu più che un hotel hai descritto una pensione, almeno mi pare. Io, dal canto mio, posso dire che ci sono anche hotel caldi e confortevoli con stanze accoglienti e personale gentile. È anche vero che io amo viaggiare quindi sono meno attanagliato dalla nostalgia di casa quando sono via. Cmq complimenti, bel post, ben scritto ed i personaggi molto ben caratterizzati.
RispondiEliminaIo - caro Daniele - più che un hotel ho descritto, in maniera ironica, e non solo, un mio stato d'animo che spesso si manifesta quando alloggio in una struttura alberghiera, qualunque essa sia. Ho grande rispetto per chi fa questo mestiere e immagino quanto sia difficile avere a che fare tutti i giorni con una clientela sempre più esigente. Non metto in dubbio che ci siano alberghi accoglienti e confortevoli, basta pagare, ma il problema non è questo. Per me sarebbe spaesante anche la Royal Penthouse Suite di Ginevra, forse l'hotel più costoso al mondo.
Eliminac'è una patina di desolazione rassegnata nel tuo sguardo che osserva gli ambienti e le persone all'interno dell'albergo che ti ospita.
RispondiEliminasembra una trasferta di lavoro più che una vacanza
massimolegnani
Ho usato, forse, uno sguardo troppo impietoso, un po’ provocatorio – seppure velato di ironia – per rappresentare la mia scarsa simpatia per gli alberghi che, fossero anche i più lussuosi, per me restano sempre dei condomini, dei luoghi dove avverto una sorta di sensazione di straniamento. Devo dire che questa mia idiosincrasia non ha, però, la forza di demolire il desiderio di vacanza e pertanto ogni estate, prima di rifugiarmi nel mio buen retiro nel Cilento (dove ho una casetta in collina che guarda verso il mare), amo trascorrere qualche giorno in una diversa località, alloggiando naturalmente in un hotel. E non ci crederai, Carlo, ma a volte mi trovo pure bene in quel “famigerato” hotel, trovato su internet dopo lunghe e laboriose ricerche… :) :)
EliminaSto cercando di lasciarti l'ennesimo commento. Sperando che sia la volta buona ,dopo i ,"salta salta" dei CAPTCHA che non supero affatto:-)
RispondiEliminaA me ha fatto sorridere questo post quando mi sono nuovamente imbattuta in chi si imbatte nello smartphone!
C'è una notevole "bellezza" nelle tue descrizioni,io le ho apprezzate molto.Mentre si osservano i luoghi e le persone ,spesso il pensiero va in quel... chi siano davvero e se e quando le rivedremo!
È un viaggio più che fuori da noi... dentro di noi!!
Buonaserata
Sorrido a quel "salta salta" del Captcha. Vedi, per non essere umiliata da quelle vere e proprie "forche caudine" ogni qual volta utilizzi l'Anonimo per commentare, dovresti creare un tuo blog o un account Google. Comunque, grazie davvero per le tue generose parole. Apprezzo molto i tuoi commenti: in primis, aggiungono sempre qualcosa al mio post. E poi, lasciamelo dire: i tuoi interventi sono davvero autentici perché non alludono a quel “do ut des” che spesso vige tra noi blogger. Ritornando al mio post, devo dire che con la tua ultima frase “E’ un viaggio più che fuori da noi…dentro di noi” hai saputo cogliere un aspetto importante della mia riflessione, perché quando osservavo e descrivevo i miei vicini di tavolo nel ristorante di quell’albergo, altro non facevo che scrutare dentro me stesso.
RispondiEliminaBuona serata a te.
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RispondiEliminaA me non dispiacciono gli alberghi. La loro impersonalità, il loro anonimato, forse la loro freddezza di non luoghi hanno finito, con il tempo, per affascinarmi. Sempre meglio comunque stare in una casa di villeggiatura!
RispondiEliminaOgnuno di noi ha i suoi punti di vista...i suoi gusti. Frequento anche io gli alberghi, ma non mi affascinano. Li utilizzò quando occorre, ma non ci potrei stare a lungo.
RispondiEliminaA me non dispiace stare in albergo e pure vedere la tv!
RispondiEliminaOgnuno è libero di fare ciò che vuole. Ciao Sara
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