venerdì 5 aprile 2019

Camera d'albergo



Provo una certa insofferenza per gli alberghi. Forse perché mi manca un pizzico di spirito nomade che penso sia necessario per accettare un luogo spaesante come una camera di un hotel. Evidentemente sono un animale che ha bisogno della sua cuccia e che non sa adattarsi facilmente ad una diversa collocazione. Tuttavia, anch’io mi servo di un hotel quando vado in vacanza, perché dormire sotto una tenda in un sacco a pelo sarebbe per me ancora più complicato e disagevole.

Il primo impatto avviene con la reception, il vero biglietto da visita di ogni struttura alberghiera. E’ una sorta di “luogo non luogo”, uno spazio di passaggio e di sosta, dove si compiono i consueti rituali del check-in e del check-out, come accade in un qualsiasi aeroporto. Il proprietario della struttura ricettiva ti dà il benvenuto con la stessa professionale gentilezza con cui dà l’addio al cliente in partenza; ti fornisce informazioni utili al tuo soggiorno, ti chiede i documenti. La camera che ti viene assegnata si distingue per la sua asettica razionalità, arredata con il solito mobilio essenziale, in stile anonimo: un armadio, uno scrittoio, un piccolo frigorifero con l’immancabile  bottiglietta di acqua minerale, una sedia (anche se si è in due), un letto matrimoniale, la televisione. Si, c’è anche la televisione, che ti viene “venduta” come un accessorio importante, fondamentale. Deve essere davvero una goduria incomparabile guardare la televisione dopo aver pagato una stanza d’albergo. De gustibus…

Osservi la tua “camera comfort”: chissà quante vite ha conosciuto prima che arrivassi tu! Chissà quante storie custodiscono quelle quattro mura! Se potessero parlare, ne racconterebbero delle belle! Ti soffermi, con una certa apprensione, su quel letto matrimoniale che risalta al centro della stanza, ne verifichi la morbidezza, ma non somiglia affatto a quello che hai lasciato a casa. Ti passano per la testa pensieri strani e inquietanti: devi dormire nello stesso letto dove, forse, si è consumato un atroce delitto…dove probabilmente hanno amoreggiato degli amanti diabolici…dove si è coricato qualcuno che aveva un difficile rapporto con l’igiene personale…sposti un po’ le lenzuola, quasi alla ricerca di qualche traccia che possa confermare le tue bizzarre supposizioni. Abbandoni questi pensieri e ti affacci alla finestra con “vista mare” per ammirare quel panorama per il quale hai pagato un lauto supplemento; ma con grande sorpresa ti accorgi che la vista non è proprio quella desiderata. Entri poi nel bagno, minuscolo, che non può contenere più di una persona alla volta. La prova che si tratti di un bagno d’albergo ti viene data da quelle due microscopiche saponette prive di odore e di colore che campeggiano sulla mensola. Ti guardi allo specchio: devi evitare di fare quella faccia sconsolata; non sei forse in vacanza? Te lo ha imposto qualcuno l’albergo? E poi devi convincerti che una settimana passerà in fretta, visto che la tua autonomia di permanenza in luoghi simili non va oltre i sei/sette giorni. Allora ti scrolli di dosso quella lieve insoddisfazione, ti dai una rinfrescata con una “saponetta alla fragolina di bosco” e scendi giù nella sala da pranzo, dove generalmente prendi posto due volte al giorno: all’una e alle otto di sera. Pranzo e cena. Intorno a te venti/trenta tavoli numerati, intorno ai quali siede una variegata umanità, una miscela di esistenze (di cui anche tu fai parte), che sarebbe fonte di ispirazione per un romanziere dell’Ottocento e che farebbe felici sia un sociologo che uno psicologo: famigliole con bambini, persone sole, giovani coppie (forse in viaggio di nozze), fidanzati con genitori al seguito, anziani soli o in compagnia, gruppi di amici…. Ti guardi intorno incuriosito e puoi vagare con la fantasia accanto a quegli ospiti che ti siedono accanto, ne scruti i volti, il comportamento, cerchi di immaginarne la provenienza, il carattere di ciascuno, il mestiere, intuisci amori e gelosie, ti accorgi di vite logorate dall’abitudine, percepisci gli screzi che nascono da rapporti conflittuali tra genitori e figli, noti i gesti affettuosi tra marito e moglie.

Ecco le due anziane signore che ti passano accanto e ti salutano garbatamente: mostrano un’aria di svanita bellezza, forse sono due ex professoresse, due amiche vedove, ma forse anche due sorelle che non si sono mai sposate. Ti fanno tenerezza, arrivano sempre all’ultimo momento, come fossero delle ospiti attese, vestite con abiti di vecchia forgia sartoriale, che le rendono comunque eleganti, felici di essere lì. Ti colpiscono, poi, quei due fidanzatini che, anziché tenersi per mano e guardarsi negli occhi tra un piatto e l’altro, magari sussurrandosi dolci parole – come avrebbero fatto solo qualche anno fa – hanno mani e occhi e attenzione solo per i rispettivi smartphone. La tecnologia è riuscita finanche a cambiare i modi di stare a tavola.

Ti si stringe poi il cuore quando osservi quel vecchio signore che mangia sempre da solo. Non parla con nessuno. Ha un’aria triste e mite. E’ sempre il primo a lasciare la sala, dopo aver salutato i vicini. Ad un tavolo più grande noti una bella famigliola con quattro bambini. I genitori li lasciano liberi, non li opprimono. Parlano a bassa voce. I bambini sono educati, non piangono, non strillano, non fanno capricci, non mettono le mani nei piatti o nei bicchieri o le dita nel naso. Sono stranieri. C’è poi una coppia di mezza età che siede all’angolo e non passa inosservata. Lui avrà una cinquantina di anni, lei sembra molto più giovane ed è alquanto appariscente. Lui parla poco e guarda solo nel piatto, lei è logorroica e si guarda in giro come se cercasse di attirare l’attenzione su di sé. Lui mangia tutto e di più, lei assaggia solo qualcosa e fa la schizzinosa. Sono vite che tu non conosci, che come te stanno in quell’albergo a mezza pensione o pensione completa, che per una/due settimane partecipano al rito delle vacanze, condividono con te i pasti, la piscina, la spiaggia nel rispetto delle buone maniere, dettate dall’educazione e dal senso civico, e poi spariscono per sempre dalla tua vita.

14 commenti:

  1. Bello e divertente questo post. Da incorniciare e appendere in una camera d'albergo.
    Piero

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    1. Sorrido...grazie comunque per l'iniziativa imprenditoriale

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  2. Tu più che un hotel hai descritto una pensione, almeno mi pare. Io, dal canto mio, posso dire che ci sono anche hotel caldi e confortevoli con stanze accoglienti e personale gentile. È anche vero che io amo viaggiare quindi sono meno attanagliato dalla nostalgia di casa quando sono via. Cmq complimenti, bel post, ben scritto ed i personaggi molto ben caratterizzati.

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    1. Io - caro Daniele - più che un hotel ho descritto, in maniera ironica, e non solo, un mio stato d'animo che spesso si manifesta quando alloggio in una struttura alberghiera, qualunque essa sia. Ho grande rispetto per chi fa questo mestiere e immagino quanto sia difficile avere a che fare tutti i giorni con una clientela sempre più esigente. Non metto in dubbio che ci siano alberghi accoglienti e confortevoli, basta pagare, ma il problema non è questo. Per me sarebbe spaesante anche la Royal Penthouse Suite di Ginevra, forse l'hotel più costoso al mondo.

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  3. c'è una patina di desolazione rassegnata nel tuo sguardo che osserva gli ambienti e le persone all'interno dell'albergo che ti ospita.
    sembra una trasferta di lavoro più che una vacanza
    massimolegnani

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    1. Ho usato, forse, uno sguardo troppo impietoso, un po’ provocatorio – seppure velato di ironia – per rappresentare la mia scarsa simpatia per gli alberghi che, fossero anche i più lussuosi, per me restano sempre dei condomini, dei luoghi dove avverto una sorta di sensazione di straniamento. Devo dire che questa mia idiosincrasia non ha, però, la forza di demolire il desiderio di vacanza e pertanto ogni estate, prima di rifugiarmi nel mio buen retiro nel Cilento (dove ho una casetta in collina che guarda verso il mare), amo trascorrere qualche giorno in una diversa località, alloggiando naturalmente in un hotel. E non ci crederai, Carlo, ma a volte mi trovo pure bene in quel “famigerato” hotel, trovato su internet dopo lunghe e laboriose ricerche… :) :)

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  4. Sto cercando di lasciarti l'ennesimo commento. Sperando che sia la volta buona ,dopo i ,"salta salta" dei CAPTCHA che non supero affatto:-)

    A me ha fatto sorridere questo post quando mi sono nuovamente imbattuta in chi si imbatte nello smartphone!

    C'è una notevole "bellezza" nelle tue descrizioni,io le ho apprezzate molto.Mentre si osservano i luoghi e le persone ,spesso il pensiero va in quel... chi siano davvero e se e quando le rivedremo!

    È un viaggio più che fuori da noi... dentro di noi!!

    Buonaserata

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  5. Sorrido a quel "salta salta" del Captcha. Vedi, per non essere umiliata da quelle vere e proprie "forche caudine" ogni qual volta utilizzi l'Anonimo per commentare, dovresti creare un tuo blog o un account Google. Comunque, grazie davvero per le tue generose parole. Apprezzo molto i tuoi commenti: in primis, aggiungono sempre qualcosa al mio post. E poi, lasciamelo dire: i tuoi interventi sono davvero autentici perché non alludono a quel “do ut des” che spesso vige tra noi blogger. Ritornando al mio post, devo dire che con la tua ultima frase “E’ un viaggio più che fuori da noi…dentro di noi” hai saputo cogliere un aspetto importante della mia riflessione, perché quando osservavo e descrivevo i miei vicini di tavolo nel ristorante di quell’albergo, altro non facevo che scrutare dentro me stesso.
    Buona serata a te.

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  7. A me non dispiacciono gli alberghi. La loro impersonalità, il loro anonimato, forse la loro freddezza di non luoghi hanno finito, con il tempo, per affascinarmi. Sempre meglio comunque stare in una casa di villeggiatura!

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  8. Ognuno di noi ha i suoi punti di vista...i suoi gusti. Frequento anche io gli alberghi, ma non mi affascinano. Li utilizzò quando occorre, ma non ci potrei stare a lungo.

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  9. A me non dispiace stare in albergo e pure vedere la tv!

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  10. Ognuno è libero di fare ciò che vuole. Ciao Sara

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