giovedì 31 luglio 2025

L'immenso edificio del ricordo

 


Ritornare nel “natio borgo selvaggio” - da cui forse non mi sono mai allontanato – è un rito irrinunciabile che ripeto ogni estate. E’ il luogo dell’infanzia e dell’adolescenza dove la “dolente bellezza” (prendo a prestito questa suggestiva espressione di Carlo Levi in “Cristo si è fermato a Eboli”) non si manifesta esplicitamente in opere d’arte, in fontane seicentesche e statue barocche, ma la si scopre in certi angoli appartati, ben nascosta ad un osservatore frettoloso, in certi panorami al tramonto, in certi scorci naturali avvolti nella calura estiva, dove il silenzio è rotto solo dal canto incessante delle cicale.

Ogni piccola cosa degna di essere osservata bisogna scovarla, in un paese, e prendersene cura affinché resista nel tempo; ogni ricordo va nutrito, coltivato, affinché si rinnovi quell’  intesa di fiducia e fedeltà alle proprie radici, quel senso di appartenenza su cui si fonda l’identità di una persona. E’ la casa in cui sei nato; è la strada in cui hai giocato a pallone; è quell’albero di gelso su cui ti sei arrampicato scorticandoti le ginocchia; sono le case abbandonate, un tempo abitate da persone del posto che tu conoscevi; è il dialetto che hai parlato come la sola lingua conosciuta; è il cimitero dove sono sepolti i tuoi cari; è quel viottolo di campagna percorso in groppa all’asino del nonno; è il rintocco delle campane a festa che chiamava a raccolta una comunità che, oggi, non esiste più. Perché quel tempo non esiste più!

Immagini e sensazioni che ritornano alla mente. Cose semplici colorite di infinite illusioni che ti appaiono, adesso, come le scene di un teatro a spettacolo finito, mentre senti il tuo cuore stretto da un’ indicibile malinconia. La malinconia degli anni che passano e delle stagioni della vita che si succedono, “del tacito infinito andar del tempo” .

E mentre te ne stai in silenzio su quel terrazzino della casa avita che osserva il mare in lontananza, riemerge - come un temporale improvviso che ti coglie alla sprovvista e ti bagna – il ricordo di ciò che sei stato. E ti domandi cosa è rimasto in te del tuo paese nativo, della vita di prima, quando non sapevi come sarebbe stato il tuo futuro e il solo immaginarlo ti faceva stare male, perché capivi che il futuro non poteva essere lì. E ti domandi ancora cosa è rimasto di quella antica civiltà contadina esiliata dalla storia e con una concezione del tempo del tutto diversa, dove i giorni, i mesi, gli anni si succedevano monotoni senza che nulla cambiasse.

A volte si è costretti a spezzare gli antichi legami e partire. Ma poi arriva il momento del ritorno. E ritornare nel luogo in cui tutto è cominciato significa compiere una sorta di cammino a ritroso e guardare la realtà che ritrovi con occhi diversi. Ma niente è più come prima. Quella zona lontana che chiami passato non è altro che uno spazio d’oblio: eppure attende il momento per risorgere. Se ne sta nascosto in qualche anfratto, magari in un insospettabile oggetto, in un delicato profumo di madeleine. Perché – come scriveva Proust - “l’odore e il sapore permangono ancora a lungo come anime  a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare – loro, goccioline quasi impalpabili – l’immenso edificio del ricordo”.

 


sabato 12 luglio 2025

L'estrema lentezza con la quale invecchiamo

 


Fare letteratura attraverso il racconto autobiografico è una scelta spesso dettata dal bisogno di scavare nei ricordi e far rivivere vicende personali in cui possa ritrovarsi anche chi legge. In tale contesto narrativo si pone Natalia Ginzburg, la cui produzione letteraria è improntata a una ricerca continua di fatti e sentimenti che fluiscono dal suo passato e da quelle realtà che rappresentano il senso più profondo della sua esistenza. Avevo avuto modo di apprezzare la sua scrittura leggendo, tempo fa, il romanzo “Lessico famigliare” con cui la scrittrice di origini triestine (era nata a Palermo) vinse il Premio Strega nel 1963. Mi sono ora imbattuto in “Mai devi domandarmi”, un libro che raccoglie articoli apparsi su “La Stampa”, una sorta di diario letterario intimo e appassionato che affronta tantissimi temi, che vanno dall’infanzia alla morte, dalla vecchiaia alla vita collettiva, dai libri ai viaggi, dalla politica al credere o non credere in Dio, dai ricordi di scuola alla poesia. Vorrei soffermarmi su quanto ha scritto sulla vecchiaia, un tema che – da un po' di tempo a questa parte - mi sta particolarmente a cuore.

“Ora noi stiamo diventando – scrive la Ginzburg – quello che non abbiamo mai desiderato di diventare, e cioè dei vecchi”. Ed è proprio così: la vecchiaia non l’abbiamo mai né desiderata, né aspettata, né cercata. Arriva, prima o poi. E quando dovevamo immaginarla, la nostra curiosità ci spingeva ad osservare solo quella degli altri, come se noi fossimo immuni da questa condizione esistenziale. Adesso invece sentiamo d’avanzare in quella direzione, “dove faremo parte di una folla grigia le cui vicende non potranno accendere né la nostra curiosità, né la nostra immaginazione... perderemo la facoltà sia di stupirci, sia di stupire gli altri”. Tuttavia, dice la Ginzburg, un motivo di meraviglia l’avremo ancora, ed è “l’estrema lentezza con la quale invecchiamo”.

Si, perché conserviamo a lungo l’abitudine di crederci ancora “giovani”, anche quando abbiamo imboccato una strada diversa. Ma a questa nostra lentezza nell’invecchiare si oppone la rapidità vertiginosa del mondo che ruota e cambia e si trasforma intorno a noi, conservando solo qualche pallida traccia del mondo che è stato il nostro. Quello che abbiamo oggi sotto gli occhi “ci sfugge e ci appare indecifrabile: e in esso non sappiamo leggere che le poche e pallide tracce di quanto è stato. Vorremmo che quelle pallide tracce non sparissero, per poter ancora riconoscere nel presente qualcosa che è stato nostro; ma sentiamo che fra poco non avremo, per esprimere questo desiderio forse molto puerile e ingenuo, né forze, né voce”.

Il fatto che questo mondo sia destinato ai nostri figli e ai nostri nipoti – dice la Ginzburg – non solo non ci aiuta a capirlo di più, ma non fa che aumentare la nostra confusione, il nostro smarrimento. D’altronde loro, i giovani, sono abituati a dirci,  fin dall’infanzia, che noi non abbiamo mai capito nulla e non sappiamo niente. E questo ci fa sentire ancora più inutili, incompetenti, inadeguati, mentre misuriamo le infinite distanze che ci separano dal presente. E pensare che quando scrisse queste parole, Natalia Ginzburg aveva solo 52 anni, era il 1968.



venerdì 4 luglio 2025

Le guerre in televisione

 


Davanti a queste guerre in video vi confesso che ho una sola immediata reazione: spegnere il televisore, non potendo fare nulla di concreto per fermarle. Non sopporto più lo "spettacolo della guerra" che ci viene offerto quotidianamente come un antipasto. E non riesco più a guardare  la guerra parallela, fatta di chiacchiere, che si combatte nei salotti televisivi tra gli opposti schieramenti, mentre vengono mandate in onda - a ripetizione - immagini di palazzi sventrati, di bambini affamati e uccisi, di donne che piangono e si disperano per i loro familiari massacrati. La cosa che più mi spaventa è la naturalezza con cui si guardano e si commentano e si accettano atrocità e stragi di innocenti, come se fosse una cosa dovuta, un costo inevitabile da pagare.

Io sono contro tutte le guerre, la cosa più aberrante in assoluto che possa fare l’uomo; e sono contro tutte le armi. Se io potessi, non distruggerei solo i missili, i carri armati, le bombe nucleari, ma anche i fucili  per la caccia.  Ripudiare le guerre e le armi significa una cosa sola: eliminarle dalle nostre coscienze prima ancora che dai nostri arsenali.  Scriveva qualche giorno fa Marcello Veneziani: “la guerra è brutta non solo per chi uccide e per cosa distrugge, ma anche per cosa uccide e distrugge dentro di noi che siamo fuori, lontani. Ci rende peggiori. Oltre i crimini contro l’umanità dovremmo contemplare anche il caso inverso, il tifo dell’umanità per i crimini, sempre con la scusa di prevenire o combattere i crimini altrui. E poi la morte vista in tv è come un film, una fiction, in fondo per te non fa differenza. A meno che un missile entri dentro casa tua…”