Non sono un viaggiatore nell’accezione
più nobile e, direi, romantica del termine. E devo dire che non sono viaggiatori,
ma solo turisti, anche quelli che oggi fanno in pochi giorni le crociere
intorno al mondo e si spostano, a velocità supersonica, da un punto all’altro
della Terra, senza alcuna fatica. Diciamocelo: viaggiare è tutt’altra cosa. Viaggiare
è un’esperienza di vita che deve modificare e far nascere in chi la vive qualcosa
di nuovo. Deve migliorare la persona, non peggiorarla. Viaggiare non è fare un
milione di foto, con lo smartphone, dei luoghi visitati in fretta e furia, per mostrarle,
poi, agli amici che sono rimasti a casa o postarle sui social.
Nel passato, capitava
spesso che uno scrittore partisse per un lungo viaggio – che poteva durare
anche degli anni – e, al suo ritorno, raccontasse in un libro ciò che aveva
visto, vissuto e provato durante il suo lungo peregrinare. E poi era vivo il Gran
Tour, quale esperienza fondamentale di formazione dei rampolli
delle antiche e aristocratiche famiglie della
ricca Europa. In entrambi i casi, gli interessati sapevano quando partivano ma
non quando tornavano. Al mondo d’oggi questi viaggiatori non esistono più:
abbondano invece i turisti mordi e fuggi. Non esistono più gli scrittori di
viaggi. Abbiamo perso così un modo valido e completo di fare letteratura che va
oltre la descrizione dei luoghi visitati e stabilisce un rapporto profondo di
conoscenza tra sé e la realtà.
Dicevo che non appartengo a questa categoria eletta di
viaggiatori e, forse, per questa ragione sono un cultore della letteratura di
viaggio. Il “Viaggio in Italia” di Goethe, “Itinerario italiano” di Corrado Alvaro,
“Un viaggio in Italia” di Guido Ceronetti, sono libri che ho amato. Ora sto viaggiando
con il “Viaggio in Italia” di Guido Piovene, un libro magnifico di circa 900
pagine, pubblicato da Bompiani. La bellezza di questo libro è che non devi
leggerlo necessariamente dalla prima all’ultima pagina, non devi seguire una
trama, ma lo puoi sfogliare anche a caso, intraprendere con l’autore un singolo viaggio
e poi lasciarlo, per riprenderlo in un tempo successivo. Guido Piovene è stato uno dei grandi scrittori del
Novecento italiano e la sua fama è legata proprio a quest’opera monumentale. Indro
Montanelli ebbe a scrivere che “un saggio sull’Italia come il suo “Viaggio
in Italia” non lo scriverà mai più nessuno”. E aveva ragione! Lo scrittore
veneto cominciò il suo viaggio dall’estremo Nord, Bolzano, nel maggio del 1953
e proseguì regione dopo regione, provincia dopo provincia, città dopo città,
fino a raggiungere Pantelleria, risalendo poi lo Stivale e fermandosi a Roma
nell’ottobre del 1956, dopo 3 anni e 5 mesi: un’impresa senza precedenti.
Voleva conoscere l’Italia, gli italiani e, soprattutto, se stesso. Scrive
Oreste Del Buono nell’introduzione: “Piovene riesce, come un antropologo, a
far emergere dal suo viaggio il carattere nazionale, quello immutabile, che resiste
alle mode e ai rovesci della storia”.
Sorrido con simpatia e comprensione quando leggo “mi sono sentito come chiamato in causa, fruitore di crociere e accumulatore di fotografie”: lungi da me una simile idea, credimi! Mentre scrivevo il post io pensavo a tutt’altri “viaggiatori” che imperversano in lungo e in largo. Sono soprattutto quelli malati di esterofilia che al ritorno dalle loro scorribande esotiche, credono di conoscere il mondo e vogliono insegnarti a viaggiare e a vivere. Nei tuoi “minuscoli reportage”, corredati da belle fotografie – che io leggo e ammiro sempre con piacere - c’è, invece, lo spirito genuino del vero viandante, anche se usufruisci di tutte le comodità che la modernità mette a disposizione. E sono sicuro - mio caro Franco - che se tu fossi vissuto in epoche passate, avresti viaggiato alla stessa maniera di un Goethe, il cui “Viaggio in Italia”, se non l’hai ancora letto, te lo consiglio. Fai giustamente riferimento a Calvino il quale - diversamente dal suo amico Pavese che era gran nemico del viaggiare – amava il viaggio, e i suoi tanti reportage e corrispondenze dall’America, dal Giappone e dall’Italia lo dimostrano. Quello che volevo sottolineare nel mio post è che oggi, purtroppo, mancano questi viaggiatori che sanno raccontare le loro esperienze di viaggio come un romanzo. Oggi abbondano le foto, ma non bastano per esprimere un’emozione, per raccontare l’anima di un luogo: serve la parola. Ecco, siamo orfani di parole di viaggio. Un saluto :)
RispondiEliminaAnch'io non amo viaggiare, cosa che sconvolge tutti ogni volta che lo dico. Però amo seguire chi lo fa con trasporto, per esempio adoro tutti quei programmi che parlano e descrivono luoghi lontani e per me irraggiungibili. Immagino che mi piacerebbe leggere libri così ben scritti da chi ha affrontato viaggi per ragioni che non siano il mero turismo. È vero, oggi impazzano fotografie di ogni dove, devo ammettere che anch'io, se viaggiassi, amerei immortalare ogni angolo. Sono appassionata di fotografie che scatto per rendere indelebile i ricordi più belli. Non me ne servirei, tuttavia, per mostrare al mondo dove sono e cosa faccio, filosofia che non mi appartiene anche per molto meno. E per dirne una: ho un figlio che studia a Parigi e io, ancora, non sono andata a trovarlo! 😄
RispondiEliminaSono pochi quelli che sanno essere felici nel luogo dove si trovano, tutti gli altri devono "andare". Pensa - cara Marina - che i miei due viaggi in territorio estero sono quelli fatti a San Marino e Città del Vaticano: ti prego di non ridere! :) Poi, quando mi va, giro un pò per l'Italia, che è talmente bella e grande e non basta una vita intera per visitarla tutta. Siccome detesto la macchina (ed essendo scomparsa la diligenza), mi sposto quasi sempre con il treno o con altri mezzi pubblici. Non faccio foto, perchè non posseggo telefonini e non saprei nemmeno usare una macchina fotografica (ma a proposito, ne esistono ancora?). Ho l'abitudine di osservare, a lungo e con lentezza, le cose e i paesaggi che incontro, e poi me li porto dentro, finchè non svaniscono. Ma queste immagini non posso mostrarle agli altri, per far vedere dove sono stato, come mi capita, a volte, con certi amici che, al ritorno dai loro viaggi all'estero, mi costringono a guardare, sullo smartphone, i loro servizi fotografici e a sorbirmi i racconti delle loro mirabolanti avventure. C'è qualcosa di stranamente noioso nella felicità altrui, diceva un filosofo di cui ora non ricordo il nome.
Eliminaio amo viaggiare, anche se non è così semplice farlo, e mi piace molto leggere i diari di viaggio, testimonianze dirette del momento, di chi lo vive quotidianamente.
RispondiEliminaGrazie Ernest
EliminaHo viaggiato spesso anche fuori dall'Italia ,ma ho consapevolizzato che si può viaggiare dentro sempre anche solo per arrivare a certe conclusioni tipo "Viaggiare non è fare un milione di foto, con lo smartphone, dei luoghi visitati in fretta e furia, per mostrarle, poi, agli amici che sono rimasti a casa o postarle sui social".Quel fastidioso turismo di massa che lo trovi davanti a confermare una sorta di declino culturale.
RispondiEliminaGrazie sempre per i tuoi saggi e preziosi scritti:)
Grazie a te, L., per l'apprezzamento.
EliminaCredo che non sia da tutti riconoscere le persone attraverso la scrittura ,deve pur essere avvenuto un processo recettivo interiore di conoscenza.Mi chiedo se la cosiddetta intelligenza artificiale possa mai davvero sostituirsi a quella umanamente empatica?Non dovrebbe nemmeno tradursi in domanda , quanto è una evidente conferma,oltre al fatto che un nome anagrafico non è il nostro solo distintivo che ci identifica.Ciò che scriviamo in bene e in male ci qualifica ,il bello è prenderne atto consapevolmente e soggettivamente.
EliminaEcco sono andata fuori contesto ,anche io devo prenderne atto :)
Buona domenica
Sorrido! Evidentemente – mia cara L. – a furia di leggerti, entrano in gioco alcuni neurotrasmettitori che mi permettono di individuare, anche solo attraverso la scrittura, chi sta dietro quell’Anonimo. Insomma, senza saperlo, sono diventato una sorta di algoritmo.
EliminaIl nome anagrafico (o il nick), nel mondo della blogosfera, conta poco e – come scrivi tu – “non è il nostro solo distintivo che ci identifica”. E’ soprattutto ciò che scriviamo e come lo scriviamo. Una persona si può riconoscere anche dal rumore dei suoi passi. E il rumore dei passi, nella Rete, è dato dalle parole. No, l’intelligenza artificiale non potrà mai sostituirsi a quella “umanamente empatica” perché non sa pensare e le manca la dimensione affettiva. E poi, come dice il filosofo Byung Chul Han, non le può venire la pelle d’oca. E non può sorridere, aggiungo io. Un caro saluto e buona domenica
È proprio vero, il turismo mordi e fuggi non rappresenta il vero senso del viaggio. Io amo moltissimo viaggiare. Per diverso tempo non ho potuto farlo (dopo un viaggio negli Usa nel '97 come luna di miele) e ora pian piano stiamo ricominciando. Il viaggio per me è una scoperta straordinaria, sento che ogni viaggio è un mattoncino dentro la mia personale costruzione. Con tutto il disagio e la fatica che comporta, perché è un vero impegno finanziario e fisico, ma come rinunciare? Due anni fa io e mio marito abbiamo visto finalmente Parigi. In 8 giorni ci siamo stancati tantissimo ma abbiamo percorso la storia di Francia e la sua magnifica capitale con l'occhio di appassionati di Storia e arte. Ancora tanto resta da vedere in quella sontuosa e straordinaria città. Quest'anno si va a Londra. :)
RispondiEliminaGrazie per il commento, Luz. E buon viaggio :)
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