Marcello Veneziani è un noto
giornalista, scrittore e filosofo, considerato tra gli intellettuali più
autorevoli della destra italiana. Non ha, però, la visibilità mediatica di un
Cacciari o di un Galimberti. Mi è capitato di ascoltarlo e, soprattutto di
leggerlo, in questi ultimi tempi, e devo dire che - anche se non sempre
condivido tutto quello che dice e che scrive – apprezzo molto il suo linguaggio,
per niente involuto. Credo che non bisogna cadere in quel pregiudizio, duro a
morire, secondo il quale solo chi ha le tue stesse idee merita importanza e
riconoscimento. D’altra parte, per giudicare un autore si deve sempre avere
l’onestà e lo spirito critico di distinguere le sue posizioni politiche dalla
sua prosa e dall’impronta che lascia nel lettore, prima ancora che nelle pagine della letteratura.
Veneziani è nato a Bisceglie in
Puglia, è una persona pacata, dallo sguardo malinconico, che ama la lentezza e
critica duramente la tirannia della tecnica. Riesce a comunicare molto bene il
suo pensiero, un “pensiero mediterraneo” – per usare una sua espressione – e si
confronta con il presente e la tradizione, con la filosofia e la religione, con
il mito e la storia. E nell’epoca globale in cui viviamo, caratterizzata da un
pensiero unico e allineato, voci come la sua sono davvero confortanti.
Ho letto il suo ultimo libro,
pubblicato da Marsilio, che si intitola “Senza eredi” con sottotitolo “Ritratti
di maestri veri, presunti e controversi in un’epoca che li cancella”. Nella
storia dell’umanità – sostiene lo scrittore pugliese – questa “è la prima ad
avvertire, come Luigi XV, che dopo di noi verrà il diluvio, che finirà con noi
il mondo in cui viviamo”.
In ogni campo sembra aver valore
positivo solo ciò che è nuovo, destinato a far dimenticare ogni cosa
precedente. Sono rinnegati i maestri, la loro opera, le loro lezioni di vita.
Non hanno nulla da insegnare perché arrivano da un tempo arretrato rispetto al
nostro, con modi di vedere e di pensare e di agire superati. Questa perdita del
“filo ereditario” si manifesta – secondo Veneziani – in tre forme
intrecciate: in primis, non esiste più, tra le generazioni, un mondo comune di
valori, di saperi e di tradizioni che uniscono, pur nella diversità anagrafica;
non si parla lo stesso linguaggio per intendersi e comunicare; non c’è curiosità
e interesse per il passato e riconoscenza per i grandi maestri che ci hanno
preceduti. Tutto diventa obsoleto in fretta, tutto si automatizza e va
sostituito. E il passato, quando non è esecrato, va cancellato, rimosso. In una
società come la nostra che non conosce eredi e “non si riconosce erede di
niente e di nessuno”, parlare di maestri, dice Veneziani, è un’impresa
davvero ardita. Al loro posto pontificano gli influencer, i veri manipolatori
delle coscienze che “seducono e conformano, agendo sul linguaggio,
sull’immaginario globale e sul narcisismo individuale di massa”. Un’epoca
senza maestri e senza eredi è anche un’epoca di solitudine di massa: il destino
paradossale di un tempo iperconnesso che offre a ciascuno la possibilità di eleggersi,
attraverso i social, maestri di se stessi.
Con questo suo libro, Marcello Veneziani ci presenta una
raccolta di settanta brevi ritratti “non convenzionali, in vari casi
sconvenienti” di maestri “veri, presunti o controversi, grandi e
piccini”. Sono delle succinte biografie di scrittori, poeti, grandi giornalisti,
filosofi - del passato come del presente - accomunati dallo stesso avverso destino: non hanno eredi. Da Giordano Bruno,
che orientò lo sguardo del suo pensiero all’infinito, a Giambattista Vico che
lo rivolse, invece, all’eternità; da Manzoni che si affidò alla Provvidenza, a
Verga che confidò nel Fato; da Baudelaire, poeta dionisiaco dell’ebrezza a
D’Annunzio, il poeta soldato, l’esteta armato; da Proust, che guardò il mondo
dallo “specchietto retrovisore” a Kafka, che si sentì come un insetto
schiacciato dalla vita e dal potere; da Tomasi di Lampedusa e il suo
trasformismo a Moravia, il cantore della borghesia romana; da Pascal a
Leopardi, da Nietzsche a Kant, da Manganelli a Marchesi, da Camilleri a De
Crescenzo, da Bocca a Scalfari a Sartori…quanti maestri senza eredi.
Ma noi – scrive Veneziani nel
suo libro - “Non ci rassegniamo e ripetiamo con il drammaturgo
austriaco Franza Grillparzer: “Se il mio tempo mi vuole avversare, lo lascio
fare tranquillamente. Io sono venuto da altri tempi e in altri tempi spero di
andare”. Nonostante tutto, continueremo a sentirci eredi di autori e tradizioni
e a onorare i maestri, i padri, i fratelli maggiori. E, se saremo soli, vuol
dire che saremo in compagnia degli dei, degli assenti, degli invisibili”
Veneziani lo conoscevo solo di nome. Il ritratto che ne fai è di persona equilibrata e di pensiero sostanzioso. Concordo con te che uno scrittore non andrebbe valutato per le sue idee politiche ma per i suoi romanzi. In caso contrario non dovremmo leggere una riga di molti autori, di Celine, per esempio, e sarebbe un peccato, oltre che un’idiozia.
RispondiEliminamassimolegnani
E’ proprio così: è un’idiozia valutare uno scrittore in base alla sue idee politiche. Così come è un’idiozia boicottare la letteratura russa a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Non è colpa di Dostoevskij se Putin ha fatto quel che ha fatto.
EliminaE' vero, non ci sono né maestri né discepoli. La vera maestra dei nostri tempi sembra essere la tecnologia con tutte le sue nefaste applicazioni. Non seguiamo più il pensiero di un maestro di vita e di civiltà letteraria, come potrebbe essere quello di un grande scrittore, ma pendiamo dalle labbra degli influencer e ci lasciamo guidare dai social. Non so proprio come andrà a finire.
RispondiEliminaFra.
Neanch’io so come andrà a finire. E’ un mondo in continua evoluzione. Veneziani dice che noi contemporanei ci sentiamo figli del nostro tempo più che dei nostri padri e dei nostri maestri, che disconosciamo. E sono soprattutto i giovani che pendono dalle labbra degli influencer e si lasciano condizionare dai social. Tutti sanno chi è Chiara Ferragni, ma pochi conoscono, che so, Artemisia Gentileschi.
EliminaSe è innegabile uno scenario sconfortante, altrettanto lo è la certezza di una virtus che sempre guiderà l'uomo, in ogni generazione. L'umano migliore leva la propria voce sul chiasso pieno di nulla, proprio perché sa distaccarsene e fornire un modello differente. Ogni epoca ha avuto le sue luci e le sue ombre, pensiamo alla contemporaneità come il peggio di ogni tempo, ma non è così e la Storia ne è maestra. Come te, però, concordo sul porgere orecchio anche a posizioni differenti, per correggere il tiro e sentirci meno depositari di verità assolute.
RispondiEliminaSarebbe davvero ridicolo se pensassimo che il passato è stato il migliore dei mondi possibili. Ogni epoca, compresa la contemporanea, “ha avuto le sue luci e le sue ombre” come giustamente scrivi tu. Ma questo non sposta di una virgola il discorso che fa Veneziani. E’ vero che “l'umano migliore leva la propria voce sul chiasso pieno di nulla”, ma è una voce inascoltata ed emarginata. E resta isolata come in un deserto. Dice Veneziani che noi oggi, viviamo in un’epoca egocentrica e autoreferenziale, e oggi più di ieri servirebbero delle guide, dei modelli di riferimento, delle figure autorevoli, insomma dei maestri del pensiero che aiutino a trovare una via, una visione del mondo e della vita. Maestri che, pur non possedendo la verità, siano capaci di suscitare almeno il desiderio di cercarla. Ma purtroppo questi maestri mancano, e se pure si elevi ogni tanto la voce autorevole di un pensatore, ebbene questa si perde inevitabilmente nel rumore del mondo sempre più globalizzato e omologato. E, mancando i maestri, non ci sono neppure i discepoli. Una condizione, questa, che riguarda in varia misura ciascuno di noi, nella nostra vita privata come in quella pubblica e sociale. E allora che fare? Beh, ognuno farà la propria scelta: c'è chi seguirà Musk o Zuckerberg e c'è, invece, chi si aggrapperà come a un'ancora di salvezza a qualcuno di quei maestri che ritroviamo nel libro di Marcello Veneziani :)
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