Se c’è una festa che arriva
sempre in anticipo rispetto alla sua data, ebbene questa festa non può che
essere il Natale. Luminarie, panettoni e negozi pavesati a festa si cominciano
a vedere già verso la fine di ottobre. E’ la ricorrenza che più di tutte celebra
quell’allegria artificiale tanto al chilo, che non ha nulla a che spartire con il
Natale cristiano che celebra il rito della Natività, espressione della
semplicità e della povertà. Tutto sembra artefatto: pure i pastori e i re magi
nei presepi hanno, oramai, le sembianze dei divi della televisione. Per quelli
della mia generazione, il Natale era forse la festa più bella, quella più
attesa, e quando arrivava veniva consumata rapidamente con intensità, allegria
e commozione, sia dai bambini che dagli adulti. Per i cristiani era la nascita
di Gesù Bambino, per chi non credeva il Natale rappresentava, comunque, un
evento straordinario, da vivere con lo stesso spirito sacrale. Oggi, il Natale
è una festa come tutte le altre: l’ennesimo rito commerciale, l’ennesima
overdose di consumi. Non esiste più l’attesa del Natale.
A volte mi mancano le parole per
descrivere certi avvenimenti, o meglio non hanno la giusta autorevolezza, e
allora quale migliore occasione per affidarsi alle parole dei grandi maestri
della letteratura i quali hanno sentito la necessità di esprimere il loro
pensiero sul Natale, ognuno secondo il proprio credo ed i propri sentimenti.
Tra questi, Erri del Luca, uno scrittore che io stimo tantissimo per la sua
scrittura potente ed evocativa. Così descrive il suo Natale:
“Nello scasso profondo
dei nuclei familiari Natale arriva come un faro sui cocci e fa brillare i
frantumi. Si aggiungono intorno alla tavola apparecchiata sedie vuote da tempo.
Per una volta all’anno, come per i defunti, si va in visita al cerchio
spezzato.
Natale è
l’ultima festa che costringe ai conti. Non quelli degli acquisti a strascico,
fino a espiare la tredicesima, fino a indebitarsi. Altri conti e con deficit
maggiori si presentano puntuali e insolvibili. I solitari scontano l’esclusione
dalle tavole e si danno alla fuga di un viaggio se possono permetterselo, o si
danno al più rischioso orgoglio d’infischiarsene.
Ma la
celebrazione non dà tregua: vetrine, addobbi, la persecuzione della pubblicità
da novembre a febbraio preme a gomitate nelle costole degli sparpagliati.
Natale è atto di accusa. Perfino Capodanno è meno perentorio, con la sua
liturgia di accatastati intorno a un orologio con il bicchiere in mano. Natale
incalza a fondo i disertori.
Ma è giorno
di nascita di chi? Del suo contrario, spedito a dire e a lasciare detto, a chi
per ascoltarlo si azzittiva. Dovrebbe essere festa del silenzio, di chi tende
l’orecchio e scruta con speranza dentro il buio. Converge non sopra i palazzi e
i centri commerciali, ma sopra una baracca, la cometa. Porta la buona notizia
che rallegra i modesti e angoscia i re.
La notizia
si è fatta largo dentro il corpo di una ragazza di Israele, incinta fuorilegge,
partoriente dove non c’è tetto, salvata dal mistero di amore del marito che
l’ha difesa, gravida non di lui. Niente di questa festa deve lusingare i
benpensanti. Meglio dimenticare le circostanze e tenersi l’occasione
commerciale. Non è di buon esempio la sacra famiglia: scandalo il figlio della
vergine, presto saranno in fuga, latitanti per le forze dell’ordine di allora.
Lì dentro
la baracca, che oggi sgombererebbero le ruspe, lontano dalla casa e dai parenti
a Nazareth, si annuncia festa per chi non ha un uovo da sbattere in due. Per
chi è finito solo, per il viandante, per la svestita sul viale d’inverno, per
chi è stato messo alla porta e licenziato, per chi non ha di che pagarsi il
tetto, per i malcapitati è proclamata festa. Natale con i tuoi: buon per te se
ne hai. Ma non è vero che si celebra l’agio familiare. Natale è lo sbaraglio di
un cucciolo di redentore privo pure di una coperta. Chi è in affanno, steso in
una corsia, dietro un filo spinato, chi è sparigliato, sia stanotte lieto. È di
lui, del suo ingombro che si celebra l’avvento. È contro di lui che si alza il
ponte levatoio del castello famiglia, che, crollato all’interno, mostra ancora
da fuori le fortificazioni di Natale”.
Ad ogni Natale io scappo da Roma, per rifugiarmi nel mio “eremo” dove – per mia scelta – non ho il computer. E non avendo neanche lo smartphone (io sono rimasto ai segnali di fumo…) non potrò rispondere a chi mi legge e lascia un commento. Quindi, Buon Natale, miei cari amici vicini e lontani. Mi auguro che il prossimo anno sia migliore per tutti noi (si dice sempre così…) e che le nostre parole possano incontrarsi di nuovo, ancora qui.
RispondiEliminaCondivido le tue parole. Buon Natale a te
RispondiEliminaFra.
deluca ha il grande merito di usare magistralmente le parole e di metterle sempre al servizio di un pensiero sostanzioso.
RispondiEliminaun segnale di fumo che arrivi fino in Cilento ad augurarti buone feste.
massimolegnani
Buon Natale allora, e ancor meglio in compagnia di un fine narratore come Erri, che sai quanto apprezzi. Il Natale, con l'età che avanza, diventa una festa di assenza, cari estinti sempre presenti, ma con meno lucine e meno sorrisi.. ma proprio per questo una festività che evoca, e ci tiene più uniti, noi pochi che rimaniamo imperterriti a mangiare panettone e sussurrare Auguri..
RispondiEliminaIl brano di De Luca è molto intenso. Mi piace ancora pensare al Natale nella dimensione di raccoglimento che dovrebbe prevalere su tutto, il racconto cristiano al centro della festività. Ti auguro di trascorrere questo tempo in modo semplice e sentito.
RispondiEliminaIo voglio ancora credere che ancora molti come te hanno il proprio eremo,che sia un paesino ,la famiglia ,l 'amicizia...tutto ciò che non ha nulla a che vedere con il consumismo natalizio.
RispondiEliminaTantissimi Auguri di Buon Natale e Buon Anno
L.