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giovedì 27 maggio 2021

Libertà, solitudine e misantropia

 


Chi non ama la solitudine, non ama neppure la libertà, poiché soltanto quando si è soli si è liberi.
(Arthur Schopenhauer)

Vivere in uno dei tanti piccoli paesi disseminati lungo tutta la penisola, ma anche solo passeggiare attraverso le stradine silenziose di certi minuscoli agglomerati di case in pietra, spesso incastonati in scenari naturali di rara bellezza, ha un suo fascino particolare. Di questi tempi, è senz’altro un privilegio e una gioia impagabili.

Il paese, prima ancora che un’entità geografica, è uno stile di vita. Sono attratto da tutto ciò che lì non esiste, ma che abbonda in una qualsiasi grande città: il traffico, il rumore, la folla, l’inquinamento, il degrado urbano, condizioni queste che mi procurano un grande fastidio e che affliggono buona parte degli abitanti dei grossi centri urbani. Tranquillità, silenzio e solitudine - che puoi catturare e godere solo in un borgo di poche anime - sono valori indispensabili per un corretto equilibrio psico-fisico, che non tutti sanno apprezzare. E per fortuna, mi viene da pensare! Provate solo a immaginare come diverrebbe un qualsiasi tranquillo paesello, arroccato sui monti dell’appennino umbro marchigiano piuttosto che su una collina del Cilento - con la sua panoramica piazzetta, i suoi vicoli stretti, silenziosi e puliti, le sue serene atmosfere, le sue casette in pietra ed il suo castello che lo domina dall’alto - se all’improvviso la gente, che oggi è assuefatta alla confusione e non rispetta minimamente il luogo in cui abita, abbandonasse la città e vi si trasferisse in massa, a bordo di quei mezzi mastodontici che esprimono il nuovo status simbol della modernità: i SUV! Io credo che un’alluvione o un’invasione di cinghiali farebbero meno danni al territorio. Diceva un filosofo dell’antichità che se conosci un bel posto non lo devi raccontare in giro, altrimenti arriva la massa e lo distrugge. Come dargli torto! A costo di sembrare un misantropo, ogni tanto bisogna coltivare un po' di amor proprio e di sano egoismo, senza ipocrisia - vista l’inciviltà e la maleducazione che regnano sovrane ovunque - per non essere schiacciati dall’omologazione dei costumi e da certe false sirene che sembrano volerti catturare. Condividere la bellezza di un luogo con poche persone i cui comportamenti non sono pilotati dalla moda del momento, è il piacere più grande. In un paese s’impara ad apprezzare il silenzio e il corso naturale delle stagioni; si affinano certe capacità manuali che non pensavi di possedere e che la vita in città non ti permette di esprimere. Chi, stanco del caotico tran tran quotidiano, decide di mollare tutto e stabilirsi in un piccolo centro, il premio che ottiene è davvero grande: pace, serenità, aria buona, cibi genuini, rilassatezza, rapporti umani coltivati in una dimensione del tempo dilatata. Sono queste le condizioni essenziali per la vita di un essere umano e chi fa simili scelte dà un senso alla propria esistenza e viene premiato.

Lo ripeto, non tutti sanno vivere nel silenzio, nella solitudine e nel rispetto della natura. Mi diceva un amico, tempo fa, che fu ospite per un giorno a casa di un suo parente che vive nella campagna toscana; ebbene, nel corso di quella notte - lui che veniva da Roma - non riuscì a chiudere occhio. E sapete perché? Perché non sentiva alcun rumore, e quel silenzio quasi assoluto che percepiva intorno a sé, rotto solo dal sibilo del vento e dal tubare di qualche tortora, lo angosciava terribilmente. Gli mancava quel continuo rumore di macchine di sottofondo, la sua ninna nanna notturna. E poi si chiedeva – sempre quel mio amico stordito e avvezzo al baccano di Roma - come potesse vivere una persona in campagna, lontana da tutto e da tutti. Praticamente in solitudine. Cercai di fargli capire che chi sceglie il contatto diretto con la natura, l’aria pulita, il silenzio, il fascino delle pietre antiche e l’incanto dei muretti a secco, ha capito tante belle cose, estranee ai più. Chi sa scorgere la variegata vita che regna in un bosco e sa contemplare la bellezza di una vigna o la maestosità di una quercia secolare; chi sa ascoltare il suono del silenzio con le sue armonie non può soffrire la solitudine. La solitudine è una componente essenziale della vita: è la nostra fedele alleata, la nostra vera libertà. Naturalmente la società, con il suo sistema economico dominante, con la sua ideologia dello “sviluppo” quale unico fattore rilevante, in grado di soggiogare gran parte delle persone alle proprie logiche, afferma il contrario e cerca di distoglierti da questa idea pericolosa, quasi ascetica e quindi poco consumistica. Per la società, chi sta fuori dal coro, chi si allontana dalla vita frenetica della città e non segue i ritmi veloci imposti dal progresso e dalla tecnologia, è fuori dal mondo: è un misantropo. Ma è proprio così?  Un uomo che non sa stare da solo non può ascoltare quella voce dentro di sé, la sola che riesce a esprimere un senso e un significato profondo all’esistenza. La solitudine non deve essere un fine ma un mezzo, per comprendere le cose essenziali della vita, e quando diventa tale può dischiudere spazi straordinari di libertà e di pienezza del vivere. Lo stesso discorso vale per gli uomini con cui, in maniera diretta o indiretta, abbiamo a che fare tutti i giorni: per apprezzarli meglio, ogni tanto bisogna starne lontani, perché ciò che vedo e sento in giro stimola in me pensieri sempre meno confortanti. Una loro assidua frequentazione è a dir poco deleteria: si diventa inevitabilmente misantropi. “Chi comunica poco cogli uomini – scriveva Leopardi - rade volte è misantropo. Veri misantropi non si trovano nella solitudine, ma nel mondo: perché l’uso pratico della vita, e non già la filosofia, è quello che fa odiare gli uomini. E se uno che sia tale, si ritira dalla società, perde nel ritiro la misantropia”.

Ritornare nel mio paese dell’infanzia - e lo faccio sempre più spesso, tranne in questo periodo di pandemia che mi ha bloccato - è il modo migliore per “ritirarmi dalla società” e riappropriarmi della mia solitudine. Il paesello, arroccato su una collina nel Cilento tra ulivi e querce, non è più quello che lasciai circa mezzo secolo fa, tuttavia conserva ancora oggi la sua antica anima rurale, i suoi antichi silenzi e le sue dolci atmosfere. Dove posso finalmente ritrovare la mia dimensione spirituale.


6 commenti:

  1. Amiamo i luoghi solitari. per questo scegliamo isole greche minuscole, fuori dal giro turistico, dove ritemprarci appieno e godere della solitudine, della natura, di suoni e colori naturali. Parli spesso del tuo paesello, e sono felice che - pare - terminata l'emergenza puoi rigodertelo in santa pace. Anche noi speriamo di ripartire presto.. Roma affligge davvero.. l'ho goduta solo durante il lockdown..rivalutata in pieno. Ma sembra che la pacchia si agià finita.. ;)

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    1. Si, amiamo i luoghi poco affollati e nascosti, dove il silenzio e la solitudine regnano sovrani. Anche la città più bella del mondo - Roma - a lungo andare "affligge", dici bene. Il Colosseo, la Fontana di Trevi, piazza Navona, la Basilica di San Pietro e tutte le altre meraviglie non bastano, purtroppo, per migliorare la qualità della vita se tutti i giorni ti devi scontrare con i rumori, il caos, le macchine, i rifiuti abbandonati lungo le strade. Gli imperatori romani e i Papi, i Bernini e i Michelangelo...hanno fatto di tutto per renderla bella e maestosa questa città. E ci sono riusciti! Ma poi sono arrivati i barbari, il traffico, il turismo di massa, gli incivili, i palazzinari, i politici...che hanno fatto, e continuano a fare, di tutto e di più. E quella "città ideale", che un anonimo pittore aveva immaginato, dipingendola intorno al XV secolo, quale rappresentazione del buon vivere, è rimasta solo sulla carta. Questa è la realtà, mio caro Franco. Stammi bene! :)

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  2. Questo tuo post mi ha praticamente riportata a Franco Arminio, a questa valorizzazione e forma di bellezza dei piccoli paesi, bellezza che poi credo sia anche rimasta parte dominante del tuo bagaglio interiore, che ti vede un po esteriormente come "turista" in quel tempo passato quando magari eri un ragazzino incuriosito a tua volta da chi si spostava dalla grande città a trascorrere le vacanze in questi piccoli centri. È anche vero che non trovi più gli stessi abitanti o la stessa stradina che percorrevi una volta, ma quella quiete è quella forma di solitudine ancora riesci a respirarla ed è un dono che c'è la racconti attraverso questo post e tanti che ho letto in questo tuo spazio.

    Si affaccia anche Leopardi in questo post, come se davvero senza rendertene conto tu gli abbia gentilmente ceduto un piccolo post(o)... perché di casa.

    "Per la società, chi sta fuori dal coro, chi si allontana dalla vita frenetica della città e non segue i ritmi veloci imposti dal progresso e dalla tecnologia, è fuori dal mondo: è un misantropo. Ma è proprio così? Un uomo che non sa stare da solo non può ascoltare quella voce dentro di sé, la sola che riesce a esprimere un senso e un significato profondo all’esistenza. La solitudine non deve essere un fine ma un mezzo, per comprendere le cose essenziali della vita, e quando diventa tale può dischiudere spazi straordinari di libertà e di pienezza del vivere"

    Non me ne vogliano gli psicologi che prescrivono cure con farmaci, perché molte forme di depressioni dei giovani nelle grandi città potrebbero essere davvero sconfitte con la messa in pratica di questa forma terapeutica riportata in queste righe su , fatta di contatto diretto e di risveglio spirituale... Cosa che ahimè non troviamo con un altro tipo di solitudine legata alle connessioni tecnologiche.


    Ringrazio e buona serata


    L.


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    1. Scusa per il ritardo: ma io non sono un uomo tecnologico, sempre connesso. “La solitudine legata alle connessioni tecnologiche” non mi appartiene. Per dirla con Roy Lewis, “continuo a vivere da semplice e innocente figlio della natura. Ho fatto la mia scelta: resto scimmia”. Sorrido! Ora, quando si parla e si scrive di paesi, e soprattutto quando si visitano, non possiamo non pensare a Franco Arminio, il “paesologo” per eccellenza. In una sua poesia scrive:
      “Prendi un angolo del tuo paese
      e fallo sacro,
      vai a fargli visita prima di partire
      e quando torni”.
      Versi davvero potenti e suggestivi che mi catturano. “Un paese ci vuole”, direbbe Pavese, “non fosse che per il gusto di andarsene via”. Certo, il paese è fatto di partenze e di ritorni, ma anche di fughe e di rimpianti. Rendere sacro uno scorcio, un panorama, un piccolo angolo a noi caro, come se fosse un altare dove andare a pregare o a stare in contemplazione, è un’immagine bella e affascinante che mi commuove. E’ un modo per stabilire un contatto vero e naturale con l’anima del paese. Quando ero un ragazzo e vivevo in quel mio piccolo borgo arroccato sulla collina, non vedevo l’ora di partire, di evadere da quel “natio borgo selvaggio” (e si riaffaccia ancora Leopardi, che mi scuserà): ora il ritorno è sempre più dolce, è sempre più atteso. E’ sempre più gradito.
      Ciao L., e buona domenica 😊

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    2. "Scusa per il ritardo: ma io non sono un uomo tecnologico, sempre connesso".


      Ma ci mancherebbe altro che tu debba scusarti per un "ritardo" su cui non ho messo attenzione e che avvalora invece la "connessione" tra te stesso e il tuo scrivere inequivocabilmente spirituale.

      Però è anche vero che un minimo di "connessione tecnologica" esiste dal momento stesso in cui si scrive o si legge. Se cerco il tuo blog ad esempio che mi piaccia o no, io mi connetto attraverso certi strumenti ed è importante non sostituirsi a questi, perdendo la propria identità e i valori in cui si sente di appartenere... Temi già trattati ampiamente nel tuo blog e sui quali condivido.

      Se devo dirla fino in fondo però collegandomi al tema del post io sono un amante, spesso anche nostalgica, delle connessioni a diretto contatto con la NATURA, credo fermamente che da questa partono tutte le altre connessioni che hanno il solo senso di verità e tangibilita'.

      Ho la "fortuna" di stare ancora in stretto contatto con la natura, e di addentrarmi in quegli scritti che la valorizzano partendo proprio da quei paeselli, da quelle radici.


      Eppure c'è "Gente che non capisce" direbbe Pavese.

      ... il titolo di una poesia di Pavese, che ho apprezzato grazie ad un tuo consiglio e a questa di "connessione" tutt'altro che tecnologica :)

      "Sotto gli alberi della stazione si accendono i lumi. Gella sa che a quest'ora sua madre ritorna dai prati col grembiule rigonfio. In attesa del treno, Gella guarda tra il verde e sorride al pensiero di fermarsi anche lei, tra i fanali, a raccogliere l'erba.

      Gella è stufa di andare e venire, e tornare la sera e non vivere né tra le case né in mezzo alle vigne. "

      Ecco cosa intendo io personalmente con quelle connessioni...si colgono se davvero si ha un desiderio anche minimo di ascolto interiore.


      Grazie a te come
      sempre e buon inizio settimana...


      L.

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  3. Certo, un minimo di connessione tecnologica serve, altrimenti questo scambio non ci sarebbe. Come sempre è il troppo che stroppia, in tutte le cose. E poi mi piace molto questa tua connessione con la natura - questa sì veramente importante - di cui parli.
    Ciao L.
    Buona giornata

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