Fino a qualche anno fa
possedere un cellulare, guidare un suv, avere una laurea, potersi permettere
una vacanza in una località esclusiva, significava essenzialmente appartenere ad
una classe sociale elevata, un’élite. Erano condizioni, queste, che marcavano
la propria diversità, direi quasi la propria superiorità nella scala sociale.
Oggi, invece, uno smartphone ce l’hanno praticamente tutti (noi italiani siamo
primi in Europa e terzi nel mondo); in giro si vedono solo suv, le altre
macchine (molto più belle, secondo me) sembrano sparite dalla circolazione; una
laurea ce l’hanno ormai cani e porci; le Seicelles o le Canarie sono diventate mete
per chiunque. Insomma, quei requisiti che un tempo costituivano veri e propri status simbol, appannaggio dei
“signori”, nella società globalizzata dei nostri tempi sono diventati usi e costumi
standardizzati e di massa. Per distinguersi dalla massa ed avere un nuovo
riconoscimento sociale, si è costretti a cercare nuove nicchie di vita e di
comportamenti in cui potersi realizzare e sentirsi diversi. E allora, se la società
di massa diventa paradossalmente signorile potendo accedere a quei consumi
opulenti prima negati, cosa fa oggi chi vuole distinguersi da tale massa
consumistica?
“Come farà l’1% della
popolazione – si domanda il sociologo Luca Ricolfi nel suo interessante saggio
intitolato “La società signorile di
massa” - a marcare la differenza col
restante 99%? Qui la distinzione tende a farsi strada lungo due vie:
l’astensione dal consumo (una sorta di “frugalità ostentatoria”), e i consumi
etici, come gli acquisti “equi e solidali” e l’impegno pubblico, possibilmente
visibile e proclamato, quando non in favore di telecamera. Volendo tentare un
quadro approssimativo e per forza semplicistico, i veri signori, oggi, a differenza della massa dei nuovi signori, comprano pochi abiti e pochi oggetti; mai
gioielli né argenteria; spogliano le loro case di quadri, tappeti e ninnoli
vari; mangiano poco, ma bene; fanno (o meglio, fanno fare) marmellate con la
frutta dei loro orti; invitano gli amici a casa e non al ristorante; leggono
libri, preferibilmente di carta; si abbonano a giornali online, preferibilmente
stranieri; non guardano programmi televisivi, ma le serie su Netflix; e per le
vacanze non scelgono località di grido iperaffollate, ma preferiscono ritirarsi
nelle loro avite proprietà di campagna, con piscina e servitù, defilati,
riparati all’ombra di un bosco; o si rintanano sullo yacth di amici,
girovagando anonimi per i mari, possibilmente senza mai scendere nei porti.
Insomma, nell’epoca della condivisione e ostentazione, meglio evitare le folle
e i “consumi cospicui”; nell’epoca dell’abbondanza, ricchezza e opulenza di
massa, meglio abbandonare l’accumulo di beni materiali e uno stile di vita
vistoso. La società signorile non di
massa non può che affermare valori in controtendenza, per sottrazione,
apparentemente dimessi e sotto tono: il silenzio, la campagna, il vuoto, la
frugalità, l’artigianalità, l’essenzialità spoglia. Una “semplicità di vita”
che assomiglia solo da lontano a un anticonsumismo, o a una decrescita felice,
o a un pauperismo francescano: è una semplicità volontaria molto identitaria ed
esclusiva, che si fonda su raffinatezza e cultura, e affonda le sue radici
nelle origini familiari e in un’istruzione privilegiata. E’ il lusso di una
vita nascosta anziché esibita, in un tempo in cui tutti invece si mostrano ed
esibiscono…”
Ci si domanda come può una
società essere “signorile”, ma nello stesso tempo di “massa”. E Ricolfi – che
ha coniato tale definizione – ci spiega che così come nelle società signorili
del passato esisteva un privilegiato gruppo sociale (costituito dai nobili, dal
clero e dai guerrieri) che consumava senza lavorare e produrre, nell’attuale
società - che è entrata in un regime di stagnazione o di decrescita - i giovani
cittadini che non lavorano hanno superato quelli che lavorano; e pur non
lavorando possono accedere a tutti i consumi opulenti (il cellulare, la
macchina, i viaggi di piacere, il cinema…) grazie alle rendite e ai risparmi
accumulati dalla generazione precedente. In altre parole, per “società
signorile di massa” si intende una società apparentemente ricca in cui
l’economia non cresce più e la maggioranza che non lavora e che accede al
surplus è legata quasi sempre a quella che lavora attraverso le relazioni
familiari di coniuge, figlio e genitore. Ma cosa accade quando il “giovin
signore” dei nostri tempi mette al mondo un figlio? Con tutte le difficoltà
esistenti, non potrà essere generoso nei suoi confronti, come i suoi genitori
sono stati con lui. Insomma, se le prospettive di lavoro e di vita per i nostri
figli sono quel che sono, quelle per i nostri nipoti sono a dir poco preoccupanti.
Potrei essere d'accordo su molti punti anche se mi riesce ostico il concetto di "non ostentare" "frugalmente" rintanati sullo "yacth" di amici.. ahah
RispondiEliminaRido anch'io...ma senza nessuna ostentazione.
EliminaPer come la vedo io, la decrescita è un obbligo. Se è vero infatti che noi occidentali per tenere questo tenore di vita consumiamo l'80% delle risorse della terra, è normale che non possiamo più crescere.
RispondiEliminaPer quanto riguarda i giovani, oggi in Italia sono circa quattro milioni quelli senza lavoro, e dal momento che non hanno altre possibilità campano erodendo le ricchezze accumulate da padri e nonni. Ma la "pacchia" è finita.
Anche per come la vedo io, la decrescita è necessaria. Una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito, fatto di risorse che sono destinate ad esaurirsi con il tempo. Purtroppo il pianeta che noi abitiamo non ci basta più e per poter continuare a tenere lo stesso tenore di vita, ne occorrerebbero molti di più. La Banca mondiale ha calcolato che nel 2050, per assicurare il benessere a tutta l’umanità, la produzione di ricchezza dovrebbe essere quattro volte superiore a quella attuale. Una cosa semplicemente pazzesca
EliminaComprato e letto
RispondiEliminaQuando l'ho finito mi aveva soddisfatto
Poi mesi dopo ci ho ripensato
Un effluvio di ovvietà
Se poi metti le cazzate scritte da lui sul Covid
Forse poteva dire quelle cose in meno pagine. perchè spesso alcuni concetti li ripete.
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