martedì 8 settembre 2020

La società signorile di massa

 

Fino a qualche anno fa possedere un cellulare, guidare un suv, avere una laurea, potersi permettere una vacanza in una località esclusiva, significava essenzialmente appartenere ad una classe sociale elevata, un’élite. Erano condizioni, queste, che marcavano la propria diversità, direi quasi la propria superiorità nella scala sociale. Oggi, invece, uno smartphone ce l’hanno praticamente tutti (noi italiani siamo primi in Europa e terzi nel mondo); in giro si vedono solo suv, le altre macchine (molto più belle, secondo me) sembrano sparite dalla circolazione; una laurea ce l’hanno ormai cani e porci; le Seicelles o le Canarie sono diventate mete per chiunque. Insomma, quei requisiti che un tempo costituivano veri e propri status simbol, appannaggio dei “signori”, nella società globalizzata dei nostri tempi sono diventati usi e costumi standardizzati e di massa. Per distinguersi dalla massa ed avere un nuovo riconoscimento sociale, si è costretti a cercare nuove nicchie di vita e di comportamenti in cui potersi realizzare e sentirsi diversi. E allora, se la società di massa diventa paradossalmente signorile potendo accedere a quei consumi opulenti prima negati, cosa fa oggi chi vuole distinguersi da tale massa consumistica?

“Come farà l’1% della popolazione – si domanda il sociologo Luca Ricolfi nel suo interessante saggio intitolato “La società signorile di massa”  - a marcare la differenza col restante 99%? Qui la distinzione tende a farsi strada lungo due vie: l’astensione dal consumo (una sorta di “frugalità ostentatoria”), e i consumi etici, come gli acquisti “equi e solidali” e l’impegno pubblico, possibilmente visibile e proclamato, quando non in favore di telecamera. Volendo tentare un quadro approssimativo e per forza semplicistico, i veri signori, oggi, a differenza della massa dei nuovi signori, comprano pochi abiti e pochi oggetti; mai gioielli né argenteria; spogliano le loro case di quadri, tappeti e ninnoli vari; mangiano poco, ma bene; fanno (o meglio, fanno fare) marmellate con la frutta dei loro orti; invitano gli amici a casa e non al ristorante; leggono libri, preferibilmente di carta; si abbonano a giornali online, preferibilmente stranieri; non guardano programmi televisivi, ma le serie su Netflix; e per le vacanze non scelgono località di grido iperaffollate, ma preferiscono ritirarsi nelle loro avite proprietà di campagna, con piscina e servitù, defilati, riparati all’ombra di un bosco; o si rintanano sullo yacth di amici, girovagando anonimi per i mari, possibilmente senza mai scendere nei porti. Insomma, nell’epoca della condivisione e ostentazione, meglio evitare le folle e i “consumi cospicui”; nell’epoca dell’abbondanza, ricchezza e opulenza di massa, meglio abbandonare l’accumulo di beni materiali e uno stile di vita vistoso. La società signorile non di massa non può che affermare valori in controtendenza, per sottrazione, apparentemente dimessi e sotto tono: il silenzio, la campagna, il vuoto, la frugalità, l’artigianalità, l’essenzialità spoglia. Una “semplicità di vita” che assomiglia solo da lontano a un anticonsumismo, o a una decrescita felice, o a un pauperismo francescano: è una semplicità volontaria molto identitaria ed esclusiva, che si fonda su raffinatezza e cultura, e affonda le sue radici nelle origini familiari e in un’istruzione privilegiata. E’ il lusso di una vita nascosta anziché esibita, in un tempo in cui tutti invece si mostrano ed esibiscono…”

Ci si domanda come può una società essere “signorile”, ma nello stesso tempo di “massa”. E Ricolfi – che ha coniato tale definizione – ci spiega che così come nelle società signorili del passato esisteva un privilegiato gruppo sociale (costituito dai nobili, dal clero e dai guerrieri) che consumava senza lavorare e produrre, nell’attuale società - che è entrata in un regime di stagnazione o di decrescita - i giovani cittadini che non lavorano hanno superato quelli che lavorano; e pur non lavorando possono accedere a tutti i consumi opulenti (il cellulare, la macchina, i viaggi di piacere, il cinema…) grazie alle rendite e ai risparmi accumulati dalla generazione precedente. In altre parole, per “società signorile di massa” si intende una società apparentemente ricca in cui l’economia non cresce più e la maggioranza che non lavora e che accede al surplus è legata quasi sempre a quella che lavora attraverso le relazioni familiari di coniuge, figlio e genitore. Ma cosa accade quando il “giovin signore” dei nostri tempi mette al mondo un figlio? Con tutte le difficoltà esistenti, non potrà essere generoso nei suoi confronti, come i suoi genitori sono stati con lui. Insomma, se le prospettive di lavoro e di vita per i nostri figli sono quel che sono, quelle per i nostri nipoti sono a dir poco preoccupanti.



6 commenti:

  1. Potrei essere d'accordo su molti punti anche se mi riesce ostico il concetto di "non ostentare" "frugalmente" rintanati sullo "yacth" di amici.. ahah

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  2. Per come la vedo io, la decrescita è un obbligo. Se è vero infatti che noi occidentali per tenere questo tenore di vita consumiamo l'80% delle risorse della terra, è normale che non possiamo più crescere.
    Per quanto riguarda i giovani, oggi in Italia sono circa quattro milioni quelli senza lavoro, e dal momento che non hanno altre possibilità campano erodendo le ricchezze accumulate da padri e nonni. Ma la "pacchia" è finita.

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    1. Anche per come la vedo io, la decrescita è necessaria. Una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito, fatto di risorse che sono destinate ad esaurirsi con il tempo. Purtroppo il pianeta che noi abitiamo non ci basta più e per poter continuare a tenere lo stesso tenore di vita, ne occorrerebbero molti di più. La Banca mondiale ha calcolato che nel 2050, per assicurare il benessere a tutta l’umanità, la produzione di ricchezza dovrebbe essere quattro volte superiore a quella attuale. Una cosa semplicemente pazzesca

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  3. Comprato e letto

    Quando l'ho finito mi aveva soddisfatto

    Poi mesi dopo ci ho ripensato

    Un effluvio di ovvietà

    Se poi metti le cazzate scritte da lui sul Covid

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    1. Forse poteva dire quelle cose in meno pagine. perchè spesso alcuni concetti li ripete.

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