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Cardarelli in una foto di Paolo Monti |
“Un paese ci
vuole – scriveva
Cesare Pavese – non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol
dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è
qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Solo chi non ha mai avuto un “paese” non può comprendere
la sua importanza, non può capire quanto sia vitale questo luogo
dell’anima e della memoria e quante sensazioni, anche conflittuali, riesca a suscitare
nell’animo di chi si affida al suo ricordo. Ma io credo che nessun artista,
meglio del poeta, sappia evocare i sentimenti che nascono da questa speciale
appartenenza, tant’è che le sue emozioni diventano anche le nostre ed il paese
che scorgiamo nei suoi versi appare incredibilmente come la rappresentazione metaforica
di ogni paese.
Vincenzo Cardarelli, uno dei poeti che più amo, ha dedicato tantissime
poesie al suo paese natio - Tarquinia, in provincia di Viterbo - dove nacque
nel 1887. Il suo rapporto con quel bellissimo borgo medioevale fu piuttosto discordante:
sentiva di amarlo soprattutto quando si trovava lontano dalle sue case, dai
suoi odori, dalle sue atmosfere. Gli mancava quando se ne allontanava. Doveva
immaginarlo come un luogo perduto, per poterlo desiderare. Così scriveva: "Fin
da ragazzo ho amato le distanze e la solitudine. Uscire dalle porte del mio
paese e guardarlo dal di fuori, come qualche cosa di perduto, era uno dei miei
più abituali diletti” . Oppure doveva scorgerlo attraverso il finestrino di
un treno in corsa, per sentirlo suo, come leggiamo in “Passaggio notturno”
Giace lassù la mia infanzia.
Lassù in quella collina
ch'io riveggo di notte,
passando in ferrovia,
segnata di vive luci.
Odor di stoppie bruciate
m'investe alla stazione.
Antico e sparso odore
simile a molte voci che mi chiamino.
Ma il treno fugge. Io vo non so dove.
M'è compagno un amico
che non si desta neppure.
Nessuno pensa o immagina
che cosa sia per me
questa materna terra ch'io sorvolo
come un ignoto, come un traditore.
Lassù in quella collina
ch'io riveggo di notte,
passando in ferrovia,
segnata di vive luci.
Odor di stoppie bruciate
m'investe alla stazione.
Antico e sparso odore
simile a molte voci che mi chiamino.
Ma il treno fugge. Io vo non so dove.
M'è compagno un amico
che non si desta neppure.
Nessuno pensa o immagina
che cosa sia per me
questa materna terra ch'io sorvolo
come un ignoto, come un traditore.
E quando
poi subentrava la nostalgia del suo paese, solo il
ricordo gli consentiva di rivivere la magia di un momento vissuto e ormai
perduto. Ma il ricordo esiste se è sorretto dalla memoria che, da sola, può
cancellare gli istanti più belli del passato:
O
memoria spietata, che hai tu fatto
del mio paese?
Un paese di spettri
dove nulla è mutato fuor che i vivi
che usurpano il posto dei morti.
Qui tutto è fermo, incantato,
nel mio ricordo.
Anche il vento.
Quante volte, o paese mio nativo,
in te venni a cercare
ciò che più m'appartiene e ciò che ho perso.
Quel vento antico, quelle antiche voci,
e gli odori e le stagioni
d'un tempo, ahimè, vissuto.
del mio paese?
Un paese di spettri
dove nulla è mutato fuor che i vivi
che usurpano il posto dei morti.
Qui tutto è fermo, incantato,
nel mio ricordo.
Anche il vento.
Quante volte, o paese mio nativo,
in te venni a cercare
ciò che più m'appartiene e ciò che ho perso.
Quel vento antico, quelle antiche voci,
e gli odori e le stagioni
d'un tempo, ahimè, vissuto.
Ma la vita riservava al poeta anche momenti di difficoltà e di angosce
esistenziali e allora il suo paese - l’unico che non l’avesse mai tradito - gli
ritornava in mente e vi si rifugiava per trovarvi definitivamente “riposo ed
oblio”.
Terra
mia nativa,perduta per sempre.
Paradiso in cui vissi
felice, senza peccato,
ed ebbi amiche un tempo
le bisce fienaiole
più che gli uomini poi.
Nelle notti d’insonnia,
quando il mio cuore è più angosciato e grida
e non si vuol dar pace,
tu mi riappari ed in te mi rifugio.
Non memorie io ti chiedo,
ma riposo ed oblio.
E dopo tanto errare
godo in te ritrovarmi,
terra mia di cui porto
l’immortal febbre nel sangue.
Sempre più persuaso che tu sola
non m’abbia mai tradito
e che il lasciarti fu grande follia.
Così lontana sei, così lontana!
Pur di raggiungerti e annullarmi in te
anche la morte mi sarebbe cara.