mercoledì 25 gennaio 2017

Un paese ci vuole...da Pavese a Cardarelli

Cardarelli in una foto di Paolo Monti

“Un paese ci vuole – scriveva Cesare Pavese – non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.  Solo chi non ha mai avuto un “paese” non può comprendere la sua importanza, non può capire quanto sia vitale questo luogo dell’anima e della memoria e quante sensazioni, anche conflittuali, riesca a suscitare nell’animo di chi si affida al suo ricordo. Ma io credo che nessun artista, meglio del poeta, sappia evocare i sentimenti che nascono da questa speciale appartenenza, tant’è che le sue emozioni diventano anche le nostre ed il paese che scorgiamo nei suoi versi appare incredibilmente come la rappresentazione metaforica di ogni paese.
Vincenzo Cardarelli, uno dei poeti che più amo, ha dedicato tantissime poesie al suo paese natio - Tarquinia, in provincia di Viterbo - dove nacque nel 1887. Il suo rapporto con quel bellissimo borgo medioevale fu piuttosto discordante: sentiva di amarlo soprattutto quando si trovava lontano dalle sue case, dai suoi odori, dalle sue atmosfere. Gli mancava quando se ne allontanava. Doveva immaginarlo come un luogo perduto, per poterlo desiderare. Così scriveva: "Fin da ragazzo ho amato le distanze e la solitudine. Uscire dalle porte del mio paese e guardarlo dal di fuori, come qualche cosa di perduto, era uno dei miei più abituali diletti” . Oppure doveva scorgerlo attraverso il finestrino di un treno in corsa, per sentirlo suo, come leggiamo in “Passaggio notturno”

Giace lassù la mia infanzia.
Lassù in quella collina
ch'io riveggo di notte,
passando in ferrovia,
segnata di vive luci.
Odor di stoppie bruciate
m'investe alla stazione.
Antico e sparso odore
simile a molte voci che mi chiamino.
Ma il treno fugge. Io vo non so dove.
M'è compagno un amico
che non si desta neppure.
Nessuno pensa o immagina
che cosa sia per me
questa materna terra ch'io sorvolo
come un ignoto, come un traditore.
E quando poi subentrava la nostalgia del suo paese, solo il ricordo gli consentiva di rivivere la magia di un momento vissuto e ormai perduto. Ma il ricordo esiste se è sorretto dalla memoria che, da sola, può cancellare gli istanti più belli del passato:

O memoria spietata, che hai tu fatto
del mio paese?
Un paese di spettri
dove nulla è mutato fuor che i vivi
che usurpano il posto dei morti.
Qui tutto è fermo, incantato,
nel mio ricordo.
Anche il vento.
Quante volte, o paese mio nativo,
in te venni a cercare
ciò che più m'appartiene e ciò che ho perso.
Quel vento antico, quelle antiche voci,
e gli odori e le stagioni
d'un tempo, ahimè, vissuto.

Ma la vita riservava al poeta anche momenti di difficoltà e di angosce esistenziali e allora il suo paese - l’unico che non l’avesse mai tradito - gli ritornava in mente e vi si rifugiava per trovarvi definitivamente “riposo ed oblio”.
Terra mia nativa,
perduta per sempre.

Paradiso in cui vissi
felice, senza peccato,

ed ebbi amiche un tempo
le bisce fienaiole
più che gli uomini poi.

Nelle notti d’insonnia,
quando il mio cuore è più angosciato e grida
e non si vuol dar pace,
tu mi riappari ed in te mi rifugio.
Non memorie io ti chiedo,
ma riposo ed oblio.
E dopo tanto errare
godo in te ritrovarmi,
terra mia di cui porto
l’immortal  febbre nel sangue.
Sempre più persuaso che tu sola
non m’abbia mai tradito
e che il lasciarti fu grande follia.
Così lontana sei, così lontana!
Pur di raggiungerti e annullarmi in te
anche la morte mi sarebbe cara.

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8 commenti:

  1. Ciao Remigio, scusa la mia assenza dal tuo blog, ma, da un po' cerco di allontanarmi dal Web perché sta assorbendo troppo del mio tempo. Il tuo post cade a fagiolo. Ormai da anni il mio blog aveva assunto le sembianze tipiche di un paese dove incontrare gente nuova, dove creare amicizie (virtuali) e dove scambiare opinioni un po' su tutto. Beh, per me è arrivato il momento di abbandonare questo paese per poi poterne godere il ricordo. Mi sono dato un limite preciso. Entro febbraio concluderò il reportage sul viaggio in Sicilia e qualcos'altro e poi saluterò chi mi è stato vicino in tutti questi anni e anche gli amici più recenti come te.
    Un cordiale saluto.
    Nicola

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    1. Ciao Nicola, perdere un amico del Web come te dispiace: credimi! Sono sicuro che prima o poi seguirò le tue orme. Succede a tutti. E' vero, il blog diventa una sorta di paese virtuale, però quello vero è un'altra cosa. Sto leggendo il tuo libro: è scritto molto bene e lo trovo davvero interessante. Faccio solo un po' di fatica a leggerlo sullo schermo; io sono un lettore all'antica e preferisco i libri cartacei. Spero di finirlo appena possibile (e comunque entro febbraio) al fine di poter scrivere sul blog le mie modeste riflessioni sulla tua degna opera letteraria. Ti saluto

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  2. Il tuo post arriva come uno squarcio profondo. Mi è sempre mancato l'effetto "paese". Fin da quando i miei compagni di scuola, nel weekend, andavano al "paese", e poi per le feste e le ricorrenze. Ho sempre invidiato questa dimensione di appartenenza, di guscio protettivo dove tutti sanno tutto, dove si di casa anche in mezzo alla via, dove ti chiamano per nome. Io abituato invece al vicino di casa "estraneo". Mi ricordo che lo imputavo quasi come una colpa i miei, non avere un paese dove sviluppare una dimensione di vita diversa. Invidiavo e soffrivo questa assenza. Ma probabilmente per questo me ne sono costruito uno tutto mio: si chiama poesia. E ogni volta che ci torno, è come tornare alle origini, ascoltare vecchi odori e cullarsi tra rumori confidenziali.

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    1. E' tutto vero quello che dici e ti capisco, perché io un paese ce l'ho. E ricordo che da ragazzo - quando tu invidiavi i tuoi compagni che andavano al "paese" per le feste e per qualsiasi altra ricorrenza - io non vedevo l'ora di fuggire da quel paese. Per quel "gusto di andarsene via" come scriveva Pavese e per conoscere altre realtà. E un bel giorno sono davvero andato via, per motivi di lavoro. L'ho abbandonato. Oggi, però, con grande felicità, ci ritorno sempre più spesso e il paese è lì che mi aspetta e che mi accoglie, paziente, senza rancori.
      Un caro saluto

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    2. Tienilo caro Remigio.. tu che puoi ;)

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    3. Grazie Franco...terrò conto del tuo consiglio :)

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  3. Condivido la tua passione per Cardarelli. Pensa che tantissimi anni ho copiato (ripeto: copiato!) la poesia Autunno ( Autunno. Già lo sentimmo venire / nel vento d'agosto, /
    nelle pioggie di settembre / torrenziali e piangenti ...) spacciandola come mia ad una ragazza che mi piaceva. Diciamo che la bugia ha funzionato. Comunque grande Cardarelli.

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  4. Ciao Enzo. Mi hai fatto sorridere! Ma quella ragazza che ti piaceva tanto si chiamava per caso L.? Insomma, ti sei comportato come quel personaggio interpretato da Massimo Troisi nel film "non ci resta che piangere" il quale, nel corteggiare una bella castellana, si spaccia come paroliere dell'Inno nazionale e di altre canzoni come Yesterday. Anche in quella occasione la bugia funzionò alla grande. Ma lui si trovava in un'altra epoca.
    Cardarelli, "il più grande poeta morente" piace anche a me...

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