Perché è scomparso il piacere della
lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Se lo chiedeva Milan
Kundera, in un suo famoso libro pubblicato nel 1994 che si intitola, appunto,
“La lentezza”. Viviamo in un mondo in cui questo atteggiamento lento nei
confronti delle cose e della vita sembra sia stato bandito definitivamente.
Dobbiamo andare sempre più veloci; dobbiamo fare le cose sempre di fretta; non
possiamo perdere tempo perché il tempo è denaro; ci spostiamo da un punto
all’altro della terra a velocità supersonica; al semaforo dobbiamo partire
qualche secondo prima che scatti il verde, altrimenti quello dietro di noi –
che ha sempre fretta - ci suona immediatamente; il computer deve essere una
scheggia altrimenti diventiamo nervosi.
Abbiamo
inventato degli strumenti tecnologici talmente potenti e veloci che non ci
consentono più di riflettere, perché la velocità annulla il pensiero. Un uomo
che corre a piedi, avverte sempre il proprio peso, la propria età, sente la
stanchezza, può decidere se aumentare la corsa o diminuirla, fermarsi o
continuare, perché è sempre consapevole di se stesso e delle proprie forze. Ma
quando quell’uomo delega il potere di generare velocità ad una macchina, quando
insomma si trova alla guida di una Ferrari lanciata a 300 chilometri all’ora,
il suo corpo non è più presente e la velocità sostituisce il pensiero. La
velocità diventa ebbrezza e rimpiazza la mente. Non c’è più riflessione ma solo
estasi.
Kundera dice ancora che “c’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra
velocità e oblio. Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina
per la strada. A un tratto, cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge.
Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi, invece, vuole dimenticare un
evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come
per allontanarsi da qualcosa, che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo”.
Quindi il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della
memoria quanto il grado di velocità all’intensità dell’oblio. In altre parole
la lentezza ci permette di ricordare mentre la velocità ci incita a dimenticare.
Sembrerebbe, a questo punto, che la nostra società - che si è completamente
abbandonata al demone della velocità ed è ossessionata dall’iperattivismo
produttivo - non voglia fare altro che dimenticare e non pensare. Ma una
società che non ha memoria non può avere un futuro. E per questo che oggi noi
viviamo solo il presente e non abbiamo idea di come possa essere l’avvenire.
Ci
affrettiamo senza sosta, ma nel contempo non sappiamo dove stiamo andando. Ma
perché ogni nostra giornata deve essere inevitabilmente all’insegna della
fretta e dell’ansia? Perché ci sottoponiamo quotidianamente a ritmi di vita
sempre più intensi e snervanti? Essere inattivi, bighellonare, lasciare che il
tempo scorra lento su di noi, oziare e, perché no, annoiarsi: sono tutte azioni
che non sono apprezzate nella nostra società. E’ d’obbligo correre da un impegno all’altro.
Restare invece a casa, lasciarsi assorbire da un buon libro, fare le cose con
ritmi più umani e naturali, far scorrere il tempo standosene seduti sul terrazzo
a prendere il sole o a coltivare i gerani….tutto ciò viene marchiato come
inerzia, mancanza di iniziativa, inettitudine. Bisogna, invece, dare
l’impressione di essere sempre attivi, efficienti, scattanti, impegnati.
La lentezza oggigiorno è considerata una brutta parola: sinonimo di
indolenza, svogliatezza che non porta da nessuna parte e – secondo i cultori
della velocità e degli ottimizzatori del tempo - non crea ricchezza, non genera
progresso. Eppure è fondamentale per ristabilire i nostri ritmi naturali e per
ritrovare le nostre pause quotidiane. Non riusciamo più a vivere secondo i
cicli naturali ed abbiamo stravolto completamente il rapporto umano con il
tempo. Un rapporto che andrebbe curato e regolato attraverso delle regole di
comportamento più vicine alle esigenze naturali dell’uomo. Dovremmo ritornare a
coltivare l’ozio, quale arte di saper ascoltare, riflettere, pensare, perché la
velocità è nemica del nostro equilibrio psico-fisico. Ma andrebbe rivisto anche
il rapporto con la natura, perché non possiamo sempre forzare e velocizzare la
crescita delle piante e delle verdure. Non capisco perché dobbiamo mangiare le
ciliegie a natale e le fragole a febbraio. Se vogliamo salvarci, è importante
riscoprire la verità di quel vecchio adagio secondo il quale chi va piano, va
sano e va lontano. Dobbiamo quindi cercare di vivere con lentezza,
appropriandoci dei nostri tempi naturali a discapito della frenesia imperante e
lottando contro chi vuole rubarci il nostro tempo.