Non
sono un acceso lettore di racconti brevi; piuttosto che leggere tante piccole
storie raggruppate in un solo libro, preferisco il classico romanzo le cui
vicende vengono dipanate attraverso una narrazione più complessa. Io penso che non
tutti gli scrittori siano in grado di sintetizzare in poche pagine una storia, sappiano
cioè delineare in così poco spazio dei personaggi e delle vicende tali da
appassionare il lettore. Anche se il racconto breve può sembrare,
apparentemente, una forma di scrittura più accessibile - soprattutto per chi,
avendo qualche velleità letteraria, si avvicina per la prima volta alla parola
scritta - io credo che se non si possiede il dono della sintesi, abbinato ad
una grande capacità creativa, sia davvero molto difficile scrivere - in poche
pagine - una storia che abbia una qualche valenza letteraria.
Il
libriccino che ho appena finito di leggere - di poco più di 100 pagine, edito
da Sellerio – fu scritto nel 1995 da Sebastiano
Addamo, uno scrittore e poeta siciliano che appartiene a quella vasta
schiera di autori “dimenticati” e quasi sconosciuti. Come spesso accade quando
non si conosce un autore, sono rimasto colpito dal titolo “Non si fa mai giorno” che mi ha indotto prima a dargli un’occhiata
in libreria e poi a comprarlo. E devo dire che non me ne sono affatto pentito
perché il libro, strutturato in cinque brevi racconti, merita tutto il mio
apprezzamento per la sua alta qualità letteraria. Credo che a volte sia davvero
arduo, se non azzardato, parlare di certi libri così trascurati, quando le
librerie – lo sappiamo bene - brulicano di tante novità editoriali e di autori cosiddetti
“affermati”. Io però, lo ammetto, quest’ultimi non li digerisco e mi rifugio quasi
sempre tra i grandi della letteratura o tra quelli un po’ “stagionati” che a
mio avviso meriterebbero una giusta e diversa collocazione. Come Sebastiano
Addamo, questo scrittore appartato che proveniva, come ebbe a scrivere Leonardo
Sciascia, da quella “provincia dell’intelligenza da dove spesso arrivano le
pagine più suggestive e più capaci di trasportare per strade lontane e
inattese”. E quella provincia era Catania, dove lo scrittore nacque nel 1925 e
dove si spense all’età di 75 anni: provincia dell’intelligenza ma anche
provincia sonnacchiosa e abitudinaria, dove non succedeva mai nulla di
importante, anche perché, come dice un personaggio dei suoi racconti “non ci
sono, in sé, cose importanti e cose non importanti, dato che gli eventi ci
riguardano e noi siamo pur sempre la misura di tutto”.
I protagonisti
di questi cinque racconti sono essenzialmente dei perdenti “davanti ai quali la
vita passa come un fiume, e loro stanno sulla riva e si scostano se l’acqua li
lambisce”. Come, in particolare, quel giudice “padrone delle sottigliezze della
legge e degli uomini” descritto nel primo racconto, immerso sempre fra i suoi
codici, il necessario spartiacque della sua esistenza, in piena crisi
esistenziale e coniugale. Così come perdenti sono pure i quattro amici che
ritroviamo nel secondo racconto intitolato “noia a Catania” - secondo me quello
più illuminante - figli di quella provincia quasi del tutto scomparsa, con la
sua quotidiana monotonia ed i suoi riti immutabili nel tempo. “…erano
invecchiati adagio adagio, tra lavoro, casa, bar, facendo qualche figlio e
riempiendo mucchi di registri. (…) Le abitudini s’erano impadronite di loro, e
loro vi stavano acquattati come lucertole al sole, ciascuno nel proprio
cantuccio, attento a non scalfire il ritmo dei giorni e degli anni, oppressi
intanto e confortati da una reiterazione senza fine, e Catania si stendeva
intorno a loro, era cresciuta mentre loro invecchiavano, caparbia e sonnolenta
come la lava dei suoi palazzi, quella pietra nerastra e dura ma porosa di caldo
e di salmastro”.
E
perdente è anche quell’impiegato del racconto “il cuore della legge” che si
ritrova per caso in mezzo ad una rapina in una gioielleria e, mentre scappa assieme
al rapinatore, viene preso e processato suo malgrado. Perché il caso spesso
“decide gli eventi, giunge inappuntabile e definitivo, quasi losco, scompiglia
il giorno”.
Sono
racconti che si possono leggere - così come riportato nella quarta di copertina
del libro - alla maniera di “storie di orfani di una provincia che non c’è più:
una crepa nella loro giornata li precipita dove mai avrebbero creduto”. E per loro
non si fa mai giorno.
Provincia dell'intelligenza... una bella definizione quella di Sciascia.
RispondiEliminaE questo autore è uno di quelli (uno dei tanti) che non conosco ancora.
Grazie per avergli dato spazio.
Grazie a te...;-)
RispondiEliminaQuesta descrizione mi ha fatto subito venire in mente i fatti e le figure della provincia siciliana riportati nel libro "Gli anni perduti" di Vitaliano Brancati. Altro autore oggi forse troppo dimenticato.
RispondiEliminaInvece per quanto riguarda la scelta in libreria, tra montagne di libri, è davvero difficile sapersi districare.
Per quanto mi riguarda io leggo recensioni, leggo l'incipit e talvolta, si lo so è una debolezza, mi lascio convincere anche dalla copertina. Ma sopratutto mi fido delle case editrici. Ne ho di preferite e Sellerio è tra queste.
Si, credo che anche Vitaliano Brancati sia da considerare tra gli autori provenienti da quella "provincia dell'intelligenza", tanto per utilizzare ancora una volta la felice espressione di Leonardo Sciascia. I personaggi che troviamo nei suoi libri sono degli inetti, degli improbabili seduttori, vanitosi e indolenti che vivacchiano in quella provincia siciliana addormentata e pettegola, forse specchio del Paese. E con sfumature un po' diverse sono gli stessi personaggi che nascono dalla penna di un altro illustre autore della stessa provincia siciliana, anch'egli "dimenticato": mi riferisco ad Ercole Patti, grande amico di Brancati, che seppe descrivere mirabilmente nei suoi libri quella sicilianità che forse non esiste più, quel mondo dove la vita scorreva immobile, monotona, noiosa...e dolce. Così dolce, ebbe a scrivere lo stesso Ercole Patti "che si poteva invecchiare senza accorgersene e ritrovarsi ad averla vissuta tutta senza averne avuto coscienza, rimanendo sempre figli di famiglia. Questo era il dolcissimo veleno di Catania".
EliminaIo adoro i racconti brevi. Ci scorgo intensità e sintesi che il romanzo spesso assorbe e diluisce. E Brancati è anche maestro del taglio breve, ti fucila con una pagina.
RispondiEliminaE' vero quello che dici: l'importante però è trovare il Brancati di turno. ;-) ciao e buona domenica
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