Tutti i libri
di Alain de Botton - un brillante scrittore britannico di origine svizzera – ci
guidano, attraverso una scrittura colta e piacevole, verso la comprensione
delle cose del vivere quotidiano, su cui non sempre ci soffermiamo con la
dovuta attenzione. E, attingendo ora dal pensiero filosofico, ora dalla
letteratura, ora dall’arte, quei libri ci invitano a fare delle riflessioni
profonde sui tanti modi che possono rendere meno triste la nostra esistenza.
In “Architettura
e felicità” (Guanda Editore) lo scrittore esplora quella sorta di connubio
che esiste tra bellezza e felicità che, in qualche maniera, ha la capacità di
contribuire a migliorare il benessere psico-fisico. De Botton scrive che il
nostro umore è spesso influenzato dalla qualità del contesto urbano in cui
viviamo, dall’edificio in cui abitiamo o dalla casa che ci accoglie dopo una
giornata di lavoro e che parla di noi attraverso i mobili e gli oggetti scelti
con cura, che abbelliscono gli ambienti ed esprimono la nostra identità.
L’altro
giorno mi trovavo in una deliziosa piazzetta del centro storico di Roma, Piazza
Sant’Ignazio, progettata nel Settecento dall’architetto Filippo Raguzzini su
cui si affacciano, da un lato, cinque eleganti palazzetti dalle linee concave -
che evocano una sorta di scenario teatrale - e, dall’altro, l’imponente
facciata barocca dell’omonima chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a fare da
palcoscenico, famosa per gli affreschi illusionistici di Andrea Pozzo. Una
composizione architettonica, questa, che sembra unire sacro e profano e avvolgere
la piazza in un abbraccio armonioso. Un luogo davvero suggestivo che ispira bellezza e predispone alla tranquillità dell'animo. Un luogo che mi faceva pensare che la felicità è legata soprattutto alla bellezza
visiva e che sussiste un’intima affinità tra il gusto e i sentimenti profondi
che guidano le nostre scelte e i nostri comportamenti. Da qui nasce poi quel
senso di soddisfazione che ci rende felici. Fu Stendhal a dire che la bellezza è
una promessa di felicità e che esistono tanti stili di bellezza quante visioni
della felicità.
Ora io mi chiedo: se abitassi in uno di quei palazzetti rococò anziché
in un anonimo edificio di un quartiere periferico di Roma, sarei forse più
felice? E in linea generale, è possibile immaginare che tutti noi potremmo
essere idealmente - nel bene e nel male – persone diverse in luoghi diversi? Io credo che sia difficile individuare una misura assoluta del
bello che possa influire, in positivo, sulla qualità della vita delle persone. Certo,
abitare in una bella casa, nel centro storico di una delle città più belle del
mondo, non può che destare piacere e felicità; ma non so fino a che punto
quella bella casa abbia l’effettiva capacità di
migliorare l’umore o il carattere di chi la abita. Le belle case –
scrive de Botton – non hanno i vantaggi indiscutibili di un vaccino o di una
ciotola di riso e per questo motivo “la bella architettura non acquisterà
mai rilevanza politica e non diventerà mai una priorità, perché anche se
potessimo rimodellare tutte le opere dell’edilizia umana, con sforzi e
sacrifici costanti, fino a emulare piazza San Marco, anche se potessimo
trascorrere il resto della nostra vita nella Villa Rotonda del Palladio,
continueremmo comunque a essere spesso di cattivo umore”. Certo, può
succedere che a volte una piazza con i suoi edifici seducenti catturi la nostra
attenzione e faccia galoppare la nostra fantasia…”ah, se abitassi qui”,
tuttavia, è innegabile che ci sono momenti in cui nemmeno il luogo più ameno
sarà in grado di scacciare la nostra tristezza o la nostra misantropia. Tuttavia
i nostri momenti di abbattimento, dice de Botton “offrono all’architettura e
all’arte le occasioni migliori, perché è proprio in questi casi che la nostra
fame delle loro qualità ideali raggiunge l’apice”.
La bella
architettura – come il bello in generale – possiede un suo contenuto morale,
incarna delle qualità interiori, ci dà dei consigli velati, ci invita a imitare
il suo spirito. E’ ciò che dobbiamo saper cogliere osservando la bellezza, se
intendiamo davvero essere migliori. E felici.


Come non aderire appieno alle tue conclusioni, alla luce tra l'altro della mia personale esperienza riguardante proprio la romana piazza sant'Ignazio. Io sono stata a Roma solo due volte, molti anni fa e sempre per pochi giorni: ebbene, l'unico ricordo davvero importante e indelebile che ne conservo è legato proprio all'arrivo in quella piazzetta, all'immediata e indicibile sensazione di bellezza e silenziosa appropriatezza che m'infondeva, insieme ad una gioia silenziosa ma tangibile e pervasiva, ad un benessere profondo... Ricordo non senza un sorriso anche la grande difficoltà affrontata poi per allontanarmene, talmente attiva era la forza di attrazione di quel luogo così riposto e incredibile, insieme al mio desiderio di non abbandonare le impagabili sensazioni che suscitava e riversava in me: probabilmente mai sperimentate prima, e tutto sommato aggiungerei anche dopo, in un luogo cittadino a qualsiasi latitudine e longitudine.
RispondiEliminaGrazie per questo post, ricco di stimoli e di significative riflessioni!
Felice di avere risvegliato i tuoi ricordi romani. E devo dire che hai descritto molto bene i sentimenti e le sensazioni che infondono certi luoghi. Grazie Siu per questo tuo contributo e grazie per l’apprezzamento. Buona giornata
EliminaIo ce l'ho un quartiere romano dove abiterei: Coppedé. Ma poi mettici il caos, le difficoltà di movimento, di parcheggio, la manutenzione da base lunare.. insomma uno si consola con tutta una serie di difficoltà oggettive (e a volte meno) e si scopre felice della propria abitazione in periferia, comunque amata casa, arredata con amore, vissuta con dedizione, quella casa che ti accoglie anche se davanti non hai Sant'Ignazio di Loyola, ma una chiesetta di cemento in stile molto "brutalista"..
RispondiEliminaSono d’accordo, Franco, dobbiamo essere felici della nostra casa in periferia “arredata con amore”, anche se non si affaccia sul Colosseo: c’è chi una casa nemmeno ce l’ha. Oppure ce l’aveva e un missile gliel’ha distrutta.
EliminaRoma ha tanti bei quartieri, e Coppedè è uno di questi: piace anche a me. Però, accontentiamoci di ammirarlo, quel quartiere, tanto siamo molto bravi a riconoscere quel confine che esiste tra il desiderio ideale e la possibilità di soddisfarlo, abitandoci. Ti saluto :)
credo che nella piccola felicità che ci prende nella visione del bello, ci sia anche la sua irraggiungibilità, cioè lo guardi il bello senza possederlo e questo aggiunge non toglie. Se tu abitassi in quel palazzetto, come ti chiedi, non saresti più felice, anzi la visione quotidiana del bello, l'esserci dentro, alla lunga ti renderebbe meno felice che vederlo ogni tanto.
RispondiEliminamassimolegnani
Che la bellezza sia irraggiungibile è una tesi che mi trova d’accordo. Ed è centrale nella poetica di Leopardi: lui diceva che l’uomo aspira sempre a una felicità perfetta, a una bellezza infinita. Ma ogni piacere è per sua natura limitato e, pertanto, quel desiderio iniziale di possedere la bellezza diventa irraggiungibile. Un tentativo, questo, che non può che portare a una insoddisfazione continua, perché la bellezza si può soltanto contemplare e ammirare. Solo così possiamo coglierne l’essenza e la vera ricchezza. Certo, sarebbe complicato per me vivere a Palazzo Pitti, tra tutte quelle collezioni di pitture e sculture. Ma abitare in uno di quei palazzetti di P.zza Sant’Ignazio – a dirti la verità- non mi dispiacerebbe affatto. Sarei più felice per un solo motivo: non dovrei più prendere la macchina o la metropolitana per raggiungere il centro storico di Roma. E ti assicuro – caro Massimo - che non è poco. Un caro saluto :)
EliminaHo letto il tuo post con molto interesse e nel mentre in me la parola " bellezza "risuonava ancor più forte pensando a Dostoevskij e quella frase sulla bellezza che salverà il mondo.Non saprei forse sarò un po fissata con certe "connessioni" ;).
RispondiEliminaMa a cosa o a chi si riferiva esattamente Dostoevskij con questa identica parola "bellezza ", salvifica tra l'altro?
Forse è vero che la bellezza non ha una sola e unica chiave di lettura come la felicità ,ma credo che comunque ognuna faccia parte di un qualcosa che le accomuna,senza sminuire le tante valide sfaccettature che il senso delle due parole hanno sotto un aspetto più ampio.
Credo che sia difficile non ammirare e apprezzare una certa forma di arte, di architettura,quella forma comunicativa, espressiva tra parte interiore ed esteriore fatta da immagini, dipinti ,statue,palazzi e piazze, quale sprigionamento spirituale da parte di chi ne è stato capace , ispirando e rivelando a se e a noi tutti aspetti nascosti ed interiori da cui ,mi ripeto, è difficile non rimanerne affascinati .Sono testimonianza potente della creatività e della complessità dello spirito,trasmettendo di certo anche un senso di felicità .
Condivido pienamente il tuo scrivere quanto dici di ammirare tali bellezze .Non penso quindi che il possesso materiale di certe opere ci renda più o meno felici,se non una felicità nella contemplazione e l'ingegno di coloro che hanno lasciato un segno facendone dono .
Io sono per il pensiero di D'Avenia,certe opere per poterle davvero apprezzare bisogna perderle più che possederle,come un tramonto e perfino la lettura di un libro.
Grazie ,buon fine settimana
L.
Grazie per le tue parole, L.
EliminaE’ una frase molto complessa quella pronunciata da Dostoevskij sulla bellezza. E non credo si riferisse alla bellezza estetica – di un dipinto o di una cattedrale – quanto alla bellezza morale dell’essere umano, quella si che può salvare l’intera umanità. Ma siamo ben lontani da quell’aspirazione. Basta vedere come siamo messi e come vanno le cose del mondo. E poi, diciamocelo, oggi nessuno si sente responsabile della bellezza, mai come oggi l’arte ha raggiunto livelli così alti di bruttezza e di cattivo gusto. Speriamo di non “perderle” davvero certe opere d’arte, per la nostra incuria. Perché noi siamo bravi a proteggere e a conservare solo ciò che ci appartiene, che è nostro. E non ciò che è patrimonio dell’intera umanità. Ciao e buona serata a te.